Sposare un capotreno era un mito della mia generazione di provincia: ancora si diceva che il matrimonio potesse essere una soluzione per sistemarsi, e il capotreno aveva una serie di privilegi ineguagliabili, come il fatto che i suoi familiari viaggiavano gratis, i figli fino a 25 anni, la moglie per sempre. Il treno era per noi la porta dell’altrove. Si poteva andare ovunque, da Chiusi a Ulan Bator c’erano solo due cambi. Ci si addormentava a Venezia e ci si svegliava a Budapest, si facevano sogni incredibili tra Roma e Parigi. I treni a lunga percorrenza erano a portata di tutti, ed erano la prova che le frontiere erano illusioni, che la terra si poteva attraversare. Durante le riprese della Chimer a abbiamo girato sul vecchio Trans Europa Express, un treno mitico che ha inventato l’Europa prima ancora della politica, tant’è che i Kraftwerk l’hanno cantato in uno dei loro dischi più belli. Un anziano capotreno ci ha raccontato che secondo lui gli scompartimenti interni dei vagoni sono stati eliminati per evitare il contatto tra i viaggiatori, che altrimenti si coalizzerebbero per esporre lamentele. E che le panchine nelle stazioni sono state tolte perché stare scomodi nell’attesa riduce le proteste durante il viaggio. A me sembra fantascientifico che qualcuno lo abbia pensato. Come mi sembra fantascientifico che Ulan Bator sia ora irraggiungibile, e che i pendolari della provincia debbano aspettare 45 minuti in una galleria per far passare il Frecciarossa che ha sempre la precedenza.

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati