Per chi tra noi ha assistito alle tattiche “colpisci e stupisci” messe in campo dal primo ministro indiano Narendra Modi negli ultimi dieci anni, quello che è successo negli Stati Uniti da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca è un déjà vu. In India abbiamo imparato a nostre spese che i leader autoritari sono più pericolosi al secondo mandato che al primo. Il motivo è semplice: hanno imparato a padroneggiare il sistema, a piegare le istituzioni al loro volere e a smantellarle quando non gli servono più.

La visita di Modi a Washington il 13 febbraio ha sottolineato le somiglianze tra lui e Trump. Entrambi sono noti per i loro improvvisi cambi di linea politica che mettono in difficoltà gli oppositori. Entrambi si vantano di essere dirompenti, ma in modo selettivo. Mentre indeboliscono le istituzioni e la democrazia, proteggono i loro gruppi d’interesse preferiti. Cosa ancora più importante, il loro stile di governo si fonda su una politica di divisione e intolleranza, progettata per consolidare il potere e arricchire un’oligarchia di capitalisti, con cui condividono interessi, a spese di tutti gli altri. Entrambi manipolano la percezione pubblica dei fatti, usando i mezzi di comunicazione per far crescere il consenso e reprimere il dissenso. Queste tattiche costituiscono il programma per aspiranti autocrati di tutto il mondo. Per quanto possano sembrare diversi, i leader autoritari di oggi si studiano a vicenda, non per governare meglio, ma per esercitare una presa più stretta sul potere.

Per quanto possano sembrare diversi, i leader autoritari di oggi si studiano a vicenda, non per governare meglio, ma per esercitare una presa più stretta sul potere

Al centro di questi sforzi c’è il controllo dei dati, che conduce a un cambiamento epocale nell’accesso alle informazioni pubbliche. Anche se i cittadini di tutto il mondo sono sempre più spesso costretti a fornire i loro dati personali a leader autoritari e ai loro alleati – come Elon Musk e i suoi collaboratori del dipartimento per l’efficienza del governo (Doge) – non possono accedere alle informazioni necessarie per pretendere che quegli stessi leader si assumano le loro responsabilità.

È un fatto evidente soprattutto in India, dove Modi ha trasformato in un’arma gli istituti di statistica, un tempo i più affidabili nel mondo in via di sviluppo. Il premier indiano ha politicizzato la commissione nazionale di statistica, in origine un organismo indipendente responsabile della verifica e della supervisione della raccolta dei dati ufficiali. Poi ha preso di mira l’Ufficio centrale di statistica, che raccoglie la maggior parte dei dati economici e ne ha distrutto la credibilità.

Il governo ha talmente paura dei dati da aver cancellato perfino il censimento decennale del 2021, senza dire quando si farà. Di conseguenza le cifre ufficiali più recenti su popolazione, demografia, occupazione e condizioni di vita in India risalgono al 2011. Allo stesso modo le valutazioni sulle politiche del governo sono insabbiate quando producono risultati sfavorevoli. Per esempio, non è mai stata pubblicata una valutazione del progetto di pulizia del fiume Gange. Durante la pandemia i dati ufficiali sulla mortalità erano stati contestati e il governo si è rifiutato di riconoscere le stime indipendenti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).

Non è stata risparmiata nemmeno l’indagine nazionale sulla salute delle famiglie, condotta dal ministero della sanità e dall’Istituto internazionale di scienze della popolazione (Iips), un organismo semindipendente. Dopo che un rapporto ha evidenziato malnutrizione diffusa e servizi igienici inadeguati, il direttore dell’Iips è stato costretto a dimettersi. Il messaggio per i ricercatori è stato chiaro: andate contro il governo a vostro rischio e pericolo.

Gli sforzi del governo per eludere le responsabilità in gran parte hanno funzionato. Tuttavia, dando priorità alla propaganda rispetto al buon governo, la realtà economica e sociale dell’India è stata nascosta, impedendo così allo stesso esecutivo di prendere decisioni politiche informate.

Al tempo stesso gli indiani oggi sono costretti a comunicare una quantità senza precedenti di dati personali grazie all’espansione di Aadhaar, un sistema d’identificazione biometrica che oggi è collegato ai loro conti bancari, alle dichiarazioni dei redditi, ai numeri di cellulare e non solo. Questo sistema ha già avuto conseguenze devastanti: degli errori nel riconoscimento delle impronte digitali hanno fatto sì che a milioni di persone fossero negati il pagamento degli stipendi, gli assegni alimentari e altri servizi essenziali. L’India, inoltre, non ha ancora una legge per la protezione dei dati.

Forse gli Stati Uniti non seguiranno la traiettoria politica dell’India. Le loro istituzioni, in particolare il sistema giudiziario, possono fornire una certa protezione, a patto che siano solide. In un contesto in cui l’autoritarismo è in crescita, però, dobbiamo contrastare i tentativi di trasformare i dati nelle mani dei governi in armi contro la democrazia. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati