CLeM è ambientato in una masia catalana ottocentesca. “Era la casa dei miei nonni, ci è servita d’ispirazione per creare l’ambiente in cui si svolge il videogioco”, spiega Mariona Valls, fondatrice e direttrice artistica di Mango Protocol. La nuova opera di questo piccolo studio di Barcellona propone all’utente l’immersione in una storia tenebrosa e personale. A differenza che in altre creazioni artistiche, in questo caso la storia viene “giocata”. Calandosi nei panni di una strana bambola di pezza, ci si muove all’interno delle varie stanze, osservando i dettagli e interagendo con gli oggetti per scoprire cosa è successo in questa tetra casa abbandonata.
Anche se diverso nella meccanica di gioco, CLeM è simile a Ugly, lanciato e prodotto da un altro piccolo studio catalano, Team Ugly. In questo caso il giocatore controlla un nobile tormentato che deve affrontare i traumi del passato mentre si aggira in un enorme palazzo usando uno specchio che gli permette di scambiarsi con il suo “io” oscuro.
Ozio indie
Uno dei creatori, Gerard Singuerlin, dice di essersi ispirato “alla mini-serie animata _Over the garden wall _e al gruppo di musica sperimentale Mr. Bungle”. _CLeM _e _Ugly _sono due ottimi esempi di quelli che nel settore dell’ozio elettronico si chiamano “giochi indie”. Si tratta di opere realizzate da studi molto più piccoli di quelli che producono i grandi videogiochi e che per questo motivo possono permettersi una maggiore libertà artistica e creativa.
Quasi metà degli studi di produzione di videogiochi in Catalogna (46 per cento) e in Spagna (49 per cento) ha meno di cinque dipendenti. Queste informazioni sono contenute nelle diverse edizioni del libro bianco elaborato dalle associazioni del settore. Da anni questi piccoli studi creano opere interattive dal grande valore culturale e artistico. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i loro videogiochi passano inosservati. “In effetti non sono ancora arrivati al grande pubblico”, conferma Conrad Roset, il direttore creativo dello studio barcellonese Nomada Studio. “C’è molta più attenzione per i cantanti, i registi e i politici che per i creatori di videogiochi”, spiega il creatore dell’acclamato Gris, un gioco dal titolo evocativo in cui il giocatore accompagna una ragazza in un mondo onirico in cui dovrà fare i conti con un’esperienza dolorosa della sua vita.
Per quanto indipendente, il Nomada è più grande rispetto agli altri studi citati. Roset ammette che Gris ha ricevuto un’enorme attenzione, ma ribadisce che “esiste un grande squilibrio tra l’importanza di un videogioco nel suo settore e l’attenzione che attira sui mezzi di informazione tradizionali”. Roset – che al momento sta sviluppando un nuovo progetto, Neva – cita l’esempio dei Game Awards, un evento annuale in cui _Gris _è stato premiato e la cui ultima edizione ha avuto un pubblico triplo rispetto agli Oscar (118 milioni di spettatori contro i 35 del gala del cinema). “Anche se abbiamo compiuto importanti passi avanti, c’è ancora molto lavoro da fare per valorizzare i videogiochi come accade per il cinema, la letteratura, la musica o l’arte”.
Un altro fattore che potrebbe essere all’origine della mancata popolarità dei videogiochi indie è l’estrema diversità di generi che convivono all’interno della sua industria. Ne è convinta Carla Sevillano, una delle sviluppatrici del barcellonese Piccolo Studio (il settore dei videogiochi in Catalogna si concentra nella capitale). “I giochi di maggior successo sono quelli senza particolari finalità artistiche”, sottolinea Sevillano, che ha dato forma ad alcune ambientazioni di After us. In questo videogioco particolarmente emotivo Gaia, lo spirito della vita, viaggia attraverso una terra devastata dagli esseri umani. Vale la pena di notare che nei quattro videogiochi citati finora non ci sono armi, automobili o palloni da prendere a calci.
“La diversità dei generi contribuisce alla ricchezza e alla vastità dei contenuti. È importante che giocatori e produttori continuino a esplorare e a promuovere la varietà delle esperienze offerte dai videogiochi”, commenta Sevillano. “Il loro aspetto artistico è sconosciuto o comunque poco importante non solo per il grande pubblico, ma anche per la maggior parte dei giocatori”, aggiunge. “Dall’esterno è molto difficile comprendere le possibilità espressive dei videogiochi, ma lo è anche dall’interno se l’unica esperienza che si vuole offrire è quella dell’intrattenimento puro”.
Ispirazione di gruppo
Conversando a distanza con questi creativi è facile collegare la ricchezza delle loro opere alle loro fonti d’ispirazione. Tutti ammettono di fare attenzione al lavoro dei colleghi, ma non si limitano a cercare spunti nel settore. La pittura, la scultura, i videoclip e l’animazione sono riferimenti onnipresenti. “Gli anime e le serie di animazione degli anni novanta hanno influenzato lo stile visuale di tutti i nostri videogiochi, ma lo stesso si può dire dei nostri viaggi in Europa, in Giappone e Corea del Sud, che hanno plasmato i paesaggi del nostro universo”, spiega Marion Valls. “Il cinema è un’altra risorsa”, aggiunge Conrad Roset. “Film della Ghibli come La principessa Mononoke o il francese La tartaruga rossa, insieme all’opera di artisti contemporanei come Eduardo Chillida”. Sevillano ha una predilezione per la scultura e l’architettura, che la aiutano a inventare scenari tridimensionali. “Mi appassiona la scultura astratta, ma apprezzo anche i documentari sull’architettura delle antiche civiltà, per capire come concepivano ed eseguivano le loro costruzioni”.
Per i creatori di videogiochi indie l’ispirazione può arrivare da diversi ambienti. Ma davvero possiamo parlare di giochi d’autore considerando che nella maggior parte dei casi sono il risultato di un lavoro di squadra? Anche se con sfumature differenti, tutti i creatori ne sono convinti. “Come accade in altre arti, dal cinema al teatro, ci sono profili creativi che danno una direzione e una coerenza all’opera al di là della parte strettamente tecnica e ludica. Però non possiamo dimenticare che, esattamente come accade nel cinema e nel teatro, i videogiochi sono realizzati in gruppo”, spiega Singuerlin. Roset sottolinea l’importanza di affidare a un componente della squadra questo tipo di iniziativa. “È quello che sta accadendo con Neva. Voglio avere il controllo della parte creativa, narrativa e artistica, per conferire una visione unica al gioco”. Per Carla Sevillano i videogiochi d’autore, “diversamente da quelli concepiti per il pubblico di massa, possono permettersi il lusso di sperimentare ed esplorare diverse forme artistiche e narrative”. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 75. Compra questo numero | Abbonati