Non c’è altra spiegazione: con l’approvazione degli Stati Uniti, Israele ha consapevolmente violato l’accordo di cessate il fuoco con Hamas perché non voleva rispettare pienamente i termini che aveva accettato due mesi fa.
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Hamas è un’organizzazione terroristica violenta e la guerra è cominciata per sua iniziativa e responsabilità, con l’attacco a sorpresa nel sud di Israele del 7 ottobre 2023. Ma gli abusi psicologici inflitti agli ostaggi israeliani e alle loro famiglie nel corso degli ultimi scambi di prigionieri non possono essere considerati una violazione sostanziale della tregua commessa dalla milizia. È stato il governo israeliano a non rispettare l’accordo, non completando il ritiro delle sue forze dalla Striscia nelle ultime settimane, in particolare dal corridoio Filadelfi, al confine tra Gaza e l’Egitto. Hamas non ha voluto far finta di niente e procedere comunque al rilascio degli ostaggi, come prevedeva una proposta avanzata dagli Stati Uniti, causando uno stallo nei negoziati. In risposta, il 18 marzo Israele ha ripreso gli attacchi.
Secondo Hamas, da quel giorno sono stati uccisi più di 970 palestinesi negli attacchi aerei su Gaza. Tra le vittime ci sono alti funzionari e impiegati degli uffici governativi dell’organizzazione. In seguito potrebbero arrivare bombardamenti su vasta scala e un’altra ampia operazione di terra guidata dal nuovo capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Eyal Zamir.
Zamir ha dichiarato che per attuare il piano servono varie divisioni dell’esercito. Questo significherebbe richiamare nuovi riservisti, in un momento in cui non c’è un reale consenso pubblico sulle motivazioni del ritorno alla guerra. Il primo ministro Benjamin Netanyahu probabilmente sosterrà che solo la rinnovata pressione militare consentirà di riportare a casa i 59 ostaggi, sia vivi sia morti. Ma questa giustificazione non è più convincente.
Quasi 40 ostaggi sono morti in varie circostanze a Gaza da quando sono stati sequestrati in territorio israeliano il 7 ottobre 2023. La rinnovata pressione militare metterebbe in pericolo i sopravvissuti, potrebbe peggiorare le loro condizioni di prigionia e, in uno scenario estremo, spingere Hamas a fargli del male per rappresaglia. Com’è emerso dalle testimonianze di alcuni ostaggi liberati negli ultimi due mesi, Hamas li spostava spesso da un luogo all’altro. Le agenzie di sicurezza israeliane non avevano informazioni precise e in tempo reale sulla loro posizione. Questo significa che sarà impossibile condurre raid aerei e operazioni di terra con la certezza che gli ostaggi resteranno illesi.
Il giorno prima dei bombardamenti israeliani a Gaza, gli Stati Uniti e il Regno Unito hanno lanciato un attacco contro i miliziani sciiti huthi nello Yemen. Il presidente statunitense Donald Trump ha minacciato di colpirli ancora più duramente e ha avvertito l’Iran che lo considererà responsabile di qualsiasi attacco degli huthi contro gli statunitensi. La minaccia, che arriva mentre gli Stati Uniti cercano di riportare Teheran al tavolo dei negoziati sul suo programma nucleare, fa salire le tensioni tra i due paesi. Dopo l’inizio della tregua a Gaza, gli huthi avevano smesso di lanciare razzi e droni contro Israele. Ora è probabile che riprenderanno i loro tentativi di colpire il centro di Israele, in solidarietà con Hamas.
◆ Il 19 marzo 2025 migliaia di persone hanno manifestato davanti alla residenza del premier Benjamin Netanyahu e agli edifici governativi a Gerusalemme per protestare contro l’annuncio del licenziamento del capo dei servizi segreti interni Ronen Bar. L’estromissione di Bar è considerata un attacco alla democrazia israeliana e un tentativo del primo ministro di sottrarsi alla giustizia, visto che l’agenzia guidata da Bar sta indagando su uno scandalo di tangenti dal Qatar in cui sono coinvolti alcuni stretti collaboratori di Netanyahu. Gli inviti a scendere in piazza si sono intensificati dopo la ripresa della guerra a Gaza, con i manifestanti che chiedono di dare la priorità al ritorno a casa degli ostaggi. The Jerusalem Post
Decisioni contraddittorie
Intanto Netanyahu sta cercando di licenziare Ronen Bar, il capo dello Shin bet, i servizi segreti interni. Il 16 marzo il primo ministro ha avuto un breve colloquio con Bar per annunciargli il licenziamento ed entrambi sapevano già che la ripresa dei bombardamenti era imminente. Bar ha fatto parte anche del gruppo ristretto di persone con cui il premier si è consultato la sera del 17 marzo. Solo sotto Netanyahu poteva verificarsi una situazione simile: se non ha fiducia nel capo dello Shin bet, come dice, perché continua a includerlo negli incontri riservati?
Data l’indagine in corso su tre consiglieri di Netanyahu accusati di aver ricevuto fondi dal Qatar, il premier avrebbe dovuto evitare qualsiasi mossa contro Bar. C’è qualcosa di preoccupante in questo regolamento di conti, soprattutto perché l’indagine dello Shin bet sui fallimenti della sicurezza israeliana prima del 7 ottobre include dure accuse contro Netanyahu per la sua politica di trasferimento di fondi del Qatar ad Hamas. Nel rapporto si legge che lo Shin bet aveva avvertito il primo ministro del fatto che parte del denaro era usato direttamente per attività terroristiche.
L’operazione israeliana a Gaza sarà giustificata come un passo necessario per sbloccare lo stallo nei negoziati e, allo stesso tempo, per mantenere la promessa di sconfiggere Hamas, anche se le tempistiche di questi due obiettivi non sono allineate. Gli ostaggi potrebbero morire prima della sconfitta di Hamas, se mai avverrà. Ma soprattutto, il premier ha una serie di obiettivi politici urgenti che non ammette pubblicamente, come approvare il bilancio e stabilizzare la coalizione. Intanto è riuscito a riportare nella maggioranza di governo Itamar Ben Gvir e il suo partito di estrema destra Potere ebraico (il ministro per la sicurezza nazionale se n’era andato il 19 gennaio, quando era entrato in vigore il cessate il fuoco a Gaza).
Questa volta la sopravvivenza politica di Netanyahu dipende dal mantenere la pressione su Gaza, compreso il tentativo di distogliere l’attenzione dei mezzi d’informazione dalle proteste contro il suo governo per il piano di licenziare Bar. Il vero obiettivo di Netanyahu sembra sempre più chiaro: un graduale scivolamento verso un regime autoritario, da far sopravvivere con una guerra perpetua su più fronti. Nel video che ha pubblicato sul tentativo di licenziare Bar, Netanyahu parla di “una guerra su sette fronti”. E gli ostaggi? Dal suo punto di vista, potrebbero anche morire nei tunnel, se questo gli servisse per restare al potere. ◆ dl
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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati