Anche Lucía si sente prigioniera da quando il figlio è stato arrestato, più di tre anni fa. I detenuti sono stipati in cella con il petto nudo e coperto di sudore per l’umidità di Guayaquil, mentre lei sconta la pena fuori, davanti all’entrata del carcere più pericoloso dell’Ecuador, la Penitenciaría del Litoral, dove si trovano due dei suoi sei figli.

È l’ennesima serata calda in questa città di mare. Lucía e altre nove donne si fanno luce con le torce dei cellulari. Dalle borse tirano fuori lenzuola colorate e le stendono sul marciapiede, dove poche ore prima i venditori ambulanti offrivano dolci, pane, acqua di cocco e bibite. Le donne sono accomunate dagli errori dei loro familiari e dal fatto di non vederli da quasi sei mesi. Questa notte sorvegliano l’ingresso della prigione: hanno saputo che i militari, che da gennaio controllano le carceri per ordine del presidente Daniel Noboa, autorizzano la consegna dei medicinali ai detenuti. “Molti soffrono di tubercolosi e di malattie della pelle”, dice Lucía. Insieme alle altre madri, ha comprato vitamine di ogni tipo per rafforzare le difese immunitarie. Ha messo in valigia anche disinfettante e pasticche per le infezioni intestinali, la febbre e qualche antidolorifico. I militari hanno dato istruzioni precise: i farmaci vanno sistemati in una custodia di plastica trasparente con una foto del detenuto, il nome e il numero del documento d’identità scritto sul retro.

Nessuna delle donne presenti è sicura che i familiari riceveranno davvero i medicinali. Per comprarli hanno chiesto prestiti a parenti, vicini e in qualche caso anche a usurai. Hanno venduto da mangiare nel quartiere e organizzato tombole per raccogliere un po’ di soldi.

Questa sera condividono quello che hanno cucinato, si raccontano storie e a volte ridono, con quell’affiatamento che nasce tra persone che passano tanto tempo insieme. “Le prime volte che ci siamo incontrate era per protestare contro le torture nel carcere”, dice Lucía. “E siamo ancora qui, sempre più unite”, aggiunge. Sono diventate amiche nella disgrazia.

A volte ricevono informazioni da qualche detenuto rilasciato. Un mese fa un ragazzo che era nello stesso settore del marito di María, un’altra donna seduta davanti all’entrata della Penitenciaría del Litoral, le ha portato un messaggio: “Devi fare qualcosa, è malato, ha la febbre e pustole sul corpo”.

Il marito di María è stato condannato a vent’anni per omicidio. “Stavamo ballando a una festa e un ragazzo ha cercato di mettere le mani addosso a nostra figlia di quindici anni”, racconta. “Mio marito ha reagito, il ragazzo ha preso un coltello e ha cercato di colpirlo. A quel punto mio marito lo ha accoltellato”.

Da sapere

◆ Il 9 gennaio 2024 il governo del presidente Daniel Noboa ha decretato lo stato d’emergenza per novanta giorni, schierando poliziotti e militari nelle strade e nelle carceri per far fronte all’ondata di violenza provocata dalle bande criminali che si contendono il territorio e il controllo del traffico di droga. Il 22 maggio la misura è stata ripristinata in sette delle 24 province del paese, compresa quella di Guayas, dove si trova Guayaquil. Cnn


L’uomo ha già scontato più di tre anni di pena ed è sopravvissuto ai sei massacri avvenuti nel carcere a causa degli scontri tra bande criminali. L’ultima volta che María gli ha parlato, dalla voce ha percepito che non avrebbe resistito a lungo ai maltrattamenti quotidiani. “Mi ha detto di prendermi cura dei bambini e di essere forte”. Quest’ultima raccomandazione le ha spezzato il cuore.

Debiti e prestiti

“Siamo morte viventi. Quello che succede dentro, noi lo subiamo fuori”, dice Lucía. Anche lei ha una storia da raccontare. Il suo primogenito è stato condannato tre anni fa per il furto di un cellulare. Il secondo figlio è in prigione da pochi mesi. Dopo aver insistito davanti alla porta del carcere per avere qualche notizia, un giorno l’hanno fatta entrare nell’ufficio informazioni e ha visto il secondo figlio. “Ho fatto fatica a riconoscerlo, era magrissimo”, spiega.

Oggi è la normalità che siano le donne a occuparsi dei detenuti. Secondo una ricerca sul sistema penitenziario in Ecuador realizzata nel 2021 da Kaleidos, l’85 per cento dei familiari che si prendono cura dei detenuti sono donne, madri, mogli e compagne. Solo nel 4 per cento dei casi è il padre a occuparsi dei figli detenuti. Questa situazione rende la vita delle donne e delle loro famiglie ancora più precaria. In media, prima che il governo militarizzasse le carceri, le donne pagavano fino a 250 dollari al mese per la sicurezza dei detenuti, le telefonate, i prodotti per l’igiene personale. Ora non pagano più per la sicurezza, ma continuano a farlo per tutto il resto. Si sorprendono di come riescano a trovare i soldi per coprire tutte le spese, perché il reddito medio che dichiarano è di 282 dollari. Nella maggioranza dei casi si indebitano.

Poi c’è la salute emotiva. Le famiglie, che non si fidano della versione ufficiale dell’ente governativo responsabile delle carceri (Servicio nacional de atención integral a personas adultas privadas de la libertad y a adolescentes infractores), sono allarmate dalle informazioni che circolano sui social network. La sensazione di essere abbandonate dallo stato le ha spinte a organizzarsi. Rocío, per esempio, passerà la notte con un apparecchio per controllare l’ipertensione. La donna accanto a lei ha il braccio sinistro immobilizzato a causa di una frattura. Ma non sembrano preoccuparsi più di tanto di questi problemi, vogliono solo consegnare i medicinali.

È una notte tranquilla, considerando il luogo in cui si trovano. Sanno che i militari hanno il controllo delle carceri. “Quello che non capiamo è perché maltrattano i detenuti”, dice Lucía. “Non li lascerò soli, rimarrò qui fuori a combattere per loro”. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1565 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati