La stanza Snoezelen, un ambiente per l’educazione multisensoriale, rende il nido d’infanzia Wichtelhausen di Bad Oldesloe, nel nord della Germania, piuttosto particolare dal punto di vista pedagogico. Ma noi non siamo qui per parlare di questo. Vi risparmiamo anche il laboratorio di movimento, la cucina per bambini e la vasca con le palline. Cominciamo da un dato. Secondo uno studio dell’Istituto per la ricerca economica (Ifo) dell’università di Monaco di Baviera, un efficiente servizio di assistenza all’infanzia aumenta del 35 per cento la probabilità che una donna lavori. La Germania non può rinunciarci, soprattutto ora che molte aziende tedesche faticano a trovare personale qualificato.

Passiamo al prossimo dato. Anche i nidi sono a corto di personale: quest’anno servono 98.600 educatrici ed educatori in più. Assumerli costerebbe 4,3 miliardi di euro all’anno, ma non è questo il problema principale. I soldi si possono anche trovare, ma gli educatori no, da nessuna parte. Perfino chi ama liquidare la questione dei nidi come un noioso piagnisteo ormai dovrebbe aver chiaro che in Germania il punto non è capire se i bambini imparano a conoscere i propri sensi in una stanza Snoezelen con giochi di luce e suoni. Il punto, ormai, è capire se ci sono ancora adulti a vigilare su di loro.

Heilbronn, Germania, maggio 2022 (Anne Ackermann, Laif/Contrasto)

Il sindaco di Tubinga, Boris Palmer, ha parlato di un “danno economico incalcolabile”. La sua amministrazione aveva già dichiarato che a partire dall’autunno 2022 molti asili sarebbero rimasti aperti solo fino alle 13.15. Sembrava la decisione drastica di un singolo comune, ma la verità è che in tutta la Germania ci sono casi come quelli di Tubinga. Sono mesi che nel paese si susseguono annunci di tagli all’assistenza all’infanzia, con strutture che chiudono per giorni o settimane. I genitori non possono andare a lavorare, i bambini sono privati di servizi dedicati a loro e le aziende si lamentano.

A questo punto non sarebbe il caso di calcolare i costi per il sistema economico tedesco? “Ho fatto due conti”, spiega Jens Reimann. “La settimana scorsa quindici educatori su 23 erano in malattia”. Reimann dirige il Wichtelhausen, il nido d’infanzia con la stanza Snoezelen. È un uomo energico con la camicia a quadri e le soprascarpe di nylon azzurro puffo, che stasera indossano tutti: non si entra in un nido con le scarpe.

Siamo a Bad Oldesloe, nel Land dello Schleswig-Holstein, ma il posto è scelto a caso, visto che i problemi sono più o meno gli stessi in tutto il paese. L’associazione “Asili a Od, tempo di agire” s’interroga su cosa bisogna fare a Od, la sigla di Bad Oldesloe. “Oltretutto, la cuoca è in ferie: sono giorni che io e le educatrici ci affaccendiamo anche ai fornelli”, racconta Reimann. Questa settimana sono venuti alcuni genitori a dare una mano con le pulizie e la mensa. Ogni giorno c’è una classe che a turno deve chiudere.

Nelle altre strutture di Bad Oldesloe le cose non vanno meglio. Il nido Stoppelhopser ha dovuto sospendere le attività per una settimana, mentre il Moordamm, dove si riunisce l’associazione, dovrà presto affrontare quattro pensionamenti. “Non so proprio come trovare dei sostituti”, dice la direttrice della struttura. È per questo che lei e Reimann sono qui, seduti in cerchio con genitori e colleghi. Sono presenti, con le soprascarpe azzurro puffo ai piedi, tra scale a pioli e tappetini da ginnastica, anche alcuni rappresentanti delle istituzioni e un consigliere comunale un po’ troppo loquace.

Capitale umano

L’eterno problema degli asili è che diventa sempre difficile farsi prendere sul serio. Ma è una questione seria, da più punti di vista. Il bene dei bambini, ovviamente, è al primo posto, ma noi vogliamo parlare del danno economico. Questo aspetto ha due livelli. Il primo è quello del cosiddetto capitale umano. Andare al nido è importante soprattutto per i bambini di origine straniera: se a casa non parlano tedesco, per esempio, al nido migliorano lo sviluppo linguistico e così aumentano le possibilità di avere un buon percorso scolastico. I benefici per l’economia e lo stato sono considerevoli: una buona istruzione forma persone più competenti e garantisce maggiori entrate fiscali. Secondo uno studio dell’Ifo, ogni anno di scuola in più fa crescere del 10 per cento il reddito complessivo percepito nel corso della vita.

Nel lungo periodo il potenziamento degli asili potrebbe perfino “ridurre le diseguaglianze di reddito e le disparità di salario legate al genere”, spiega C. Katharina Spieß, direttrice dell’istituto federale per la ricerca demografica. Nel 2022 in Germania il divario salariale medio tra uomini e donne è stato del 18 per cento. Paragonando gli stipendi di uomini e donne con le stesse qualifiche e gli stessi profili professionali (e non trasversalmente ai vari settori), la differenza si riduce, ma è comunque del 7 per cento. È il caso di citare brevemente questi dati perché di recente, il 7 marzo 2023, si è celebrato l’Equal-pay-day, il giorno fino al quale dall’inizio dell’anno le donne lavorano senza essere pagate: è come se fino al 7 marzo le donne avessero lavorato gratis, mentre gli uomini erano retribuiti.

Ma passiamo al secondo livello del danno economico: la carenza di personale qualificato. I calcoli dell’agenzia statistica federale dicono che entro il 2036 quasi il 30 per cento dei lavoratori dipendenti andrà in pensione e non ci saranno nuove leve sufficienti per sostituirli. Insomma, la nota storia della crisi demografica. Nonostante queste previsioni, nel 2013 in Germania è stato sancito il diritto a un posto al nido a partire dal secondo anno di vita. E in effetti ormai è noto che “un servizio di assistenza all’infanzia che funzioni, destinato ai bambini sotto i tre anni, fa sì che le madri lavorino in media dodici ore in più alla settimana”, spiega Larissa Zierow, docente di economia politica all’università di Reutlingen. Le madri di figli che vanno direttamente alla scuola dell’infanzia, invece, lavorano sei ore in più alla settimana.

Fécamp, Francia, giugno 2020 (Jean Gaumy, Magnum/Contrasto)

Se gli asili restano aperti a tempo pieno e non mezza giornata, il reddito medio delle madri aumenta di 290 euro al mese e, se sono laureate, anche di 425 euro. “Cambia molto”, commenta Zierow. Non solo per le famiglie, che magari riescono a sfuggire alla povertà, ma anche per lo stato: la spesa sociale si riduce e nel corso degli anni diminuisce anche la povertà degli anziani, perché il reddito percepito dalle madri nell’arco della vita aumenta. Allo stesso tempo aumentano le entrate fiscali, lo stato sociale riempie le sue casse e crescono la produttività e il potenziale di crescita dell’economia.

Viaggi di lavoro

Tra le persone sedute in cerchio a Bad Oldesloe alza la mano Ken Sievers, papà di due bambini iscritti al nido d’infanzia Wichtelhausen. Sievers è responsabile delle vendite in un’azienda, mentre la moglie sta per essere assunta all’agenzia delle entrate. Quando il nido chiude è lui che resta a casa con i bambini: annulla i viaggi di lavoro e negozia contratti tra lanci di mattoncini Lego. Sievers e sua moglie stanno pensando di trasferirsi a Travemünde, vicino a Lubecca, perché lì almeno ci sono i nonni ad aiutarli. “La politica non può restare indifferente di fronte all’esodo delle giovani famiglie”, dice . “E le aziende? Perché non si ribellano?”.

“Ma se non gliene importa un fico secco!”, esclama uno dei presenti.

È così? Secondo Anette Stein, della fondazione Bertelsmann, se finora gli asili sono stati potenziati è stato soprattutto grazie “all’intervento dei privati”. Da anni Stein raccoglie dati per la piattaforma di monitoraggio regionale delle scuole per la prima infanzia (Ländermo­nitor Frühkindliche Bildungssysteme) che mostra le località dove la carenza di posti è maggiore. Nel Land Renania-Palatinato e a Brema la differenza tra posti disponibili e richieste è pari al 17 per cento, mentre all’altro capo della graduatoria si collocano Amburgo e la maggior parte dei Länder orientali: qui il divario oscilla tra il 4 e il 6 per cento, in virtù della diversa tradizione di queste regioni o di ingenti investimenti fatti in passato.

“Non è che le cose negli anni non si
siano mosse”, spiega Stein: tra il 2011 e il 2021 un aumento del personale del 67 per cento ha permesso alle scuole per la prima infanzia di diventare uno dei segmenti del mercato del lavoro con il tasso di crescita più alto. “È che non si sono mosse abbastanza”, aggiunge Stein. Questo vale soprattutto per la qualità dell’offerta che spesso non è incentrata sul bambino.

35
%
È l’aumento della probabilità che una donna lavori se può contare su un efficiente servizio di assistenza all’infanzia

E le aziende cosa fanno per assicurare servizi di buona qualità? Niente di particolarmente originale. Per molte non è certo un dramma: “Nel breve periodo l’economia beneficia anche di servizi di cattiva qualità. L’importante è che le madri possano andare a lavorare”, dice Stein.

E se i servizi non fossero tanto di cattiva qualità, ma semplicemente assenti? Ci rivolgiamo alla Confederazione delle associazioni d’impresa tedesche. Gli asili pessimi sono stati considerati per anni un problema delle famiglie, ma ora che i genitori non possono più presentarsi al lavoro, non bisognerebbe forse cambiare atteggiamento? “Per un’azienda avere la sede in una località in cui ci sono buoni servizi di assistenza all’infanzia è un vantaggio”, ci rispondono.

Benissimo. E la federazione dell’industria chimica cosa ne pensa? “Più funzionano i servizi per l’infanzia e meglio riusciamo a contrastare la carenza di personale qualificato”, dicono. Benissimo. E cosa fanno le aziende per assicurare questi servizi così importanti? Alcune hanno gli asili aziendali, altre posti riservati in strutture esterne o agenzie che si occupano di trovarli ai loro dipendenti.

Ma a che serve tutto questo se mancano gli educatori, che neanche le aziende possono far apparire dal nulla? Sul mercato non ce ne sono e per formarne di nuovi possono volerci anche cinque anni. Qualche idea però c’è. Ed ecco spiegato il motivo della riunione di Bad Oldesloe. L’obiettivo è ottenere che il comune sostenga gli asili locali creando dieci posti Pia l’anno. La sigla Pia sta per praxisintegrierte Ausbildung, formazione integrata alla pratica: un modello che prevede una formazione abbreviata e legata a doppio filo alla pratica ma, e questo è l’elemento principale, retribuita.

Infatti c’è una cosa da considerare: mentre gli aspiranti agenti immobiliari sono retribuiti fin dal primo giorno di formazione, alle educatrici spesso tocca pagare le scuole che frequentano. È un retaggio del dopoguerra: all’epoca i genitori delle “ragazze di buona famiglia” credevano che studiare per diventare maestra di una scuola dell’infanzia fosse un buon modo di prepararsi a fare la casalinga e investivano volentieri in questo genere di formazione.

Quest’atto di umiltà femminile resiste ancora oggi, e fa danni. Studiosi, sindacaliste ed esperte come Stein rivendicano la formazione retribuita. E con loro anche i diretti interessati: gli abitanti di Bad Oldesloe. “Il comune dovrebbe stanziare duecentomila euro”, spiega la direttrice di un nido. Tutti cominciano a parlare contemporaneamente. “Non può mica essere un problema!”, esclama un papà. “Altrimenti i genitori presenteranno ricorso e a quel punto ai comuni toccherà sborsare per risarcire i danni invece che per potenziare le strutture”, dice il rappresentante di un’associazione.

A livello nazionale, due anni fa, è stato stabilito che, a partire dal 2026, ai genitori spetterà un ulteriore diritto: il tempo pieno nelle scuole elementari. Ma questo passo richiede ancora più educatori, che nessuno sa dove andare a cercare. Quello che si sa per certo, invece, è a cosa servono le maestre.

Basta prendere un dato, fornito dalla Nationalen Bildungsmonitoring der Kultusministerkonferenz, la piattaforma nazionale di monitoraggio della conferenza dei ministri dell’istruzione dei Länder tedeschi: il 20 per cento degli alunni di quarta elementare è al di sotto degli standard minimi nazionali in due materie, tedesco e matematica. È un fallimento agghiacciante. E altrettanto agghiacciante è il prezzo da pagare. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 54. Compra questo numero | Abbonati