Sono le 4.27. Nel grande parcheggio deserto di Sindelfingen, nel sud della Germania, arrivano le prime auto, che al buio aspettano l’arrivo del pullman e l’apertura delle porte. Qua e là s’intravede una sigaretta accesa e si sentono le prime chiacchiere, in italiano.
“Buongiorno Cettina!”.
“Buongiorno cara!”.
Le persone scaricano le valigie dalle auto, attraversano lo spiazzo di ghiaia illuminato dalla luce arancione dei lampioni e caricano sul pullman i bagagli per il lungo viaggio che le aspetta. Ci vorranno circa trenta ore per percorrere i 1.971 chilometri che, passando per Zurigo, Milano, Bologna e Roma, separano Sindelfingen, vicino a Stoccarda, da Villa San Giovanni, in Calabria. Qui i viaggiatori prenderanno il traghetto per raggiungere la Sicilia attraverso lo stretto di Messina.
L’autista, Felice Politi, 51 anni, un po’ fuori forma e con i capelli già ingrigiti, dà una mano per i bagagli, in silenzio. Il pullman della ditta Politi è quasi pieno: cominciano le vacanze estive e sono tutti ansiosi di tornarsene a casa, a Mirabella Imbaccari, un paese siciliano in provincia di Catania, circondato da dolci colline, campi di grano e qualche ulivo. Ci vivono meno di cinquemila abitanti, ma pare che d’estate, quando tornano tutti, la popolazione raddoppi. Rientrano in Sicilia quelli che cinquanta o sessant’anni fa hanno lasciato il paese per cercare lavoro in Germania, nei cantieri o nell’azienda automobilistica Daimler, quelli che hanno contribuito al miracolo economico tedesco. Se dopo la guerra la Germania ha raggiunto il benessere così rapidamente, lo deve anche a loro. I mirabellesi di Sindelfingen sono circa 1.500, tutti immigrati con i loro figli e nipoti. Il pullman per Mirabella parte sempre sabato mattina e torna giovedì. È un pullman a due piani del 2006, con 83 posti e due milioni di chilometri percorsi.
I passeggeri sono sospesi tra due mondi: Sindelfingen, dove vivono, e la Sicilia, da dove provengono. Molti non si sentono ancora a casa in Germania e non lo sono più in Italia. Una vita in sospeso. La loro condizione è comune a centinaia di migliaia di persone, che ogni estate attraversano l’Europa da nord a sud. Gente come i mirabellesi si trova dappertutto: in Grecia, in Turchia, in Portogallo, in Spagna.
Coppie e famiglie
Questa mattina in attesa del pullman ci sono giovani e vecchi, anche seconde e terze generazioni di immigrati. C’è chi viaggia da solo e ci sono coppie e famiglie. C’è Giuseppe Salafrica con sua moglie Agata: sono sposati da quasi quarant’anni, lui indossa pantaloni eleganti, mocassini neri e una polo ben stirata. Ci sono Cettina Santoro, 59 anni, suo figlio Luca e uno dei suoi nipotini. Lei è vestita ancora a lutto: per la prima volta viaggia senza il marito.
Alle 5.05 il pullman lascia il parcheggio senza che quasi nessuno se ne accorga: tutt’intorno ci sono case buie e strade vuote. La Germania è ancora immersa nel sonno. Dentro il pullman i passeggeri chiacchierano e ridono, dandosi del tu. L’autista distribuisce i bicchierini di plastica con il caffè e una busta a testa per i rifiuti. Su un foglietto, incollato sul retro del sedile di Cettina (posto 16/17), c’è scritto con il pennarello verde: “Riservato Santoro”. Il finestrino è coperto da tendine color giallo curry.
Cettina vive a Renningen, vicino a Sindelfingen. Da 25 anni fa la commessa nel settore delle decorazioni floreali e ha solo tre settimane di ferie all’anno. Suo padre lasciò Mirabella nel 1964, con una valigia legata con lo spago. Partì da solo e quando tornava a casa, una volta all’anno, sembrava un estraneo. Poi Cettina lo raggiunse insieme alla madre e alle sorelle: aveva nove anni. Per molto tempo non andò a scuola e a 15 anni trovò lavoro in un’azienda metalmeccanica, la Bothner di Leonberg. In seguito incontrò Filippo, anche lui originario di Mirabella: da bambini giocavano insieme per strada. Lavorava a Schönaich, vicino a Sindelfingen, anche lui in una fabbrica metalmeccanica. Le loro vite si somigliavano e questo li unì. Si sposarono ed ebbero tre figli. Filippo è morto ad aprile, a 62 anni. Aveva lavorato alla Daimler per 43 anni, inizialmente alla catena di montaggio. Era un uomo allegro, con rughe d’espressione attorno agli occhi, “un mattacchione”, come dicono i suoi figli. Uno di loro lavora alla Daimler, e anche lui vive a Renningen, in una villetta a schiera bianca con un grande televisore, un barbecue della Weber e le ortensie.
Sul pullman Cettina si guarda intorno. “Eccoci in viaggio, da Mirabella alta a Mirabella bassa”: i mirabellesi all’estero vanno a trovare quelli rimasti in patria. Sul sedile accanto al suo c’è una borsa con i panini al salame e un cuscino bianco per il collo con una fantasia di fenicotteri rosa. Cettina potrebbe prendere l’aereo: da Memmingen partono voli low cost mentre il viaggio in pullman costa 130 euro. “Il pullman mi piace”, dice piano. “C’è il tempo del viaggio e ci sono le persone con cui scambiare due chiacchiere. Ne ho bisogno”. Due anni fa Filippo è andato in pensione anticipata e i coniugi progettavano di passare gli inverni a Renningen e le estati in Sicilia, dove nel 1992 hanno costruito una casa al mare, a un’ora di macchina da Mirabella. D’estate lui partiva sempre per primo, in aereo: preparava tutto, faceva la spesa, montava e puliva il tavolo del terrazzo.
Non c’è il wifi
Cettina guarda scorrere i paesaggi della Svevia fuori dal finestrino. È ancora buio e nel cielo scuro cominciano a comparire le prime sottili lame di luce. Al piano di sopra del pullman il più giovane dei suoi figli, Luca, è arrabbiato: non c’è il wifi e ha finito i soldi sul telefono. Ha 16 anni e i capelli rossi di suo padre. Dopo l’estate andrà in terza superiore, ma ora è in vacanza. È contento di andare a Mirabella, a trovare la nonna e la sua cagnolina Stella, con cui gli piace giocare. E poi ci sono le zie, lo zio, il cugino Alfonso. E la rotonda, la grande piazza al centro della rotatoria, dove ci s’incontra ogni sera: “È lì che mi rendo conto sul serio di cos’è una famiglia”. Tutto è incentrato sulla famiglia: la famiglia di cui si sente la mancanza, la famiglia divisa, un po’ qua e un po’ là. Le persone sono venute perché nella Germania del miracolo economico scarseggiava la manodopera. Nel 1955 la Germania concluse con l’Italia il primo accordo per reclutare lavoratori. Poi ne strinse altri con la Spagna, la Grecia, la Turchia e il Portogallo, ma anche con il Marocco, la Tunisia e la Jugoslavia. Doveva essere una soluzione transitoria per il boom economico: ai tedeschi servivano gli operai, agli italiani i soldi per un futuro migliore. Fino alla fine degli accordi, nel 1973, arrivarono in Germania quattordici milioni di lavoratori. Circa tre milioni sono rimasti. Molti hanno portato le loro famiglie, si sono fatti degli amici e hanno mandato i figli a scuola.
Finalmente Cettina individua una faccia nota in una fila alle sue spalle. È Agata Salafrica, la moglie di Giuseppe. Cettina e Agata sono andate a scuola insieme fino alla quinta elementare a Mirabella. Agata lavora a Calw, vicino a Sindelfingen, dove fa le pulizie in una scuola materna. Suo marito Giuseppe lasciò Mirabella per la Germania a 15 anni. Racconta di aver saldato armadi di metallo per tre anni, per 1,20 marchi all’ora. Poi ha lavorato per due anni alla Daimler, reparto carrozzeria. Con le mani mostra come assemblava i pezzi: ricorda ancora i movimenti. Lavorava su 120 automobili a turno. Poi ha assemblato compressori navali. “Per vent’anni. Un lavoro sporco”, commenta. Da un anno è in pensione.
Giuseppe e Agata si sono sposati nel 1982 e hanno avuto due figlie. Nel 1997 hanno comprato casa a Mirabella, tre piani con balcone, per trascorrerci la pensione. Ma dove si sentono a casa? “Quando sono su, su, quando sono giù, giù”, risponde Giuseppe con aria un po’ disorientata. Poi aggiunge: “Dove stanno i miei figli”. I figli stanno su, in Germania. La casa invece è giù, in Sicilia. “Ho detto a mia moglie che ci tocca prendere una decisione: non possiamo passare la vita a fare avanti e indietro. Sono già 51 anni che lo facciamo”.
Sul pullman i primi passeggeri si sono già addormentati. “Hanno sbagliato in tanti, investendo solo giù e non su”, spiega Giuseppe. “Alla lunga è difficile”. E poi stanno invecchiando, i lunghi viaggi diventano faticosi e ora comprare una casa in Germania costa.
La prima sosta è a una stazione di rifornimento. C’è chi scende a fumare una sigaretta. Davanti al pullman Cettina parla del marito. “All’improvviso, prima di Pasqua, gli sono venuti dei dolori all’addome e il martedì dopo l’hanno ricoverato: aveva un tumore al polmone al quarto stadio. Una settimana dopo stavamo andando a trovarlo, eravamo già per le scale, quando ci hanno chiamati per dirci che era morto”.
Il pullman riparte. Dalle piccole casse sopra i sedili risuona del pop italiano. Renato Zero canta Il carrozzone: un carro da circo, oppure un carro funebre. Sul pullman è calato il silenzio. “Il carrozzone va avanti da sé”. “Bella la vita che se ne va”. Cettina si appoggia al cuscino con i fenicotteri, mentre al piano di sopra, avvolto in una coperta verde, il figlio Luca dorme. Sotto il ponte di Neckarburg la valle è immersa nella nebbia.
Alle 6.24 a Rottweil salgono altri passeggeri. Spunta il sole. A Engen, nel distretto di Costanza, il ristorante della stazione è già aperto, c’è una donna che spazza il pavimento. Il pullman fa un’altra tappa a Bietingen, per comprare i panini. Alle 7.40 nel corridoio del pullman i doganieri svizzeri chiedono: “Italiano? Sicilia?”. Poi, più gentili: “Mirabella?”. Evidentemente conoscono bene la meta di questi viaggi. Scendono senza fare altri controlli.
Quando arriviamo al lago dei Quattro cantoni i passeggeri sono quasi tutti svegli. Alle spalle delle barriere antirumore si estendono pendii verdi. A Beckenried ci sono 19 gradi. Per arrivare a Mirabella mancano ancora 1.689 chilometri.
Nel comune siciliano la maggior parte dei passeggeri possiede una casa per cui ha lavorato e risparmiato, la promessa di una vecchiaia migliore. Quella di Agata e Giuseppe è a tre piani e sta in via Alongi. La portafinestra del balcone resta aperta per un mese all’anno, lasciando che il vento spiri attraverso la tendina bianca di pizzo fine. Per il resto dell’anno è chiusa: la casa resta sigillata per undici mesi, come molte altre in paese.
A trecento metri di distanza, in via La Marca, c’è la casa di Maria e Aurelio Dimineo (posti 10 e 11 del pullman). Maria è arrivata in Germania a 15 anni e oggi è sulla sessantina: non è mai stata a Berlino, a Francoforte una volta sola. E della Sicilia ha visto solo Taormina, Siracusa e Palermo. “Mio marito stava sempre in cantiere”, racconta.
La maggioranza dei passeggeri si dice contenta di andare finalmente in vacanza, ma in realtà quasi tutti a Mirabella non si riposano granché. Cosa fate una volta arrivati?
“Io pulisco, cucino e vado alla rotonda”, dice Maria. Agata racconta “Io prima di tutto arieggio le stanze, poi pulisco. Ci vuole tempo”. Dice che paga duecento euro all’anno solo di tassa sui rifiuti e cento per l’acqua. I fornelli invece sono collegati a una bombola del gas.
Quando fa le pulizie Agata segue una sequenza precisa: il primo giorno tocca al balcone e alle scale esterne, il secondo alle camere da letto, poi cucina, sala da pranzo e finestre. “E così se ne va la prima settimana”. La casa, di cento metri quadri, è piuttosto vecchia. Hanno fatto tutto da soli: all’inizio in cucina avevano solo il lavello, poi hanno messo da parte i soldi per comprare il resto. E a furia di risparmiare si sono potuti permettere prima l’armadio a muro e poi la camera da letto. Perché fosse tutto a posto ci sono voluti otto anni. In salotto c’è un pesante tavolo da pranzo in legno con un centrotavola dorato. “Mi piace”, dice Agata. “Mi sento a casa mia”. L’hanno comprata 24 anni fa, come promessa di libertà e indipendenza per un futuro migliore.
A giugno in Germania hanno traslocato in un appartamento più piccolo: da tre a due stanze, 50 metri quadri, 620 euro tra affitto e bollette. Con la roba che non entrava nella nuova casa hanno fatto due pacchi da spedire in Sicilia e adesso è tutto in via Alongi: il portacipolle, la brocca per i liquori, le fotografie dei nipotini con il cono di cartone pieno di doni che in Germania si regala ai bimbi della prima elementare, tutte scattate a Sindelfingen.
Dalle piccole casse sopra i sedili risuona del pop italiano. Renato Zero canta Il carrozzone: un carro da circo oppure un carro funebre
Qualche chilometro prima Giuseppe diceva che devono scegliere tra Germania e Italia, optare per una delle loro due vite. Ma hanno davvero una scelta? La casa di Mirabella non possono venderla per più di trentamila euro, visto che l’offerta d’immobili supera la domanda. “Con quei soldi in Germania non compri neanche un garage”. A Mirabella il 40 per cento delle case è in vendita: i giovani abbandonano un paese che non offre lavoro, oggi come in passato. “Non voglio dar via casa mia per un pezzo di pane”, dice Agata, con lo sguardo fiero e allo stesso tempo triste.
Durante la giornata al bar tanti uomini giocano a carte, a briscola o a scala quaranta, ordinando una bibita in cinque. In altri paesini i sindaci stanno vendendo le case a un euro con l’obbligo di ristrutturarle. Quello di Mirabella invece si premura di tenere il paese pulito perché continui ad attrarre gli “svevi”: spera che molti tornino. Ma ha anche un altro progetto: ristrutturare le case vuote per farne un hotel a cinque stelle con reception, campi sportivi, escursioni, balli, cucina e una navetta per andare al mare. È il suo sogno, ma poi capita che la gente lo fermi per dirgli che manca l’acqua da tre giorni. Periodicamente va a Sindelfingen per rafforzare il legame tra le due località. E lì allestisce il “mercato Mirabella”, con le marmellate, l’olio d’oliva e le mandorle arrivate in pullman.
Grigliata con gli amici
Mariagrazia, 37 anni, figlia di Agata, qualche anno fa ha fatto il tentativo di trasferirsi a Mirabella con il marito. Avevano aperto un pub sulla rotonda e per alcuni anni è andata bene: si sono goduti la vita nel paese dei loro genitori, dove puoi improvvisare una grigliata con gli amici senza doverti organizzare tre settimane prima, come in Germania. Poi però sono rientrati a Calw, per i figli: che futuro li aspettava a Mirabella?
Lungo il corridoio del pullman avanza Antonio Calzetta, che è di sopra con la famiglia, seduta davanti al parabrezza panoramico. Accompagna al bagno uno dei figli. Stanno andando a trovare la nonna a Mirabella, ma hanno anche preso in affitto una casa al mare. Giuseppe Salafrica lo ferma. “Calzetta?”. Antonio fa segno di sì con la testa. “Conosco tuo padre”, dice Giuseppe. Poi guarda il bambino e sembra proprio che stia pensando: come passa il tempo! O la vita. Dalle piccole casse risuona ancora musica italiana, una vecchia canzone. Pupo: “Dio ma come sei bella, bella, bella”.
Davanti al tunnel del Gottardo c’è la coda e il pullman, circondato dai Flixbus e dalle auto di chi va in vacanza, si ferma per un attimo. Felice, l’autista, sta dormendo sul sedile del passeggero: ora guida Gaetano, il suo collega. Al piano di sopra, posto 63/64, c’è un altro Giuseppe, anche lui di Calw: un uomo anziano e rotondetto in jeans e sandali. Accanto a lui la nuora. La salma della moglie di Giuseppe, morta di leucemia, arriverà a Mirabella lunedì con il carro funebre e mercoledì sarà seppellita poco fuori dal paese, oltre le cappelle sul lato sinistro della collina. Quasi tutti vogliono essere sepolti in paese. Giuseppe, che ha speso tra i sette e gli ottomila euro per il trasporto della salma, tiene le cose della moglie accanto a sé, in una busta.
Quasi tutti vogliono anche sposarsi a Mirabella, invitando gli amici tedeschi, dimostrando che per loro il paese è proprio il posto giusto per gli eventi importanti della vita. Ad agosto il parroco celebra sempre quaranta matrimoni. E nel 2021, dopo lo stop dovuto alla pandemia, sono stati ancora di più. Di solito la gente vive una scissione tra qui e lì, tra la Germania e la Sicilia, come se respirasse con un polmone alla volta. Ma durante i festeggiamenti, spiega il parroco, respirano con entrambi.
Il lago di Como
A Lugano c’è traffico. Dal finestrino Cettina vede un pulmino Volkswagen blu. “Ne aveva uno così anche mio marito”, dice. “Aveva?”, chiede costernato l’uomo seduto di fronte a lei. “È morto?”. Cettina annuisce.
Alle 13.40 siamo al confine con l’Italia. Un cartello stradale indica le direzioni per Como e Milano. Il lago di Como è a sinistra. L’uomo di fronte a Cettina tira un lungo sospiro di sollievo: “Ahhhh”. “Mi basta l’autostrada per capire che siamo arrivati in Italia”, dice Luca, il figlio di Cettina. Fuori dal finestrino guarda scorrere rapidamente i paesaggi del paese dei suoi genitori. Per la prima volta parla del padre morto da poco. “Bisogna farci i conti”, dice. “La cosa positiva è che prima di morire ha saputo che avrei frequentato il liceo a indirizzo economico”.
Ogni serata a Mirabella la passerà alla rotonda, fresco di doccia dopo una giornata caldissima, con i calzini da tennis tirati su a metà polpaccio. E passeggerà lì dove di giorno girano tante auto con targa tedesca. Di sera il paese silenzioso si anima. Ci sono anche le giostre, due chioschi che vendono panini e patatine, una bancarella che offre mandorle tostate. Luca farà due chiacchiere con gli amici di Renningen e passerà la serata con Vito, Kevin, Dario e tutti gli altri. È contento. Agata, la moglie di Giuseppe, si siederà a uno dei tavolini di legno, il rossetto rosa sulle labbra, a bere un’acqua minerale. E per un attimo la vita non sarà fatta solo di doveri.
Una canzone travolgente
Alle 18.53 troviamo ancora code. A Mangona si avvistano i primi cipressi toscani. Il pullman è in viaggio da 14 ore e 792 chilometri. Ora viaggia a cinquanta chilometri all’ora. Ascoltiamo Julio Iglesias, Sono un vagabondo: “Arrivare, partire… Che gusto mi dà! Sono un mago poeta con due identità. Sono quel vagabondo che pace non ha”, “Quante volte dico che cambierò?”. Il ritmo è veloce, la canzone travolgente: la musica va avanti ininterrotta da dieci ore e Agata canticchia battendo il ritmo con la scarpa da ginnastica. Proprio accanto alla loro casa di Mirabella c’è l’appartamento di sua madre. Quando ci si è trasferita con la famiglia, Agata aveva sette anni.
Ancora oggi alle pareti ci sono i tomboli tipici di Mirabella, che raffigurano dei caprioli di finissimo filato bianco. Quando aveva tredici anni, anche Agata faceva i tomboli per potersi permettere i jeans. Nell’appartamento è tutto come sua madre l’ha lasciato nel 2020, quando si è trasferita in una casa di riposo: foto di famiglia, stoviglie, bicchierini da liquore, cuscini. Ricordi di un passato che non c’è più. Una volta arrivata, Agata andrà ad aprire le finestre anche nell’appartamento della madre e dopo tre settimane richiuderà tutto in entrambe le case e controllerà quali provviste si conserveranno fino all’anno successivo. Racconta che a volte gli abitanti di Mirabella le chiedono se è già in pensione. Secondo Agata è come chiedere: “Tornerai?”, una specie di test per sapere a quale dei due luoghi appartieni, dove ti senti a casa.
I siciliani che tornano a casa dalla Germania a volte si sentono forestieri: anche se sono accolti con gioia, restano comunque degli estranei. Agata racconta che al mercato di Mirabella c’è chi, quando vede arrivare i “tedeschi”, alza i prezzi. Alla scuola materna di Calw, Agata guadagna 10,50 euro all’ora. Per il viaggio in pullman lei e Giuseppe hanno risparmiato tutto l’anno: in due spendono 500 euro tra andata e ritorno. “Dove possiamo sentirci ancora italiani?”, chiede Agata, ora con più veemenza. “In Germania sono straniera. E a Mirabella?”. Riflette: “Non ne ho proprio idea. Dopo cinquant’anni mi chiedo chi sono io, esattamente?”. Poi aggiunge: “Metà e metà?”.
Si fa sera. Nello sciacquone in bagno è finita l’acqua, al piano di sotto l’aria è viziata, il condizionatore fatica e l’atmosfera in pullman si fa più pesante. Ci fermiamo a Barberino di Mugello, poi a Roma. Cala la notte.
Mancano trentadue chilometri a Villa San Giovanni, da dove parte il traghetto per la Sicilia. Si vede già il mare, con la spiaggia piena di ombrelloni
Arriva l’ultimo tratto di strada e i passeggeri notano che qui Felice accelera sempre. Poco prima che tutti si addormentino, al piano di sopra Luca dice che gli bastano due settimane e mezza a Mirabella per essere di nuovo felice all’idea di tornarsene a casa, a Renningen, e di rivedere quel prato artificiale del campo da calcio, così ben tenuto.
Qualche attimo prima, al piano di sotto, sua madre Cettina raccontava dei tempi andati. È arrivata in Germania nel 1970 in pullman. E ha visto per la prima volta la neve. Tre giorni prima era partita da Mirabella, dove aveva dovuto lasciare il suo cane Fiore, che al ritorno da scuola l’aspettava sempre a metà strada. Quando Cettina era salita sul pullman, Fiore l’aveva rincorso a lungo. Quando era tornata per la prima volta in paese, lui non c’era più.
Per tanto tempo ha desiderato di tornare, racconta Cettina. In Germania non ha imparato un mestiere, si è limitata a parlare “il tedesco degli stranieri” al lavoro. Suo padre è morto di infarto a 53 anni. Senza dichiararlo esplicitamente sta dicendo che, in un certo senso, la vita per loro è sempre stata dura. Quant’è stata dura la nostalgia, Cettina? “Tanto”. Lei e suo marito la casa non se la sono costruita a Mirabella, ma vicino al mare, per potersene stare più tranquilli. Ma si ritrovavano a fare continuamente avanti e indietro dal paese, e allora si appoggiano a casa della madre di lei. Questa sarà la prima volta che Cettina, al suo arrivo, non troverà il tavolo già montato e pulito in terrazzo. Andrà al mare, dice, per respirare dopo un anno pesante. “Un po’ d’aria”.
Sono le 4.46. Mancano 524 chilometri a Mirabella. È ancora buio. Il cielo schiarisce. Guida Felice. Mancano 32 chilometri a Villa San Giovanni, da dove parte il traghetto per la Sicilia. Si vede già il mare, con la spiaggia piena di ombrelloni bianchi. Solo una volta in vita loro Cettina e Filippo hanno passato le ferie in un posto diverso da Mirabella. Per i sessant’anni del padre i figli gli avevano regalato una crociera: Savona, Roma, Maiorca, Barcellona, Marsiglia, Genova. E una tappa a Palermo, perché lui ci teneva, come se avesse una sorta di dovere verso la terra d’origine.
La prima azienda di pullman sulla tratta Sindelfingen-Sicilia si chiamava Ponte. E se un ponte collega due sponde, questi pullman cosa collegano? Hanno una meta o si limitano a lasciarsi qualcosa alle spalle?
Alle 7.56, dopo quasi 27 ore di viaggio, la Sicilia è davvero vicina. L’acqua luccica nella foschia mattutina. Qualcuno manda foto ai figli a casa, con le emoticon a forma di cuore. A Villa San Giovanni il pullman sale sul traghetto. I passeggeri scendono e poi salgono le scale fino ai ponti. La maggior parte dei vacanzieri sta a prua, per vedere bene l’isola. I passeggeri del pullman invece vanno quasi tutti sul ponte 4, defilato e meno affollato. Giuseppe e Agata Salafrica restano all’interno del traghetto, al riparo di un grosso vetro. Io ho lui, dice Agata di suo marito, e lui ha me. Ci siamo trovati, aggiunge, e i nostri figli sono in buona salute. “Non mi serve altro”.
Guardano il mare contenti. Cettina invece si appoggia alla balaustra con le lacrime agli occhi, dicendo: “Penso sempre che una volta lì ritroverò mio marito”.
Alle 8.24 il traghetto salpa. Tira un po’ di vento. C’è il mare. E in lontananza davanti a loro un’isola, la Sicilia. A Mirabella scenderanno dal pullman sulla rotonda, e l’autista li aiuterà con i bagagli. Nella calura del mezzogiorno attraverseranno le strade vuote, diretti alle loro case, vuote anche loro. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1431 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati