L’entrata ufficiale in guerra dell’esercito di Minsk al fianco della Russia sembra imminente: il 10 ottobre il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko ha annunciato lo schieramento di truppe congiunte, una decisione concordata, riferisce l’agenzia di stampa bielorussa Belta, con il presidente russo Vladimir Putin.
Secondo Lukašenko è un atto dovuto, di fronte alla minaccia cui sono esposte le frontiere occidentali dello stato dell’Unione (l’entità sovranazionale e intergovernativa formata dalla Russia e dalla Bielorussia con un trattato del 1999). A questa forza congiunta contribuirà in gran parte l’esercito bielorusso. L’operazione è cominciata l’8 ottobre. In Bielorussia sono attesi a breve più di mille soldati russi.
Lukašenko sostiene che il 9 ottobre, per vie ufficiose, ha ricevuto informazioni secondo cui l’Ucraina, spinta da un occidente deciso a trascinare Minsk nel conflitto, pianificherebbe di attaccare la Bielorussia. “All’esercito dico una cosa semplicissima: fate vedere al presidente ucraino e a quegli altri pazzi che se toccheranno anche solo un metro del nostro territorio con le loro sporche mani, il ponte di Crimea gli sembrerà una passeggiata”, ha dichiarato Lukašenko.
Finora il leader bielorusso aveva ripetuto che il suo paese avrebbe evitato di partecipare direttamente al conflitto nella vicina Ucraina. Da tempo, in realtà, Minsk è coinvolta nella cosiddetta operazione speciale avviata da Putin. Dallo scoppio della guerra, il 24 febbraio 2022, la Bielorussia ha fornito alle truppe russe sia il suo supporto logistico sia il suo spazio aereo. Non di rado gli attacchi all’Ucraina partono dal territorio bielorusso.
Lukašenko si trova davanti a un dilemma. La maggioranza della popolazione è nettamente contraria alla guerra contro l’Ucraina, paese con cui molti bielorussi sentono di avere un legame. Da mesi si susseguono notizie su uomini in età da arruolamento che fuggono per paura di essere spediti al fronte. Allo stesso tempo la Bielorussia, che fa parte dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (Otsc), un’alleanza militare creata il 15 maggio 1992 dai sei paesi della Comunità degli stati indipendenti (Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan), dipende completamente dalla Russia sia dal punto di vista politico sia da quello economico, tanto che molti osservatori ritenevano fosse solo questione di tempo prima che Lukašenko fosse costretto a cedere ai desideri di Putin. E visto che Mosca non sta collezionando successi sul campo di battaglia e che la mobilitazione parziale non dà i risultati sperati, è chiaro che il momento sembra arrivato.
Una nota di protesta
Il dietrofront di Lukašenko era cominciato all’inizio di ottobre, quando il presidente aveva dichiarato che la Bielorussia prendeva parte alla cosiddetta operazione speciale contro l’Ucraina, ma senza mandare i suoi soldati in zone di conflitto e senza uccidere nessuno. Subito dopo il ministro della difesa bielorusso Viktor Khrenin spiegava che il paese doveva prepararsi a respingere un attacco di Polonia, Lituania, Lettonia e Ucraina. L’8 ottobre Igor Kisim, ambasciatore ucraino a Minsk, è stato convocato al ministero dell’interno bielorusso, dove gli hanno consegnato una nota di protesta in cui si leggeva che l’Ucraina stava pianificando un attacco alla Bielorussia.
Secondo Olga Karatch, attivista bielorussa per i diritti umani, non manca molto alla mobilitazione generale. “Purtroppo l’occidente ha ignorato le nostre disperate grida d’aiuto”, commenta Karatch. “Compresa la richiesta di aprire corridoi umanitari per chi non vuole andare in Ucraina a combattere al fianco di Putin. Ma per questo non è ancora troppo tardi”. ◆ sk
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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati