Dove finisce la razionalità e dove comincia l’ideologia? È una domanda che dobbiamo farci per cercare di decifrare i calcoli dei principali protagonisti del conflitto a Gaza e in Libano. Da una parte c’è uno schieramento che si rifiuta di accettare la sua vittoria (militare) fino a quando non avrà fatto sparire il nemico (inteso in senso lato), e dall’altra uno schieramento che non ammetterà la sconfitta fino a quando non sarà completamente annientato. Questo porta inevitabilmente a prolungare la guerra per un tempo indefinito.
Gaza è scomparsa. Il 70 per cento dei suoi quarantamila morti sono donne e bambini. Yahya Sinwar e Mohammad Deif, le menti dietro gli attentati del 7 ottobre 2023, sono stati eliminati. Ma Hamas è ancora lì. Controlla l’enclave e tiene prigionieri più di cento ostaggi. La guerra potrebbe durare per anni senza che la situazione cambi. Ci saranno altri morti, ma nessuna prospettiva di soluzione politica. Qual è allora la strategia del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per uscirne? Occupare il nord di Gaza e intervenire a suo piacimento nel sud? Spingere il maggior numero possibile di palestinesi a fuggire in Egitto, ammesso che quest’ultimo sotto le pressioni statunitensi accetti di riceverli? Distruggere ogni strada, ogni edificio, fino a quando non ci sarà più un solo abitante di Gaza che dichiari di appartenere a Hamas?
Sono mesi che il partito di Dio sbaglia tutti i calcoli, e sopravvaluta la sua forza nei confronti dell’avversario. Questa è la logica che ha portato al disastro attuale
La situazione in Libano è simile. Tutte le aree sciite associate a Hezbollah sono state sgomberate e in parte distrutte. Il partito di Dio ha perso il suo segretario generale, l’alto comando militare e gran parte del suo arsenale. Ma è ancora qui. Continua i combattimenti nel sud. Continua a lanciare razzi e missili su Israele. Anche lì, qual è il piano di Netanyahu? Intensificare le operazioni fin quando Hezbollah non cederà? Creare una zona cuscinetto nel sud del paese e attribuirsi il diritto d’intervenire nel nord ogni volta che vuole? Spingere i libanesi a uccidersi a vicenda per isolare il partito di Dio?
Il premier israeliano non vuole solo sconfiggere l’asse iraniano. Vuole metterlo in ginocchio. Fare in modo che non sia più una minaccia nei prossimi decenni. E al tempo stesso vuole seppellire la questione palestinese. In altre parole: imporre una nuova realtà regionale. È il suo sogno da più di trent’anni. L’elezione di Donald Trump potrebbe permettergli di realizzarlo. Il futuro inquilino della Casa Bianca vuole che la guerra si fermi, ma vuole soprattutto che Israele possa “finire il lavoro”. Cosa vuol dire questo se non che Trump darà allo stato ebraico carta bianca per finire di distruggere, occupare, annettere e spopolare?
I prossimi mesi si preannunciano ancora più foschi. Israele rifiuta la realtà da tutti i punti di vista. Su se stesso e sui palestinesi, il Libano e la regione. Ma questo rifiuto gli costa meno di quanto costi a noi libanesi. Israele ha sfollati, morti, danni economici e diplomatici, ma nulla di paragonabile a quello che viviamo noi. Israele può continuare la guerra ancora per mesi. Noi non possiamo concederci questo lusso.
Quando perse la guerra nel 1967, Nasser accusò il mondo intero di essere la causa della sua sconfitta. Ma comunque la riconobbe. Di cosa c’è bisogno perché Hamas e Hezbollah facciano la stessa cosa? Quanti palestinesi e libanesi dovranno morire?
L’ultimo discorso del nuovo segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, è stato particolarmente inquietante da questo punto di vista. Non solo per i toni, le minacce rivolte all’esercito libanese e la sua determinazione a condurre una guerra di lunga durata. Ma anche perché, a differenza del predecessore Hassan Nasrallah, dà la sensazione di credere a tutto quello che dice. Di credere che Hezbollah stia vincendo. Sono mesi che il partito di Dio sbaglia tutti i calcoli. Che sopravvaluta la sua forza nei confronti dell’avversario. Questa è la logica che ha portato al disastro che noi libanesi stiamo subendo, e in particolare i sostenitori della formazione filoiraniana.
Hezbollah deve accettare la sconfitta. Deve ritirarsi dal sud del Litani, avviare il disarmo, prendere le distanze dall’Iran e ripensare il suo rapporto con il Libano. Chi scrive queste parole passa per un traditore agli occhi di una parte del paese. Ma io non lo sono. Non mi faccio illusioni sulle intenzioni di Israele. Penso che debba ritirarsi da ogni centimetro quadrato del nostro paese e che non debba più sorvolarlo. Ma non otterremo questo con la forza e tanto meno per mano di Hezbollah.
Bisogna accettare la realtà se vogliamo uscire da questa spirale macabra che porta solo alla sofferenza. È l’unica via d’uscita per evitare la divisione o la guerra civile. Per ricostruire il Libano non contro Hezbollah, forse neppure senza Hezbollah, ma necessariamente con un altro Hezbollah. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1590 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati