La Volkswagen blindata della candidata presidenziale, scortata da alcune auto della guardia nazionale, della polizia e dell’esercito, sfreccia su una superstrada nello stato di Michoacán. Sui pianali dei pick-up ci sono uomini armati con fucili d’assalto. In ritardo come sempre, il corteo di auto si sta dirigendo verso il prossimo appuntamento della campagna elettorale, quando all’improvviso si blocca: al bordo della strada si è raccolta una folla di circa duecento persone che vogliono vedere quella che presto potrebbe diventare la prima donna presidente del Messico. Per i responsabili della sicurezza, una folla così è un rischio dalle conseguenze imprevedibili: che fare se qualcuno dovesse tentare di rapire o assassinare la candidata? Il Michoacán è uno degli stati più pericolosi di un paese violento.

La portiera dal lato del passeggero della Volkswagen argentata si apre. Claudia Sheinbaum, 61 anni, ex sindaca di Città del Messico, scende dall’auto e si tuffa tra la folla festante, si fa abbracciare e posa per qualche foto. Tutti vogliono toccarle il viso e i capelli legati stretti. Lei si lascia festeggiare come se fosse già stata eletta.

A più di 1.500 chilometri di distanza, in un deserto nel nord del paese, quella stessa sera sale su un palco la sfidante di Sheinbaum: Xóchitl Gálvez, 61 anni anche lei. “Presidenta!”, le gridano i suoi sostenitori. Anche Gálvez punta a diventare la prima donna presidente del Messico. Della sua avversaria non dice mai il nome, ma si limita a chiamarla “donna delle bugie”. Gálvez attribuisce al partito di Sheinbaum, Morena, la responsabilità della presenza dei gruppi criminali in Messico. “Vogliamo sicurezza”, grida.

Il 2 giugno il paese va alle urne: oltre che per la presidenza si voterà per circa ventimila cariche politiche statali, federali e comunali. Sono le elezioni più sanguinose di sempre: negli ultimi mesi sono stati uccisi decine di politici, uomini e donne. Spesso dietro agli omicidi ci sono i potenti cartelli della droga. È raro che i responsabili paghino per quello che hanno fatto. Per la prima volta nella storia del paese – il più popoloso del mondo ispanofono con circa 128 milioni di abitanti – sarà una donna a ricoprire la più alta carica elettiva, quella di presidente.

Claudia Sheinbaum è la candidata del partito di sinistra populista del presidente in carica, Andrés Manuel López Obrador, che rimane un’eccezione nel panorama latinoamericano: alla fine dei suoi sei anni di mandato Obrador ha ancora l’appoggio di ben due terzi della popolazione. In base alla costituzione, però, non può ricandidarsi. Invece Gálvez è la candidata di un’ampia coalizione di partiti dell’opposizione, di centro e di destra, decisi a resistere come possono all’erede designata dal leader uscente. Il terzo candidato, un uomo, non ha possibilità di vincere.

Una presidente proprio in Messico, uno dei paesi con i maggiori tassi di violenza contro le donne? Negli Stati Uniti, che sulla carta sono più progressisti, Joe Biden e Donald Trump, due uomini bianchi, si sfideranno a novembre per il discutibile onore di diventare il presidente più anziano della storia del paese.

E intanto la prima donna a capo dello stato messicano avrà grande influenza sulla quotidianità degli statunitensi, viste le ripercussioni delle sue decisioni in tema di migrazione, traffico di droga e sicurezza. E lo stesso vale per l’economia: il Messico ha appena superato la Cina ed è diventato il primo partner commerciale degli Stati Uniti.

Senza paura

Quando Xóchitl Gálvez sale sul palco nel deserto dello stato di Sonora, il sole sta già tramontando. Siamo al confine con gli Stati Uniti, dove passano le rotte dei traffici dei cartelli messicani. Tra il pubblico una donna indossa una maglietta rosa con la scritta Xochilovers. Dice di chiamarsi Griselda ma non vuole che il suo cognome finisca sul giornale, “per ragioni di sicurezza”. Quattro anni fa hanno sparato a suo fratello in mezzo alla strada: sedici colpi senza nessun motivo. È sopravvissuto, ma è rimasto gravemente ferito. “La violenza”, dice Griselda, “è entrata nella nostra vita quotidiana”. Nelle ultime settimane nello stato di Sonora sono state uccise decine di persone: contadini scambiati per affiliati dei cartelli, donne che cercavano di attraversare il confine, due bambini di quattro e due anni.

“Il Messico è nelle mani della criminalità”, urla Gálvez dal palco. Il suo slogan elettorale è “Per un Messico senza paura”. Nei sondaggi arranca dietro alla sua avversaria: se si votasse oggi, Sheinbaum vincerebbe con un vantaggio di circa 20 punti percentuali. Ma da qui al giorno del voto possono succedere molte cose: un massacro, un cartello che prende in ostaggio una città, insomma un evento che potrebbe rovesciare la situazione. A quel punto la sua sarebbe una storia degna di Hollywood, l’ascesa di una donna nata povera che diventa la prima presidente di un paese maschilista. Gálvez sottolinea continuamente come lei, al contrario della sua avversaria, non venga da un ambiente privilegiato. “Mi chiedete perché ho la erre moscia”, dice in un video su TikTok. “Ci sono nata. Se avessi avuto i soldi, sarei andata da un logopedista”. Il messaggio è: sono una di voi.

Xóchitl Gálvez è nata nel 1963 a Tepatepec, una piccola località nel Messico centrale, senza elettricità né acqua corrente. I suoi genitori hanno origini native, il padre lavorava come maestro di scuola elementare ed era alcolista, la madre faceva la casalinga. La quarta dei loro cinque figli l’hanno chiamata Xóchitl, che in lingua azteca nahuatl significa “fiore”. Nei fine settimana, la bambina aiutava la madre a vendere dolci al mercato.

A 17 anni Gálvez si è trasferita a Città del Messico per studiare ingegneria informatica e nel frattempo lavorava come centralinista. Ha fondato due aziende tecnologiche e nel 1999 il forum economico mondiale di Davos l’ha invitata come una dei “cento leader globali del futuro”: è stata la prima donna messicana a ricevere l’invito. Eppure le cose sarebbero potute andare diversamente, come dimostra la vicenda della sorella, da dodici anni in carcere con l’accusa di far parte di una banda di estorsori.

Gálvez ha cominciato la sua seconda carriera entrando in politica quando ancora non aveva 40 anni. Ha diretto l’istituto nazionale dei popoli indigeni ed è stata una delle sedici presidenti di municipio di Città del Messico, contemporaneamente a Sheinbaum. Nel 2018 è stata eletta senatrice per il Partito d’azione nazionale (destra). Su temi come aborto, ecologia e politiche sociali, però, ha posizioni abbastanza progressiste.

Le stesse promesse

Come candidata alla presidenza Gálvez è riuscita in un’impresa che solo un anno fa sembrava impensabile: riunire tutti i partiti dell’opposizione. L’unica cosa che questi partiti hanno in comune è l’odio per Morena, il movimento fondato da Obrador nel 2014 e che alle elezioni del 2018 ha spodestato i partiti messicani tradizionali per la prima volta dopo più di ottant’anni. Quando Morena ha indicato Sheinbaum come candidata alla presidenza, anche l’opposizione ha sostenuto una donna, per smentire l’idea secondo cui i partiti sono tutti controllati da uomini bianchi e privilegiati. Gálvez e Sheinbaum non sono state sempre rivali: quando erano entrambe presidenti di municipio a Città del Messico collaboravano. Poi quando nel 2018 Sheinbaum si è candidata a governatrice di Città del Messico, Gálvez l’ha sostenuta. All’epoca Sheinbaum e López Obrador le avevano anche proposto di entrare nel loro partito, ma lei aveva rifiutato.

Al contrario della sua avversaria, Gálvez si vanta di non essere il burattino di un uomo potente. D’altra parte, però, ha posizioni politiche fin troppo simili a quelle di Sheinbaum e Obrador: ha promesso di portare avanti le politiche sociali del governo attuale, firmando addirittura un documento con il sangue. Durante la presidenza di López Obrador, infatti, circa 25 milioni di famiglie hanno ricevuto aiuti statali, il salario minimo è aumentato e la benzina e l’elettricità sono state ampiamente sovvenzionate.

Xóchitl Gálvez, candidata dell’opposizione di centrodestra. Città del Messico, 8 ottobre 2023 (Jair Cabrera Torres, Picture alliance/Ap/Lapresse)

Sheinbaum assicura che non interromperà le politiche di sostegno ai poveri, quindi Gálvez, per distinguersi, può solo puntare sulla sicurezza. Durante il comizio nel deserto di Sonora dichiara: “In Messico i criminali hanno un partito tutto loro e si chiama Morena”. Nelle ultime settimane è diventata più aggressiva, una specie di Donald Trump al femminile. “Ho due ovaie così”, grida, mandando il pubblico in visibilio. In spagnolo tener ovarios, avere le ovaie, significa avere coraggio. Che sia il coraggio della disperazione? Per ora Gálvez non riesce a scalzare Sheinbaum, che rimane la favorita.

Svolta energetica

Un gruppetto di persone in abiti tradizionali ferma Claudia Sheinbaum mentre si dirige verso il palco nella piazza dell’ex città coloniale di Uruapan. Sono tre donne e un uomo della popolazione nativa purépecha. Strofinano la candidata con mazzetti di erbe mediche essiccate e soffiano in corni di conchiglia. Da giorni, ovunque vada la candidata di Morena i nativi compiono questo rituale di purificazione. Come sempre Sheinbaum aspetta pazientemente che finisca, con le mani alzate. Poi, una volta sul palco, spiega che i purépecha le hanno insegnato tantissimo per quanto riguarda l’amore per la propria terra e la propria lingua. Ogni suo gesto è un messaggio elettorale: Gálvez ha origini native ma anche Sheinbaum, che discende da una famiglia di immigrati ebrei lituani e bulgari, si batte per conquistare il voto della popolazione indigena, circa il 20 per cento della società messicana.

Alle accuse dell’avversaria, risponde con un piglio volutamente presidenziale: “Ai messicani non piacciono l’odio e gli insulti”. Dal canto suo, vuole “governare con amore, per il bene di tutti, soprattutto dei poveri”. È uno slogan del presidente Obrador.

“Che mi dici Uruapan, corruzione o cambiamento?”, chiede dal palco. “Cambiamento”, grida la folla in risposta.

Sheinbaum annuisce come una maestra di fronte agli alunni che hanno fatto bene i compiti a casa. Il popolo, dice, vuole proseguire lungo il cammino del cambiamento sociale inaugurato sei anni fa da Obrador. Dietro al palco suonano le sirene della polizia.

Anche la candidata di Morena parla della sicurezza, ma solo a margine del discorso: servono prospettive per i giovani, perché non si uniscano ai cartelli della droga. È una posizione simile a quella del presidente, anche se durante il suo mandato il numero di omicidi non è diminuito. Il progetto che sta più a cuore a Sheinbaum è la pensione per le donne tra i 60 e i 64 anni. Dopotutto sono loro a occuparsi dei bambini e di mettere in tavola ogni giorno qualcosa da mangiare: “Con una donna alla guida del paese il lavoro delle donne messicane sarà finalmente riconosciuto”, esclama mentre la folla esulta. Quella che sta delineando è un’immagine della donna piuttosto tradizionale e diversa dal modello con cui è lei cresciuta. Sheinbaum è nata a Città del Messico nel 1962 da una coppia di ebrei laici attivi nel movimento studentesco del sessantotto e fin da giovanissima ha mostrato un forte interesse per la politica e per le scienze. La madre era biologa, il padre ingegnere chimico; lei ha preso una laurea in fisica e un dottorato in ingegneria ambientale e ha trascorso quattro anni a fare ricerca a Berkeley, in California, dove ha portato la figlia piccola. Dopo il suo ritorno nel paese ha insegnato all’Universidad nacional autónoma de México (Unam).

Il suo più grande esempio è stata la madre, racconta, ma a essere determinante per il suo percorso politico è stato un uomo conosciuto intorno al 2000: López Obrador, allora governatore di Città del Messico. È stato lui a nominarla ministra dell’ambiente e, quando ha fondato Morena, Sheinbaum è rimasta al suo fianco, diventando a sua volta governatrice della capitale nel 2018. Cinque anni dopo, quando il partito ha dovuto scegliere un candidato per le elezioni presidenziali, Sheinbaum ha avuto la meglio su cinque uomini, con l’appoggio di Obrador, a cui è fedele da quasi venticinque anni. Quando la Volkswagen si ferma a una stazione di servizio nel nord dello stato di Michoacán, dove sta per tenere il quarto e ultimo discorso della giornata, Shein­baum si ritira nel bagno per togliersi dai capelli i coriandoli che un gruppo di native le ha tirato durante un comizio. Poi in auto si accascia sui sedili posteriori, esausta. C’è qualche argomento su cui non è d’accordo con il presidente? È l’accusa più frequente che le viene mossa, anche da Xóchitl Gálvez: se dovessero eleggerla, dietro di lei, a muovere i fili ci sarebbe ancora López Obrador, dicono molti. Lui è il leader carismatico, lei solo una brava tecnica chiamata a coltivarne l’eredità.

“Be’”, risponde, “il mio mandato comincerà in un periodo diverso da quello in cui ha governato Obrador”. Fa una piccola pausa. “Per me contano molto l’ambiente e le energie rinnovabili. Anche se il petrolio è ancora una risorsa a cui il Messico non può rinunciate, bisogna puntare a una svolta energetica. Sei anni non sono abbastanza per cambiare un paese”. Prima di López Obrador, per decenni la classe dirigente messicana non si è mai occupata delle disuguaglianze.

Che ne sarà del Messico, se alla presidenza andrà un’altra donna, Xóchitl Gálvez? Sheinbaum alza le sopracciglia e sorride. “Non succederà”, dice.

È un venerdì di maggio e Gálvez si muove nel traffico della capitale sul suo fuoristrada. È sul sedile posteriore, pallida e sudata; torna da un comizio e si dirige verso il prossimo. Fuori dal finestrino si vedono i manifesti con scritto “Claudia Sheinbaum presidenta”. “Come va su Twitter?”, chiede Gálvez alla portavoce che è con lei. “Molto bene”, le risponde.

Poi Gálvez chiede all’autista di fermarsi da Starbucks ed entra nel bar accompagnata dalla portavoce e da un agente della sicurezza. Ci si aspetterebbe che qualcuno si girasse a guardarla e a fotografarla, come succede nei comizi. Invece nessuno sembra prestarle attenzione. La candidata si siede e comincia a guardarsi intorno, un po’ sorpresa. Fa una telefonata e si mostra indaffarata. È come se a prendere un caffè da Starbucks fosse arrivata una persona qualunque, non l’aspirante presidente del Messico. ◆sk

L’appello

◆ Il mensile messicano Letras Libres ha pubblicato nell’ultimo numero un appello firmato da decine di intellettuali, scrittrici e scrittori a votare per la candidata dell’opposizione di centrodestra Xóchitl Gálvez. “Abbiamo deciso di far sentire pubblicamente la nostra voce perché il governo di López Obrador e il suo partito vogliono portare avanti la deriva autoritaria per altri sei anni, e questa è una minaccia grave per la democrazia. Significa anche continuare con la corruzione politica e con la criminalità organizzata che controlla gran parte del paese”, si legge nell’appello. Sul sito SinEmbargo il giornalista Jorge Zepeda Patterson prende le distanze e scrive: “‘Vota per la democrazia, vota contro Morena’ (il partito di Obrador, al governo): gli intellettuali dietro questo slogan affermano che i cittadini devono difendere l’ordine democratico o si condanneranno a vivere nel dispotismo. Ma ci vuole una certa dose di superbia per pensare che la maggioranza dei messicani – il 60 per cento – che appoggia ancora il progetto sociale e politico di Obrador e della sua candidata Claudia Sheinbaum si sbagli. Non è un atteggiamento democratico”.


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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati