Shukrullah ha portato quattro tappeti da vendere nel quartiere Chaman-e Hozori, a Kabul. Le strade sono piene di frigoriferi, cuscini, ventilatori, guanciali, coperte, argenteria, tende, letti, materassi, pentolame e scaffali che centinaia di altre persone hanno trasportato fin qui per metterli in vendita.
Le merci sono allineate lungo gli isolati che circondano il campo un tempo erboso, trasformato in una distesa di polvere e sporcizia da decenni d’incuria e siccità. Ogni articolo è un pezzo di una vita che le famiglie hanno costruito negli ultimi vent’anni nella capitale afgana. Ora quelle stesse famiglie vendono per una miseria i propri averi per potersi sfamare. “Abbiamo comprato questi tappeti per 48mila afgani (circa 470 euro), ma non me ne daranno più di cinquemila per tutti quanti”, dice Shukrullah mentre la gente fruga tra gli oggetti esposti.
Da quando il 15 agosto i taliban hanno preso il controllo della capitale, gli afgani sono alle prese con una crisi di liquidità. Nelle ultime settimane la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale e la banca centrale degli Stati Uniti hanno bloccato gli aiuti all’Afghanistan. Le banche hanno abbassato le saracinesche in tutto il paese e molti bancomat hanno smesso di distribuire contanti.
Anche se numerose banche hanno riaperto, è stato imposto ai prelievi un limite di 20mila afgani (196 euro) alla settimana. Centinaia di persone hanno passato giorni in fila davanti alle agenzie, in attesa di poter ritirare i soldi. Famiglie come quella di Shukrullah, però, non possono aspettare. “Devo guadagnare abbastanza per comprare almeno un po’ di farina, riso e olio”, racconta. I 33 componenti della sua famiglia nell’ultimo anno si sono trasferiti tutti in un’unica casa.
Già prima che l’ex presidente Ashraf Ghani fuggisse dal paese e i taliban prendessero il potere, l’Afghanistan stava affrontando una fase di rallentamento dell’economia, aggravata dalla pandemia e da una siccità prolungata che ha devastato ulteriormente un sistema economico basato in buona parte sull’agricoltura.
Milioni di afgani rischiano di rimanere senza niente da mangiare prima che arrivi l’inverno e un milione di bambini potrebbe morire di fame se non s’interviene subito: è l’allarme lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterrez il 13 settembre a Ginevra, durante una conferenza sulla crisi in Afghanistan. L’appello di Guterrez ai donatori ha ottenuto promesse di aiuti per un miliardo di dollari, che il ministro degli esteri del governo taliban ad interim, Amir Khan Muttaqi, ha accolto con piacere, scrive Tolo News. Muttaqi ha detto che i taliban si coordineranno con i donatori per raggiungere le persone bisognose e garantire una distribuzione trasparente degli aiuti. Vari donatori, tuttavia, hanno precisato che non daranno il denaro direttamente ai taliban ma raggiungeranno la popolazione attraverso le organizzazioni umanitarie. La Cina e il Pakistan si sono già mossi: Islamabad ha mandato aerei con viveri e beni di prima necessità mentre Pechino ha promesso 31 milioni di dollari in rifornimenti alimentari e sanitari. Muttaqi ha detto che Kabul vuole aveva buone relazioni con il resto del mondo, inclusi gli Stati Uniti. A fare da ponte tra i taliban e la comunità internazionale, secondo il nuovo governo afgano, sarà il Qatar. Dall’Afghanistan però, arrivano notizie di esecuzioni sommarie e persecuzioni casa per casa: venti civili sarebbero stati uccisi nella valle del Panjshir, sede della resistenza armata sconfitta pochi giorni fa dai taliban.
L’Unesco è intervenuta chiedendo al nuovo governo di non vanificare i progressi fatti nel campo dell’istruzione negli ultimi vent’anni. Kabul ha infatti annunciato che le ragazze potranno studiare all’università solo in aule separate da quelle dei maschi. La segregazione, avverte l’Unesco, avrà effetti negativi sull’istruzione femminile. ◆
In un rapporto appena pubblicato, le Nazioni Unite hanno avvertito che più del 97 per cento della popolazione potrebbe scivolare sotto la soglia della povertà entro la metà del 2022.
Il 13 settembre il segretario generale dell’Onu António Guterres ha convocato a Ginevra una conferenza di alto livello sugli aiuti umanitari all’Afghanistan nel tentativo di raccogliere 600 milioni di dollari (508 milioni di euro), un terzo circa dei quali servirà per gli aiuti alimentari. L’Onu aveva già espresso profonda preoccupazione per la crisi economica e la minaccia di “un collasso totale” del
paese.

Secondo la Banca mondiale, un paese è considerato dipendente dagli aiuti umanitari quando almeno il 10 per cento del suo pil proviene da aiuti stranieri. Negli ultimi vent’anni il 40 per cento del pil dell’Afghanistan è arrivato da fondi internazionali e, ora che tanti paesi si rifiutano di riconoscere il governo dei taliban, gli esperti avvertono che il paese si avvia rapidamente verso una catastrofe economica.
Parlando all’Atlantic council pochi giorni fa, l’ex governatore generale della banca centrale afgana, Ajmal Ahmady, ha detto che il pil del paese potrebbe contrarsi del 10-20 per cento se non saranno abolite le sanzioni internazionali. Zabihullah Mujahid, portavoce dei taliban, ha affermato che il suo governo spera che Cina e Russia compensino le mancate entrate dall’occidente. Finora, però, né Pechino né Mosca l’hanno fatto.
Polvere e sporcizia
La crisi incombente e la scarsità di liquidità sono già evidenti in molti quartieri di Kabul. Abdullah, un uomo di circa quarant’anni, prima guadagnava l’equivalente di 170 euro al mese come militare in servizio. Anche se i taliban hanno chiesto alle forze di sicurezza di ripresentarsi a rapporto, Abdullah non è ancora stato richiamato. Ha trovato lavoro come operaio, trasporta le merci che le persone comprano e vendono per guadagnare poche centinaia di afgani al giorno, nella speranza di riuscire a pagare l’affitto mensile di tremila afgani (29 euro) e sfamare la sua famiglia. “Ho fatto il mio dovere. Ho servito il mio paese ma ora sono comunque condannato a respirare polvere e sporcizia trasportando merci per dar da mangiare ai miei otto figli”. Nonostante l’enorme afflusso di beni, nemmeno i commercianti improvvisati che conducono le loro attività sui marciapiedi riescono a guadagnare. Dopo aver esaminato sul tettuccio di un taxi una nuova fornitura di canovacci e cuscini appena arrivata, Zalmai, uno dei negozianti, commenta che non ci ricaverebbe molto, come da qualsiasi altra cosa venduta nell’ultimo mese. “I ministeri e gli uffici sono chiusi, la disoccupazione è alle stelle e i prezzi anche. Le persone vendono i loro averi con enormi perdite e gli acquirenti, quando ci sono, li pagano una miseria”, racconta mentre un cliente gli chiede se un televisore Sony Bravia funziona. Quella tv in passato gli avrebbe fruttato diverse centinaia di dollari, spiega, ma oggi è disposto a liberarsene per undicimila afgani (107 euro) se il compratore paga subito e in contanti. “Questa è l’amara realtà in cui ci siamo ritrovati”, dice quando il cliente se ne va.
Anche gli affari di Abdul Qadi, un altro negoziante che vende scaffali e letti per strada, vanno male: “Come si fa a pensare di guadagnarci qualcosa quando bisogna preoccuparsi di mettere da mangiare in tavola ogni giorno?”.
Per molte persone vicine alla zona di Chaman-e Hozori la colpa dell’attuale situazione in Afghanistan non è solo dei taliban. Un autista che consegna oggetti per la casa si rivolge a un negoziante vicino dicendo: “Qualcuno faccia una foto e la mandi ad Ashraf Ghani”, l’ex presidente fuggito negli Emirati Arabi Uniti il 15 agosto. “Mandategliela e ditegli: ‘Spero che tu stia bene. Adesso guarda il disastro che ti sei lasciato alle spalle’”. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1427 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati