Il 14 maggio una “marea arancione” – il colore del partito d’opposizione Phak kao klai, noto anche come Move forward (Andare avanti) – ha sovrastato il voto conservatore e respinto le politiche clientelari che per molto tempo hanno dominato in Thailandia. Il giorno dopo il leader del partito, Pita Limjaroenrat, ha annunciato di essere pronto a guidare un governo di coalizione. Nella notte una parata arancione ha accompagnato gli altri candidati del partito per le strade di Bangkok.

I tailandesi hanno partecipato in massa alle elezioni per il rinnovo della camera dei rappresentanti (500 seggi), mettendo fine a un doloroso decennio in cui un governo vicino ai militari ha arrestato molti giovani attivisti prodemocrazia che hanno criticato la monarchia, ha causato l’aumento delle disuguaglianze e ha paralizzato la seconda economia del sudest asiatico.

“Sono Pita Limjaroenrat, il prossimo primo ministro della Thailandia”, ha dichiarato il leader del Phak kao klai. “Siamo pronti a formare il governo”, ha aggiunto, promettendo di essere “il primo ministro di tutti”. “Saprà cambiare il paese”, assicura un ragazzo di 16 anni alla parata per la vittoria del Phak kao klai. La presenza di centinaia di studenti dimostra la forte presa del partito sui giovani. “Ora la vecchia generazione deve lasciarlo governare”, aggiunge.

Le promesse di cambiamento del Phak kao klai, incentrate sulla smilitarizzazione, la difesa delle libertà personali e politiche, il contrasto ai monopoli e soprattutto l’abrogazione della legge sulla lesa maestà che protegge la ricchissima monarchia tailandese, sembrano aver fatto breccia non solo tra i giovani. Il Phak kao klai, infatti, ha ottenuto il maggior numero di seggi, 152, superando il Pheu thai (141), il principale partito d’opposizione. Pita ha annunciato un’alleanza con altri cinque partiti, compresi il Pheu thai. La coalizione potrebbe contare su 309 seggi e indicherebbe Pita come primo ministro. Ma neanche così raggiungerebbe i 376 voti, tra camera e senato, necessari a garantire la sua elezione.

Bisognerà aspettare sessanta giorni per avere i risultati ufficiali del voto del 14 maggio, una prospettiva che lascia prevedere possibili cambiamenti nel panorama elettorale. Riferendosi al senato, Pita ha dichiarato che tutte le forze politiche devono rispettare il risultato delle urne. “Non sono preoccupato, ma non sono nemmeno ingenuo”, ha precisato durante una conferenza stampa. “Se qualcuno sta pensando di ribaltare l’esito del voto o di formare un governo di minoranza sappia che il prezzo da pagare sarà alto”.

La guerra sbagliata

L’affermazione del Phak kao klai ha intaccato il dominio della destra conservatrice nel sud del paese, ma anche quello del Pheu thai nel nord. Il partito dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, deciso a interrompere l’esilio volontario che dura dal 2006, ha ottenuto il suo peggior risultato di sempre sotto guida di Paetongtarn Shinawatra, 36 anni, figlia di Thaksin. Il partito ha registrato pesanti sconfitte anche nella sua base di Chiang Mai, un colpo durissimo per una forza populista che fino al giorno del voto pensava di avere un forte sostegno tra gli elettori delle zone rurali.

“Il Pheu thai ha combattuto la guerra sbagliata, quella del populismo, che aveva già vinto”, dice Thitinan Pongsudhirak, dell’università di Chulalongkorn. “Il Phak kao klai, invece, ha portato il confronto a un livello superiore, quello delle riforme istituzionali. Questo è il nuovo campo di battaglia della politica tailandese. Abbiamo assistito a un risultato sorprendente e storico”.

“Congratulazioni al Phak kao klai per la sua splendida vittoria”, ha scritto lunedì su Twitter Chaturon Chaisang, candidato con il Pheu thai e attivista per la democrazia da molti anni. “La battaglia contro la dittatura ha inaugurato un nuovo capitolo. La società tailandese sta per cambiare. I tailandesi si sono pronunciati e vogliono democrazia”.

Ma secondo gli esperti la strada per la formazione di un governo riformista è ancora lunga, in un sistema creato per consentire ai militari e ai loro alleati di restare al potere anche nel caso di una pesante sconfitta elettorale. In un parlamento bicamerale composto da 750 seggi, i 250 senatori – scelti dall’esercito – hanno un ruolo determinante nell’elezione del premier. Il senato potrebbe schierarsi con il primo ministro uscente Prayuth Chan-ocha o a sostegno di un altro leader conservatore, se i partiti sconfitti riusciranno a formare una coalizione di minoranza.

Ora tutti gli occhi sono puntati sulle istituzioni che sostengono l’establish­ment – la commissione elettorale e la corte costituzionale – che già in passato hanno sciolto partiti filodemocratici ed estromesso importanti leader politici dopo il voto. Sullo sfondo, intanto, rimane l’esercito, che si considera il protettore del palazzo reale in un paese dove in media, dal 1932, c’è stato un colpo di stato militare ogni sette anni.

Prayuth, ex generale di 69 anni, ha incentrato la sua campagna elettorale sulle preoccupazioni degli anziani conservatori, mettendo in guardia dalla minaccia esistenziale incombente sui valori, la religione e la monarchia tailandesi. Il primo ministro uscente ha ribadito più volte che sarebbe “andato a casa” se non avesse ottenuto un buon risultato alle elezioni, ma secondo gli esperti non cederà facilmente il potere. Prayuth, un ultramonarchico che nei nove anni al governo si è sempre rifiutato di negoziare con i giovani attivisti, ha dichiarato che la legge sulla lesa maestà non dev’essere toccata, perché è uno strumento per proteggere la principale istituzione del paese. ◆ as

Da sapere
Rispettare la volontà popolare

◆ “Move forward ha vinto perché noi tailandesi siamo stanchi”, scrive il Thai Enquirer. “Stanchi di vedere i carri armati per le strade (2006), Bangkok in fiamme e i militari che riprendono il potere (2014), parlamentari non eletti che distorcono il nostro voto (2019), cannoni ad acqua e manganelli usati dalla polizia contro i nostri fratelli e sorelle (2021)”. E il Bangkok Post in un editoriale precisa: “Gli elettori hanno fatto il loro dovere per sostenere la democrazia, ora è responsabilità dei partiti, dei politici e dei senatori svolgere il loro ruolo per garantire che lo sviluppo democratico del paese proceda secondo il volere dei cittadini”.


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Questo articolo è uscito sul numero 1512 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati