L’8 gennaio 2023 migliaia di estremisti di destra, sostenitori dell’ex presidente Jair Bolsonaro, hanno assaltato e devastato il palazzo presidenziale, il parlamento e la corte suprema a Brasília. Gli eventi hanno ricordato in modo inquietante i fatti del 6 gennaio 2021 negli Stati Uniti, quando i sostenitori dell’ex presidente Donald Trump hanno fatto irruzione nel campidoglio a Washington. L’attacco, la minaccia più grave alla democrazia del Brasile dal colpo di stato militare del 1964, è arrivato una settimana dopo la cerimonia d’insediamento del presidente Luiz Inácio Lula da Silva, che ha sconfitto Jair Bolsonaro alle elezioni dello scorso ottobre.

La vicenda fa temere una diffusione delle rivolte di estrema destra nelle democrazie occidentali: gli estremisti, spinti dalla retorica incendiaria di alcuni politici, si rifiutano di riconoscere le sconfitte elettorali, si aggrappano ad accuse infondate di brogli e non rispettano lo stato di diritto.

Su una bandiera posizionata di fronte alla sede del parlamento brasiliano c’era la scritta “Intervento”, un invito rivolto ai militari affinché mandino via Lula, che secondo gli estremisti avrebbe vinto le elezioni in modo irregolare. La maggior parte dei rivoltosi era avvolta nella bandiera brasiliana. Alcuni hanno urlato agli agenti di polizia frasi come “questo è solo l’inizio” o “dio vi benedica e vi impedisca di agire contro noi patrioti”.

L’emittente brasiliana Globo tv ha mostrato immagini di vetri in frantumi e manifestanti che vagavano per le sale del palazzo del Planalto, la sede della presidenza. Un gruppo di rivoltosi ha fatto esplodere fuochi d’artificio dal tetto del parlamento. Altri hanno sventolato le maglie gialle e verdi della nazionale brasiliana (diventate un simbolo dell’estrema destra) nell’aula principale della corte suprema. Per i bolsonaristi l’alto tribunale è un bersaglio e un nemico. Migliaia di persone scandivano lo slogan: “Dio, patria, famiglia e libertà”. Poco prima dell’assalto, i video pubblicati sui social network mostravano una folla in marcia verso la piazza dei Tre poteri.

L’odore acre del gas lacrimogeno ha invaso la piazza, mentre le forze di sicurezza cercavano di ristabilire l’ordine. Secondo le autorità, i manifestanti sono stati allontanati dagli edifici governativi dopo quasi cinque ore. La sera dell’8 gennaio Lula è andato nell’ufficio presidenziale per valutare di persona i danni. Poi si è rivolto al paese definendo “fascisti” gli assalitori. “Non esistono precedenti per quello che è successo”, ha detto. “Tutte le persone coinvolte nelle violenze saranno rintracciate e punite”.

Punto critico

Bolsonaro, che dal 30 dicembre si trova a Orlando, negli Stati Uniti, è intervenuto con alcune ore di ritardo. “Le proteste pubbliche, per legge, fanno parte della democrazia”, ha scritto su Twitter. “Tuttavia il saccheggio e l’occupazione di edifici pubblici, com’è successo oggi ma anche nel 2013 e 2017 a opera della sinistra, sono al di fuori della legge”.

La giornalista del Washington Post Marina Dias è stata aggredita. Stava intervistando una donna quando i manifestanti le hanno urlato contro e l’hanno spinta a terra, prendendola ripetutamente a calci. Poi hanno cercato d’impossessarsi del telefono che teneva nella tasca dei pantaloni. Un ufficiale della marina l’ha portata in salvo. Secondo il sindacato dei giornalisti di Brasília, almeno otto reporter sono stati aggrediti mentre seguivano gli eventi. L’assalto contro le istituzioni evidenzia le difficoltà che dovrà affrontare Lula, alla guida di un paese spaccato dopo le elezioni più contese della storia del Brasile: il leader del Partito dei lavoratori ha battuto Bolsonaro con un margine stretto di voti.

Poco dopo l’inizio dell’attacco a Brasília, il ministro della giustizia Flávio Dino ha dichiarato che le forze di sicurezza avrebbero affrontato i rivoltosi. “Questo assurdo tentativo d’imporre la propria volontà con la forza non avrà successo”, ha scritto su Twitter. “Il governo del distretto federale garantisce che sono in arrivo i rinforzi. Stiamo usando i mezzi a nostra disposizione. Al momento sono nella sede del ministero della giustizia”.

Nei giorni precedenti era stato registrato un forte aumento di bolsonaristi in viaggio verso Brasília, a quanto sembra incoraggiati dalle promesse circolate sui social network di provviste e trasporti gratuiti. I nuovi arrivati si sono uniti ai manifestanti accampati da mesi davanti alle caserme per chiedere all’esercito di destituire Lula. Molti erano convinti che il 1 gennaio 2023 gli agenti avrebbero impedito al nuovo presidente d’insediarsi alla guida del paese. Quando le loro aspettative sono state disattese, la rabbia ha raggiunto un punto critico.

Nei giorni successivi all’insediamento di Lula la polizia della capitale aveva allentato le misure di sicurezza imposte per la cerimonia. Il ministro per la sicurezza pubblica del distretto federale di Brasília, Anderson Torres, è stato ministro della giustizia nel governo Bolsonaro e suo stretto collaboratore. L’8 gennaio è stato destituito dal suo incarico. I mezzi d’informazione brasiliani hanno rivelato che era in Florida, ma lui ha sottolineato che non era con Bolsonaro. Il Washington Post non ha potuto verificare le sue dichiarazioni. “Non l’ho mai visto. Sono in vacanza con la mia famiglia. Non c’è stato un complotto per organizzare la rivolta”, ha detto Torres al quotidiano Folha de S.Paulo.

La sera dell’8 gennaio il gruppo di legali del presidente Lula ha chiesto alla corte suprema di emettere un mandato d’arresto per Torres e l’apertura di un’indagine sull’organizzazione della rivolta sui social network. I legali del governo hanno contattato le compagnie telefoniche chiedendogli di conservare i tabulati, in modo da usare la geolocalizzazione per identificare i rivoltosi. Inoltre, vorrebbero che gli inquirenti indagassero su tutte le persone potenzialmente coinvolte nella rivolta, compresi gli agenti di polizia.

Durante l’assalto il ministro Dino ha dichiarato che erano stati sequestrati quaranta autobus usati dagli estremisti per arrivare in città, precisando che le autorità avevano “già scoperto chi aveva pagato per i trasporti”. Poi ha annunciato che i governatori degli altri stati brasiliani stavano mandando dei rinforzi. “Su internet ci sono persone che parlano di portare avanti questi atti terroristici”, ha dichiarato. “Non riusciranno a distruggere la democrazia brasiliana”.

Agenti della polizia davanti al palazzo del Planalto. Brasília, 8 gennaio 2023 (Eraldo Peres, Ap/Lapresse)

Gli Stati Uniti, l’Unione europea e gli altri paesi dell’America Latina hanno subito condannato la rivolta. “Gli Stati Uniti si schierano contro qualsiasi tentativo di distruggere la democrazia in Brasile”, ha scritto su Twitter il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan. “Il presidente Joe Biden sta seguendo da vicino la situazione. Il nostro sostegno alle istituzioni democratiche del Brasile è forte”. La vicenda ha prodotto l’ennesimo paragone tra Jair Bolsonaro e Donald Trump, un punto di riferimento politico per l’ex presidente brasiliano. Da mesi gli opinionisti parlavano della possibilità di una rivolta in Brasile simile a quella del 6 gennaio 2021 negli Stati Uniti.

Durante la campagna elettorale Bolsonaro aveva definito Lula un “ladro” corrotto, sostenendo senza alcuna prova che il sistema di voto elettronico in Brasile fosse inaffidabile. Dopo la sconfitta al secondo turno delle presidenziali e le manifestazioni dei suoi sostenitori, Bolsonaro ha condannato la violenza delle proteste, ma ha anche definito “ingiusto” il risultato delle elezioni, incoraggiando i suoi sostenitori accampati fuori dalle caserme dell’esercito. “Quest’uomo, responsabile di genocidio, è la causa di quello che è successo”, ha detto Lula.

“Respingo le accuse che il presidente mi rivolge senza nessuna prova”, ha risposto Bolsonaro.

Robert Muggah, cofondatore del centro studi Instituto Igarapé di Rio de Janeiro, ha parlato di una rivolta annunciata. E ha aggiunto che “le similitudini tra i fatti di Brasília e di Washington non sono casuali. Come i loro ‘colleghi’ trumpiani, i bolsonaristi hanno consumato per anni un flusso costante di disinformazione, ispirato in gran parte dalla narrativa diffusa dagli influencer di estrema destra negli Stati Uniti”.

Le colpe degli agenti

La portata dell’assalto degli estremisti a Brasília è sembrata comunque più vasta rispetto all’attacco condotto dai sostenitori di Trump contro il campidoglio di Washington. In Brasile gli edifici presi di mira rappresentano i tre poteri dello stato e si trovano appunto nella piazza dei Tre poteri, progettata negli anni cinquanta dall’architetto Oscar Niemeyer.

Lula dovrà gestire anche il problema che nella polizia ci sono molti sostenitori di Bolsonaro. Nel corso del suo mandato l’ex presidente aveva incoraggiato l’impiego di tattiche aggressive da parte degli agenti e aveva affidato ai suoi fedelissimi gli incarichi più importanti nel governo.

Il 30 ottobre 2022, il giorno del secondo turno delle elezioni presidenziali, le forze dell’ordine sono state accusate di aver organizzato una serie di posti di blocco nelle roccaforti elettorali di Lula per rallentare l’accesso degli elettori alle urne. L’8 gennaio l’Estado de S.Paulo ha pubblicato una foto in cui si vede un agente in servizio che compra una bibita mentre i rivoltosi prendono d’assalto le sedi del governo brasiliano.

“La polizia federale ha il compito di garantire la sicurezza nel distretto federale. Sfortunatamente non l’ha fatto”, ha detto Lula.

Non è ancora chiaro come mai gli estremisti abbiano deciso di fare il loro attacco proprio l’8 gennaio. Pochi giorni prima il ministro Dino aveva dichiarato che avrebbe fatto sgomberare gli accampamenti dei sostenitori di Bolsonaro in tutto il paese. Il giorno fissato, però, non è successo niente. L’8 gennaio nulla lasciava pensare che le autorità si stessero preparando per affrontare un’insurrezione e intorno agli edifici poi attaccati dai manifestanti non c’erano più agenti del solito.

Dopo quasi cinque ore dall’inizio dell’assalto la polizia ha ripreso il controllo della corte suprema e in parte quello del palazzo del Planalto. Le foto e i video che una persona della squadra del presidente ha dato al Washington Post mostrano numerosi danni: dipinti rovinati, cornici rotte, vetri in frantumi, attrezzature distrutte, scrivanie spaccate e opere d’arte vandalizzate.

Al momento della rivolta le attività del parlamento e della corte suprema erano sospese. Nessun parlamentare o giudice si trovava all’interno degli edifici attaccati. Dopo l’inizio dell’insurrezione, Lula ha lasciato lo stato di São Paulo, colpito negli ultimi giorni da forti piogge, per tornare a Brasília.

Messaggio contraddittorio

In un discorso di commiato trasmesso in diretta il 1 gennaio, l’ex presidente Bolsonaro ha dichiarato in lacrime che l’esito delle elezioni era ingiusto, ma ha comunque riconosciuto che si sarebbe insediata una nuova amministrazione. Bolsonaro ha inoltre condannato le violenze commesse dai suoi sostenitori dopo la sua sconfitta, invitando i manifestanti a “mostrare che siamo diversi dall’altro schieramento e che rispettiamo le leggi e la costituzione”.

I bolsonaristi hanno interpretato questi discorsi contraddittori come un invito implicito a resistere contro Lula.

Dopo l’arresto a dicembre di José Acácio Serere Xavante, un influente sostenitore di Bolsonaro, accusato dalla corte di suprema di aver “chiesto esplicitamente d’imbracciare le armi per evitare che i funzionari eletti s’insediassero”, alcuni estremisti hanno incendiato degli autobus nella capitale e cercato di entrare nella sede della polizia federale. In quell’occasione le autorità di otto stati brasiliani hanno sequestrato depositi di armi e arrestato diverse persone sospettate di “attività sovversive”. ◆ as

Da sapere
Arresti e manifestazioni

◆ Il 9 gennaio 2023 le forze di sicurezza brasiliane hanno fermato più di 1.500 persone sospettate di essere coinvolte nell’assalto del giorno prima alle sedi del parlamento, della corte suprema e del palazzo del Planalto a Brasília. Il 10 gennaio le autorità ne hanno rilasciate circa seicento per ragioni umanitarie: tra loro c’erano minorenni e persone senza fissa dimora. Il giudice della corte suprema, Alexandre de Moraes, ha sospeso per novanta giorni dal suo incarico il governatore di Brasília, Ibaneis Rocha, con l’accusa di non aver fermato i rivoltosi. De Moraes ha anche ordinato l’arresto di Anderson Torres, ministro per la sicurezza pubblica del distretto federale di Brasília, e del colonnello Fábio Augusto, comandante della polizia militare della capitale. A São Paulo e in altre città del Brasile il 9 gennaio ci sono state manifestazioni a favore della democrazia. Bbc, Afp


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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati