◆ Petra e Stefan hanno creato il circo Soluna trent’anni fa: un circo che si sposta su carri trainati da cavalli che portano capre, galline e oche, gatti e cani, e molti bambini. Arrivano in un paese, cercano un campo incolto dove accamparsi e far pascolare gli animali, cucinano sul fuoco o su una cucina solare, chiedono solo acqua e uno spazio per montare la piccola tribuna in legno. Fanno due spettacoli e ripartono per un altro paesino. Il primo documentario che ho fatto, insieme a Pier Paolo Giarolo, fu solo uno stratagemma per passare del tempo con loro: avrei imparato l’arte circense da Petra e Stefan e poi avrei buttato alle ortiche quella stupida macchina da presa. Non andò così, ma siamo ancora amici. Vado a trovarli vicino a Spoleto, dove sono accampati sotto le rovine di un’acciaieria abbandonata. Stefan è triste, non parla molto. Dice che in tutti questi anni il pubblico è cambiato, soprattutto nelle campagne. Le persone sono più fragili, eppure più arroganti. Secondo lui manca una visione, sono abbandonate a se stesse, alle loro cose. Mi pare assurdo che oggi con tutti questi schermi, in questo gran guardare e guardarsi, manchi una visione di dove stiamo andando. Per la gente del circo è diverso: sanno che possono percorrere solo sette chilometri al giorno. Si siedono attorno al fuoco e guardano la mappa, misurando pian piano un paese che non conosce più le proprie strade.
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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati