Quando ha sentito tremare le mura di casa e ha visto i vetri delle finestre andare in frantumi, Artem Pivovarov ha capito che la guerra era davvero arrivata. “Un conto è guardarla in tv, un altro è quando ti cadono le bombe sulla testa”, dice. Pivovarov ha 29 anni e faceva il fioraio a Kiev. La guerra lo ha costretto a scappare. Gestiva il negozio insieme alla moglie Yana: “Avevamo investito tutti i nostri risparmi in quell’attività”. Ha resistito due giorni sotto le bombe, poi ha preso qualche vestito e da mangiare per il figlio, ed è partito.

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“Tutto il nostro mondo è sparito in poche ore”, racconta, mentre il figlio di tre anni, Egor, gioca con il cappello di lana nella sala d’attesa della stazione di Leopoli, una città dell’Ucraina occidentale a settanta chilometri dalla frontiera con la Polonia. Migliaia di persone stanno arrivando da tutto il paese per provare a lasciarsi la guerra alle spalle. Ma gli ultimi chilometri prima del confine rischiano di essere i più difficili: le strade sono interrotte dai posti di blocco, dalle barricate fatte con sacchi di sabbia e copertoni, e l’attesa per salire sui treni che portano a Przemyśl, in Polonia, può durare ore. Inoltre molte famiglie sono costrette a separarsi: gli uomini dai diciotto ai sessant’anni non possono uscire dal paese, perché potrebbero essere chiamati a combattere contro l’esercito russo nel conflitto in cui sono già morti almeno 350 ucraini. È per questo che Pivovarov ha deciso di rifugiarsi per qualche settimana a casa dei genitori della moglie, in una località di campagna al confine con la Slovacchia.

“Chi lascia il paese rischia la prigione e non vorrei finirci, ma non voglio nemmeno separarmi dalla mia famiglia”, spiega. Nella sala d’attesa liberty e decadente della stazione, alcuni dormono sulle panche di legno, altri guardano nervosamente il tabellone degli orari, aspettando qualche indicazione. Nella sala più grande c’è un forte odore di urina e l’aria è quasi irrespirabile per la massa di persone accalcate. Gruppi di volontari con una pettorina gialla si fanno largo tra la folla per distribuire cibo e acqua, giochi, caramelle e succhi di frutta per i bambini.“I treni sono presi d’assalto, non si fa nemmeno il biglietto in questi giorni”, racconta Pivovarov, che ci ha messo quasi tre giorni a raggiungere Leopoli da Kiev. Il momento più difficile è stato quando a Bila Cerkva, una città a sud di Kiev, sono suonate le sirene antiaeree, mentre era sulla banchina della stazione e teneva il figlio per mano. Poco dopo è caduta una bomba. “Siamo rimasti immobili, paralizzati. Non sapevamo cosa fare, era impossibile scappare”. La bomba è caduta a due chilometri da loro. Al figlio ha raccontato che la città dov’è nato “dev’essere riparata, perché si è rotta” e per questo non andrà più all’asilo e l’intera famiglia si trasferirà in un altro posto per un po’. “Come si fa a spiegare a un bambino di tre anni cos’è la guerra?”.

Al contrario di Pivovarov, Kostjantyn Tymošenko, quarant’anni, è intenzionato a raggiungere Kiev in tutti i modi. È appena arrivato a Leopoli dalla Polonia con un autobus di volontari polacchi e sta aspettando un treno che lo porti nella capitale. Vuole entrare nelle milizie di difesa, gruppi di cittadini armati che stanno organizzando la resistenza, sotto il coordinamento dell’esercito ucraino. “Mio fratello è a Kiev, nessuno dei miei familiari vuole lasciare la città. Combatteremo, non vogliamo tornare sotto il controllo dei russi”, spiega. Negli ultimi due mesi ha vissuto a Mosca, in Russia, dove faceva il cameraman in una casa di produzione cinematografica. Ma quand’è scoppiata la guerra non ha avuto dubbi sulla necessità di tornare a casa. Anche se non è stato facile: ha dovuto prendere un aereo per la Finlandia, poi andare a Varsavia, e attraversare il confine su un pullman carico di aiuti umanitari. A Kiev l’aspettano la moglie e la figlia di sedici anni: “Anche loro resteranno in città”.

Secondo Tymošenko, anche se i russi hanno un esercito ben equipaggiato e potente, gli ucraini sono più motivati e questo li aiuterà. “Loro vengono a morire per la guerra di Putin, noi stiamo difendendo le nostre città”, afferma nascondendo la paura dietro un’espressione sicura. “Nessuno si aspettava che il comico Volodymyr Zelenskyj fosse così coraggioso in questa situazione, che non scappasse alla prima occasione, e invece…”, scherza sul presidente ucraino, che è stato un attore e un comico prima di entrare in politica. Le ultime notizie dicono che a Kiev sono stati bombardati la torre della tv e il memoriale di Babyn Jar alle vittime dell’olocausto. Tymošenko legge le notizie sul telefono: “Ho visto i video dei palazzi bombardati, c’è il coprifuoco, gli ucraini sono in cerca dei sabotatori russi, i soldati accusati di essersi infiltrati nelle truppe ucraine. La città è irriconoscibile”.

Secondo le autorità polacche almeno 22mila ucraini hanno attraversato il confine per tornare nel loro paese a combattere. Tra loro c’è anche Lila Suprun, una donna di Odessa che lavorava come operaia in un’azienda tessile in Polonia. “Chi scappa ha figli, famiglia. Io sono sola, i miei genitori sono a Odessa e i miei fratelli lavorano in giro per l’Europa. Tornare era l’unica cosa che mi sono sentita di fare, non riuscivo a stare lontana”, racconta. Non la lasceranno andare al fronte perché non ha l’autorizzazione dell’esercito, ma chiederà delle armi per entrare nei gruppi di difesa organizzati dai civili. Aspetta seduta sulle valigie in uno dei sottopassaggi della stazione di Leopoli, mentre davanti a lei continua ad allungarsi la fila delle persone che vogliono prendere il treno per la Polonia, soprattutto donne con bambini e anziani. “Se qualcuno salta la fila rischia di essere linciato”, commenta Suprun. Il pericolo più grande è che qualcuno resti schiacciato dalla calca quando la polizia aprirà il cancello del binario da cui partono i treni.

Daria Ivaščenko, 22 anni, appena arrivata da Kiev, è in fila con la sorella e il padre e altre centinaia di persone. L’uomo ha accompagnato le figlie alla stazione di Leopoli per assicurarsi che salgano sul treno. Le saluterà e poi tornerà a Kiev. Ivaščenko è avvolta in una coperta di lana, non lascia la mano del padre. Non sa quando lo rivedrà. “Non sappiamo neppure di preciso dove stiamo andando, non abbiamo una meta. Vorremmo raggiungere degli amici in Slovacchia, ma intanto andiamo in Polonia, al sicuro”. Quando il treno arriva sulla banchina, la folla che aspettava nel sottopassaggio della stazione comincia a spingere, sale la tensione. La polizia urla inutilmente alle persone di stare calme. Ivaščenko stringe forte il padre, poi lo saluta tra le lacrime.

Un permesso speciale

La ferrovia attraversa paesaggi agricoli fatti di piantagioni di girasoli e case di legno in una regione che è stata sempre contesa per la posizione strategica nel cuore dell’Europa. Oggi i settanta chilometri che separano Leopoli dal valico di confine di Medika, in Polonia, sono attraversati da migliaia di persone che con ogni mezzo provano a uscire dal paese. Secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), nella prima settimana di guerra quasi novecentomila persone hanno lasciato l’Ucraina per entrare in Polonia, Romania, Ungheria, Moldova e Slovacchia. Ma “questa cifra sta crescendo esponenzialmente, ora dopo ora”, ha dichiarato l’alto commissario Filippo Grandi, parlando al Consiglio di sicurezza dell’Onu il 28 febbraio. “Ho lavorato per quarant’anni nelle crisi dei rifugiati e raramente ho visto un esodo di questa portata: il più grande in Europa dai tempi delle guerre balcaniche”.

Da sapere
I profughi

Secondo le stime, potrebbero scappare dall’Ucraina tra quattro e sette milioni di persone. Sarebbe il più grande flusso di profughi in Europa della storia recente. Ma questa volta l’atteggiamento dei paesi dell’Unione europea, soprattutto di quelli dell’est sembra essere diverso dal passato. Polonia, Ungheria e Romania hanno detto che le porte sono aperte per chi scappa dalla guerra. Il 27 febbraio, al termine di una riunione dei ministri dell’interno europei, è stato annunciato che Bruxelles potrebbe attivare una direttiva, mai usata prima, per garantire una protezione di tre anni ai profughi ucraini.

In questo modo chi sta arrivando in Europa non dovrebbe chiedere asilo, ma potrebbe avere dei documenti validi che gli permetterebbero di spostarsi e di lavorare. “Tutti quelli che dovranno fuggire dalle bombe di Putin saranno accolti a braccia aperte”, ha affermato la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. La maggior parte degli stati dell’Unione europea si è detta favorevole al progetto di protezione temporanea dei rifugiati, un sistema istituito nel 2001 in risposta al conflitto nell’ex Jugoslavia, ma che non è mai stato usato, nemmeno durante la cosiddetta crisi dei rifugiati del 2015, in cui un milione di siriani è arrivato in Europa attraverso la rotta balcanica. Inoltre, la Commissione europea ha promesso di stanziare almeno 500 milioni di euro per sostenere chi rimarrà nel paese.

Da sapere
Tattica fallimentare

◆ L’invasione russa dell’Ucraina è più lenta di quanto la maggior parte degli esperti militari occidentali si aspettasse. Nella prima settimana di combattimenti le forze russe non sono riuscite a occupare nessuna grande città né a sopprimere le difese aeree ucraine e a ottenere la supremazia aerea. L’aviazione e i droni ucraini sono ancora attivi e hanno inflitto pesanti perdite alle colonne di blindati russi. Sembra cheMosca abbia limitato al minimo l’uso dell’artiglieria e dei bombardamenti, perché preferiva puntare su una rapida avanzata di terra. Ma questa strategia è stata ostacolata dalla mancanza di coordinamento tra i reparti e da gravi problemi logistici: decine di mezzi sono rimasti senza carburante e sono stati abbandonati. Il morale delle truppe russe appare molto basso, soprattutto tra i soldati di leva: molti si sono arresi senza combattere. Il comando russo sta reagendo alle difficoltà intensificando i bombardamenti. Vox


Ma molti criticano il doppio standard applicato da Bruxelles nella gestione umanitaria, accusando i governi europei di non aver mostrato la stessa solidarietà per i profughi siriani, afgani e iracheni arrivati alle frontiere dell’Europa negli ultimi anni. Poche settimane fa Varsavia ha avviato la costruzione di una recinzione al confine con la Bielorussia per fermare i richiedenti asilo siriani e iracheni. La guardia di frontiera polacca continua a respingere chi prova a superare quel confine. Il 1 marzo le Nazioni Unite hanno ammesso che alcune persone d’origine africana, soprattutto studenti che vivevano in Ucraina, sono state discriminate alla frontiera polacca e sono state vittime di razzismo. L’Unione africana il 28 febbraio ha chiesto chiarimenti su questi episodi, definendo le discriminazioni “inaccettabili”, “razziste” e “contro il diritto internazionale” .

Alla stazione di Przemyśl, in Polonia, Stella Baremba è esausta dopo ore di viaggio: è una studente di economia originaria della Repubblica Democratica del Congo e vive in Ucraina da tre anni. “Sono fuggita da una guerra e mi sono ritrovata in un’altra”, racconta. “Voglio rimanere in Europa, nel mio paese non posso tornare”. Non ha subìto particolari discriminazioni durante il viaggio. Ma dice che il razzismo e la xenofobia contro i neri sono stati un’esperienza quotidiana nei tre anni passati in Ucraina. Alcune persone d’origine africana e asiatica hanno dichiarato che le guardie di frontiera ucraine hanno lasciato passare prima i loro concittadini e tentato di respingere gli altri. L’ambasciatore della Polonia alle Nazioni Unite, Krzysztof Szczerski, ha affermato che i rifugiati ammessi in Polonia negli ultimi giorni provengono da 125 paesi, anche se gli ucraini sono ovviamente la maggioranza.

Vitriana Liana dubita dell’imparzialità del sistema di accoglienza europeo: viene da Luanda, in Angola, e ha vissuto per otto anni a Kiev dove ha studiato e dov’è nata sua figlia. Quando sono cominciati i bombardamenti è scappata: “Credevo di morire, non ho preso niente. Volevo solo andare via il prima possibile”. Ora dorme nella palestra di una scuola primaria di Przemyśl, allestita con le brande da campo per i profughi. È con sua figlia di cinque anni e il marito, Isidro. Ha paura che non le sarà riconosciuta nessuna forma di protezione. “Ci tratteranno come gli altri? Temo che ci rimandino in Angola, ma la mia vita è qui”.

Dimostrazioni di solidarietà

Stanno arrivando organizzazioni umanitarie e volontari da tutt’Europa in Polonia per gestire la nuova emergenza umanitaria. La Caritas Polonia ha allestito delle tende nel parcheggio degli autobus dove arrivano i profughi: alcuni volontari distribuiscono vestiti, scarpe, cibo e bevande calde. I profughi sono davvero molti, racconta Caroline Samp, un’operatrice della Caritas. “Ma abbiamo anche tanti volontari che portano beni di prima necessità, e spuntano ovunque persone che vogliono aiutarci, è incredibile questa solidarietà”. Un ruolo importante lo svolge la diaspora ucraina: molti ucraini che vivevano in Polonia o altrove in Europa stanno arrivando al confine con l’Ucraina per accogliere chi scappa. Svetlana Mišenko, che fa la cameriera in un hotel nel nord della Polonia, ha già fatto tre viaggi. Insieme al resto della comunità ucraina ha organizzato dei pullman per trasferire i profughi: “Sono ucraina, è l’unico modo per sentirmi utile e dare una mano”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati