Si potrebbe dire che Sahra Wagenknecht è un grande enigma. Non ama i partiti, ma vuole fondarne uno. È un’intellettuale, ma vorrebbe dare una voce a chi non sopporta il ceto medio colto. Ha origini iraniane e da giovane ha subìto discriminazioni nella Repubblica Democratica Tedesca, ma sostiene la politica migratoria più restrittiva di tutta la sinistra tedesca. È lontanissima dalla cosiddetta gente comune nei gesti, nel modo di vestire e nella sua storia, ma se la prende con i politici della coalizione semaforo, quella tra socialdemocratici (rossi), liberali (gialli) e Verdi, perché li considera troppo distanti dal popolo. Ha difficoltà con le alleanze ed è sposata con una delle personalità più complicate del dopoguerra tedesco, Oskar Lafontaine, fondatore di Die Linke ed ex ministro delle finanze. La loro è una coppia che per molti è difficile perfino da immaginare. Ha già avuto un esaurimento nervoso, ma ora vuole cimentarsi nel lavoro più faticoso per un politico: creare un partito praticamente da zero.
Qualche tempo fa abbiamo pranzato insieme in un minuscolo ristorante persiano di Charlottenburg, un quartiere di Berlino. Dopo un paio d’ore ho chiesto il conto, ma il ristoratore mi ha detto: “È già pagato, il signore là davanti voleva invitare la signora Wagenknecht”. “Lo ha fatto perché sono di sinistra”, ha commentato lei. Ma non era quello il motivo. Quando l’uomo è venuto al nostro tavolo, ha detto di essere iraniano. Le aveva offerto il pranzo perché erano connazionali.
Le succede spesso: non sa interpretare bene i gesti degli altri. Anche i suoi seguaci, cioè le persone con cui in teoria dovrebbe fondare il nuovo partito, non sembrano i classici burocrati. Piuttosto appaiono “disfunzionali”, nel senso buono del termine.
Forse la scarsa capacità di Wagenknecht di gestire i rapporti e reclutare forze potrebbe anche essere un punto di forza. In fondo non si lascia corrompere dalle azioni, dalle parole, dalle minacce malcelate, dalle lusinghe reciproche, dalle piccole bugie, in pratica dalle convenzioni che reggono una società. A differenza della maggior parte di noi, essere diversa, essere un’outsider, non la spaventa.
In genere un buon enigma non si può risolvere subito, bisogna girarci attorno. Prendiamo il caso di una politica che vuole formare il settimo partito tedesco da un altro punto di vista: cosa sta succedendo in Germania, dov’è una nicchia promettente per un partito antisistema, anche se esiste già la formazione di destra Alternative für Deutschland (Afd)? Del resto anche i Liberi elettori (Fw) e Die Linke hanno tratti populisti. In altre parole, non è Sahra Wagenknecht a volere un nuovo partito: è un nuovo partito che vuole lei. Chi è fuori dagli schemi tradizionali evidentemente cerca una donna che a sua volta non segue le convenzioni.
Contro i Verdi
Wagenknecht considera il dibattito sugli studi di genere e il pensiero che lei definisce “politicamente corretto” il peccato originale di Die Linke, un partito che secondo lei non si occupa abbastanza della condizione materiale dei lavoratori e dei precari.
L’ironia è che forse per una parte dei lavoratori e dei precari la propria condizione materiale è meno importante del rancore nei confronti del ceto medio intellettuale, cioè i Verdi. In tal caso, l’indice puntato da Wagenknecht sull’enfasi che la sinistra ambientalista mette sulle questioni culturali sarebbe coerente.
Ma prima di dichiarare risolto l’enigma Wagenknecht, o l’enigma Germania, la questione si complica ulteriormente. Quando mi è arrivata la notizia della fondazione del Partito Sahra Wagenknecht (Swp), mi trovavo a Vienna per fare ricerche su Andreas Babler, nuovo presidente del Partito socialdemocratico d’Austria. Babler ha cinquant’anni, è figlio di operai e a sua volta operaio, è diventato sindaco della cittadina di Traiskirchen con una grande maggioranza di voti. È un vero lavoratore, uno che parla e si muove come un lavoratore, uno del popolo e – ciò nonostante – di sinistra. Ma la cosa più incredibile è che si occupa anche di questioni di genere. E dice cose per le quali sarebbe accusato di tradire i lavoratori da Wagenknecht, lettrice del Faust e di Hegel. Per esempio che dobbiamo mangiare molta meno carne.
Wagenknecht ha scelto diversamente, o forse non ha scelto affatto e si limita ad agire come ci si aspetta dal suo rango sociale. Socialmente distanziata, ma unita “alla gente comune” nell’avversione contro il politicamente corretto.
Quindi ora dovrebbe esserci un altro partito che se la prende soprattutto con il flusso internazionale dei capitali? No, questo è troppo difficile, anche per Wagenknecht. I suoi principali avversari sono i Verdi, che a differenza dei soldi non vanno all’estero. Qui è tutto un po’ più semplice. Sorprende il fatto che il partito cristianodemocratico (Cdu) e l’Unione cristiano-sociale (Csu), nonché i Liberi elettori e Partito liberaldemocratico (Fdp), abbiano dichiarato come loro principale nemico gli ambientalisti, che hanno solo il 15 per cento dei voti. Senza contare che, dopo aver perso molti consensi dopo l’approvazione della nuova legge sul riscaldamento (pensata per sostituire gradualmente i termosifoni a gas con le pompe di calore), i Verdi non contano più niente nella coalizione semaforo e che, se si tralasciano alcune dichiarazioni di routine, sono rimasti praticamente in silenzio. Allora perché tutta questa rabbia contro di loro?
La domanda porta diretti nel salotto della famiglia Wagenknecht-Lafontaine. Lì, stando a un articolo del settimanale Stern, un paio di mesi fa i vecchi nemici Gerhard Schröder (ex cancelliere del partito socialdemocratico) e Oskar Lafontaine (suo ministro dell’economia nel 1998) si sarebbero riconciliati, chiudendo una ferita vecchia di 24 anni. Anche le mogli erano presenti.
Nel 1999, dopo essersi dimesso da ministro, Lafontaine abbandonò il centro politico della Repubblica Federale di Germania e si spostò ai margini. Ora, un quarto di secolo più tardi, Schröder l’ha raggiunto. I due condividono la stessa posizione sulla crisi ucraina, e anche Sahra Wagenknecht vuole che la politica pacifista nei confronti del guerrafondaio Vladimir Putin diventi un caposaldo del suo nuovo partito.
Il che ci riporta ai Verdi, che più degli altri partiti sostengono che chiunque faccia affari con la Russia acquistando il suo gas e la lasci accumulare armi a più non posso dovrà poi pagarne le conseguenze, e dovrà anche fornire armi all’Ucraina. La vecchia normalità è finita, d’ora in poi le persone devono pensare alle conseguenze di quello che dicono e fanno, a quello che mangiano e a quanti aerei prendono. I Verdi non osano più dirlo. Ma la gente lo intuisce benissimo.
Anche questo fa parte della soluzione dell’enigma: la Germania è in rivolta per difendere la normalità. E la rivolta è così diffusa e così poco compresa dal governo che creerà sicuramente almeno una nuova forza politica.
Pochi giorni fa ho telefonato a Wagenknecht. Sembrava molto concentrata e di buon umore. Ha messo in crisi Die Linke e ha un’idea molto precisa del nuovo partito. La probabilità che venga fondato, se ho ben capito, è del novanta per cento. Il venti per cento invece è la fetta di elettori che spera di raggiungere. ◆ nv
1969 Nasce a Jena, nella Repubblica Democratica Tedesca (Rdt).
1989 S’iscrive al Partito socialista unificato di Germania, il partito egemone nell’Rdt.
2009 È eletta in parlamento con Die Linke.
2017 Chiede lo scioglimento della Nato e un nuovo accordo che leghi Germania e Russia.
2020 Si schiera contro l’obbligo vaccinale per il covid-19.
2023 Dopo l’invasione dell’Ucraina propone di aprire dei negoziati di pace con Mosca.
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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati