Petra e Stefan hanno creato il circo Soluna trent’anni fa: un circo che si sposta su carri trainati da cavalli che portano capre, galline e oche, gatti e cani, e molti bambini. Arrivano in un paese, cercano un campo incolto dove accamparsi e far pascolare gli animali, cucinano sul fuoco o su una cucina solare, chiedono solo acqua e uno spazio per montare la piccola tribuna in legno. Fanno due spettacoli e ripartono per un altro paesino. Il primo documentario che ho fatto, insieme a Pier Paolo Giarolo, fu solo uno stratagemma per passare del tempo con loro: avrei imparato l’arte circense da Petra e Stefan e poi avrei buttato alle ortiche quella stupida macchina da presa. Non andò così, ma siamo ancora amici. Vado a trovarli vicino a Spoleto, dove sono accampati sotto le rovine di un’acciaieria abbandonata. Stefan è triste, non parla molto. Dice che in tutti questi anni il pubblico è cambiato, soprattutto nelle campagne. Le persone sono più fragili, eppure più arroganti. Secondo lui manca una visione, sono abbandonate a se stesse, alle loro cose. Mi pare assurdo che oggi con tutti questi schermi, in questo gran guardare e guardarsi, manchi una visione di dove stiamo andando. Per la gente del circo è diverso: sanno che possono percorrere solo sette chilometri al giorno. Si siedono attorno al fuoco e guardano la mappa, misurando pian piano un paese che non conosce più le proprie strade.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati