Più di mille anni fa le carovane trasportavano la seta e il cotone dalla Cina in Europa mentre lana, vetro, oro e argento viaggiavano in direzione opposta. Le città nelle oasi dell’Asia centrale erano nodi importanti delle antiche vie di comunicazione, una vera e propria rete di rotte commerciali.

La sorprendente scoperta delle tracce di una città medievale in Uzbekistan a più di duemila metri di altitudine dimostra che la rete si estendeva fino alle aspre zone montuose. “Abbiamo portato alla luce il più grande centro urbano costruito sui monti dell’Asia centrale”, afferma Michael Frachetti, archeologo della Washington university di Saint Louis e uno dei coordinatori del gruppo di ricerca.

“È insolito trovare un insediamento grande quanto una città in un paesaggio montano”, spiega Søren Michael Sindbæk dell’università danese di Aarhus. Le città premoderne a quell’altitudine sono rarissime: Tiwanaku in Bolivia, Cuzco in Perù e Lhasa in Tibet sono tra le poche note. Secondo Sindbæk la scoperta “potrebbe riscrivere la storia dell’Asia centrale” dimostrando che le popolazioni di pastori nomadi erano in grado di mantenere in vita una città anche se lontana dalle fertili terre agricole. Alla luce di questo studio, pubblicato su Nature, anche altri ricercatori intendono adottare lo strumento usato dal team: un laser montato su un drone che vola a bassa quota.

In passato si pensava che le rotte commerciali tra Europa e Cina attraversassero le città di pianura come Bukhārā e Samarcanda, nell’odierno Uzbekistan. Pur sorgendo nel deserto, infatti, quelle città avevano acqua in abbondanza ed erano circondate da terre fertili. Nel 2011, però, Frachetti e Farhod Maksudov del Centro archeologico nazionale di Samarcanda hanno trovato per caso una cittadina medievale a 2.100 metri sul livello del mare in una regione dell’Uzbekistan orientale. Il sito di circa dodici ettari, Tashbulak, comprende fortificazioni di pietra, una zona per la lavorazione del metallo e la produzione artigianale, e un cimitero. Le monete, il vasellame e la datazione al radiocarbonio ci dicono che risale al 750 dopo Cristo.

Nel 2015, durante gli scavi di Tashbulak, a cinque chilometri di distanza i ricercatori hanno notato un sito, che gli abitanti chiamavano Tugunbulak, con rovine ancora più estese. “Sulle prime ero scettico” perché sembrava troppo grande, ha ricordato Maksudov. Il clima inclemente, il terreno accidentato e le dimensioni dei due siti rendevano complicati i metodi di rilevamento tradizionali.

I ricercatori hanno perciò usato il lidar, una tecnologia che permette di perlustrare la superficie terrestre emettendo impulsi laser e misurando il tempo che impiegano a tornare indietro. Lo strumento è spesso montato sugli aerei e usato per mappare i contorni del terreno in caso di fogliame molto fitto. Grazie ai recenti progressi tecnologici, però, è stato possibile montarlo sui droni che volano a bassa quota. Nel 2022, approfittando della scarsa vegetazione, gli archeologi ne hanno fatto sorvolare uno 22 volte sul sito, riuscendo a raccogliere molti dati ad alta risoluzione che mostrano la complessità della superficie. “Mi ha sorpreso la quantità di dettagli che lo strumento è in grado d’individuare in un campo aperto”, dice Sindbæk. E Frachetti aggiunge: “Siamo riusciti a catturare le linee impercettibili” delle rovine architettoniche, che hanno fornito dettagli precisi su dove cercare. Dal 2022 il team ha condotto gli scavi ogni estate.

Una cittadella fortificata

Con i suoi 120 ettari, Tugunbulak è grande più della metà dell’antica Samarcanda, una delle principali città medievali dell’Asia centrale, chiamata anche Afrasiab. In uno dei suoi quattro settori c’è una zona di trenta ettari con quattro grandi cittadelle che probabilmente ospitavano cinquemila abitanti in più di trecento strutture. Le mura e le torri in pietra e terra battuta sorgevano lungo crinali strategici che fungevano da perfetti baluardi.

Gli scavi hanno rivelato una grande fonderia di ferro fortificata, con fornaci a cupola che forse producevano anche acciaio. Grazie agli abbondanti minerali ferrosi dei depositi vicini, Tugunbulak era un importante centro per la produzione e l’esportazione di oggetti di metallo – manufatti per l’equitazione, l’agricoltura e la guerra – molto preziosi in Asia centrale durante il medioevo.

La datazione al radiocarbonio e le monete trovate indicano che la città è stata occupata dalla fine del sesto secolo all’inizio dell’undicesimo, quando la via della seta era più frequentata. In quel periodo i traffici della zona e i centri abitati come Samarcanda erano controllati dai sogdiani, gli agricoltori dell’Iran orientale, e si pensava che i pastori turchi delle steppe orientali vivessero più in periferia.

Vista la pianta e la presenza di fortificazioni e manufatti, Frachetti ritiene invece che quella città montana fosse “un’entità politica a sé stante”, probabilmente al di fuori del controllo dei sogdiani e governata dai pastori turchi. L’assenza di strutture all’interno delle zone fortificate fa pensare che gli occupanti fossero nomadi. Secondo lui in estate montavano le iurte all’interno e intorno alle mura, mentre in inverno si spostavano con le greggi in pianura, nella tipica transumanza dei pastori di pecore e capre.

“La scoperta stimolerà gli studiosi a ripensare la tradizionale divisione tra società agricole e culture nomadi dedite alla pastorizia”, prevede Sanjyot Mehendale, un’archeologa dell’università della California a Berkeley che si è unita al team. Per lei, inoltre, la scoperta va ad aggiungersi alle prove sempre più numerose del fatto che le zone montuose hanno favorito le connessioni regionali e non solo fornendo merci preziose come il metallo.

Per confermare che Tugunbulak era grande quanto sembra, e non un insediamento più piccolo che nel tempo ha cambiato posizione, occorre continuare a scavare, avverte Sindbæk. E Frachetti annuncia che sarà l’obiettivo degli scavi della prossima estate.

Dal canto loro, altri archeologi che lavorano in Asia centrale pensano di sfruttare le ricognizioni con il lidar. “La scoperta trasformerà il dibattito sulla natura degli insediamenti urbani nell’intera regione”, dice l’archeologo Tim Williams dello University college London. “Il metodo innovativo darà senz’altro il via a una nuova ondata di rilevamenti nella zona. Noi lo useremo di sicuro”. ◆ sdf

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Questo articolo è uscito sul numero 1587 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati