Il mandato della presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni, cominciato nell’ottobre 2022, è entrato in una nuova fase. Mentre il tandem Donald Trump-Elon Musk scuote la democrazia statunitense, a Roma si teme una deriva illiberale, con conflitti sempre più gravi tra le istituzioni e con un sistema di pesi e contrappesi sotto attacco. Al tempo stesso Meloni ha sull’opinione pubblica una presa più salda che mai, proponendosi come una delle figure di spicco di una costellazione nazionalista e reazionaria globale i cui rappresentanti, da Buenos Aires a Berlino, sentono di avere il vento della storia a favore.
Secondo l’istituto di sondaggi Youtrend, il dato è del 31 gennaio, Fratelli d’Italia (FdI), erede del Movimento sociale italiano, che fu fondato da esponenti della dittatura fascista, ha il 30 per cento delle preferenze nelle intenzioni di voto. Superando il 26 per cento delle politiche del 2022 e il 29 per cento delle europee del 2024.
La coalizione guidata da Meloni, che ha componenti di estrema destra e di centrodestra, ottiene più del 49 per cento dei consensi. Non siamo di fronte a un movimento di protesta, ma a una parte significativa dell’elettorato che manifesta così il suo netto sostegno a una figura politica e al suo progetto. Meloni nelle sue precedenti vite politiche poteva essere descritta come “populista” o “contro il sistema”, alla stregua dei britannici favorevoli alla brexit, di Trump nel 2016 o dei dirigenti del Rassemblement national. Oggi invece è lei il sistema. E le vecchie istituzioni repubblicane italiane tendono a essere presentate dal suo partito come degli ostacoli ingombranti.
Il parlamento è in difficoltà. Secondo la fondazione Openpolis, il governo sta dettando il ritmo dei lavori, imponendo una raffica di decreti legge, in numero pari a quelli adottati durante la pandemia. Inoltre l’esecutivo italiano è in guerra con la magistratura, che a suo dire frena le “soluzioni innovative” per la politica migratoria, come l’avvio più che complicato dei centri di detenzione italiani in Albania.
Cause contro i giornalisti
Al centro di questo scontro tra le istituzioni ci sono il rilascio e il rimpatrio ordinati dalle autorità italiane del capo della polizia giudiziaria libica, destinatario di un mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità emesso dalla Corte penale internazionale. Meloni – che si è rifiutata di dare una spiegazione in parlamento sulle decisioni prese dal governo in questa vicenda – ha ricevuto un avviso di garanzia dal procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi. A sua volta la procura di Perugia ha aperto un’indagine nei confronti di Lo Voi dopo aver ricevuto un esposto del dipartimento che coordina le agenzie di intelligence, cosa piuttosto insolita, in cui si accusa il magistrato di aver divulgato documenti riservati in un altro caso.
Il sistema di pesi e contrappesi sembra in discussione. Meloni fa conferenze stampa solo in casi eccezionali e i suoi ministri moltiplicano le cause per diffamazione contro i giornalisti.
A tutto questo si aggiunge il caso della Paragon: l’azienda israeliana che commercializza software di spionaggio che hanno violato i telefoni di due operatori umanitari impegnati nel soccorso dei migranti nel mar Mediterraneo e in quello di un giornalista di Fanpage, il giornale online che aveva svelato l’antisemitismo e l’ostentazione di retaggi fascisti all’interno di Gioventù nazionale, l’organizzazione giovanile di Fratelli d’Italia. La presidenza del consiglio ha assicurato che queste persone non erano sotto la sorveglianza dei servizi segreti, ma la Paragon, che si vanta di rispettare le regole democratiche, ha annunciato di aver cancellato il suo contratto con Roma.
Meloni mantiene la sua posizione in un contesto di generale indebolimento delle istituzioni democratiche. Se i grandi progetti e le riforme del suo mandato si arenano si possono sempre incolpare gli oppositori interni – il più delle volte i giudici – accusandoli di lavorare contro gli interessi della “nazione”, un termine rilanciato nel vocabolario politico italiano dalla leader dell’estrema destra.
Meloni, decisa a personalizzare la sua azione politica invitando gli elettori a chiamarla per nome, ha creato una narrazione efficace basata su una visione plebiscitaria della democrazia. È riuscita a proiettare l’immagine di leader seria capace anche di apparire familiare, una madre single stacanovista al servizio di un paese che si suppone stia tornando grande. Il suo attivismo sulla scena internazionale racconta un’Italia che finalmente, e a tempo di record, ha conquistato il posto che le spetta in un nuovo gruppo di “nazioni” in cui il diritto internazionale e il progetto europeo passano in secondo piano.
Voglia di nucleare
La presidente del consiglio, alleata con la lobby degli agricoltori, esalta il patriottismo manifatturiero contro le normative sovranazionali. Nonostante una crescita economica limitata e un sistema sanitario in crisi, ispira sogni di grandi progetti infrastrutturali che in Italia spesso suscitano disapprovazione e che poi si bloccano. Meloni riaccende la voglia di tornare al nucleare, che era stato abbandonato con un referendum, e promette di fare dell’Italia uno snodo essenziale per le forniture europee di idrocarburi dall’Africa. Allo stesso tempo promuove un immaginario spaziale nazionale, in sintonia con le visioni dell’amico Elon Musk. Meloni, che si definisce conservatrice, sostiene di tracciare una rotta per il futuro. Non importa se i risultati concreti stentano a materializzarsi. Tutto andrà bene fino a quando questa visione politica continuerà ad avere presa sugli elettori e l’opposizione, divisa, non ne formulerà una nuova. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1601 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati