Racconta la fotografa Carla Cerati di quando, alla fine degli anni sessanta, insieme a Berengo Gardin entrò per la prima volta in un manicomio a fare delle fotografie. Avevano una missione oltre la fotografia: distruggere un sistema. Erano stati invitati da Franco Basaglia per mostrare al mondo fuori la crudeltà di quei luoghi. C’era lì tra i matti uno che non aveva più mutande, con una mantellina militare sulle spalle, buttato a terra tra i propri escrementi. Cerati non lo fotografò, non c’era bisogno. Sarebbe andata oltre lo scopo, avrebbe umiliato un essere umano all’apice del suo dolore. Nonostante questo pudore, le loro foto fecero scalpore e contribuirono a distruggere un sistema. Si può destare scandalo pur mantenendo il pudore, non quello ipocrita che ci fa vergognare di una naturale sessualità, ma il pudore che è il passo indietro dello sguardo. Ogni nostro sguardo è intriso di pregiudizi, viene da lontano: i pregiudizi guidano lo sguardo, lo determinano. Quando guardiamo il cielo vediamo costellazioni. Ma è importante riconoscere il peso del pregiudizio, sforzarsi di comprenderlo, smascherarlo dolcemente. Fermarci a guardarci guardare. In questa esitazione, in questa pausa dello sguardo, consiste il pudore che oggi più che mai, nell’epoca del giudizio assoluto, mi sembra prezioso per scardinare tutti i segreti manicomi.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 12. Compra questo numero | Abbonati