Mentre il mondo, quanto meno visto dall’Europa, è in piena ebollizione, il Nobel premia una scrittrice francese che racconta la sua vita. Dagli scrittori ci si aspetta che rinnovino la finzione romanzesca: è quello che chiedeva nel suo discorso la vincitrice del 2018 Olga Tokarczuk, ed è quello che fa da sempre Salman Rushdie. All’ampiezza delle grandi forme Annie Ernaux, nata a Lillebonne nel 1940, sembra invece preferire la sottile precisione del ricordo. Ma il paradosso di quest’opera interamente e ostinatamente intima, essenziale, libera da ogni artificio, è la capacità di raggiungere l’universale attraverso l’assoluta sincerità. Premiando la singolarità di un artigiano della lingua, i Nobel hanno dato l’impressione di mettere in luce il “coraggio” di Annie Ernaux. Un coraggio che del resto anche loro hanno dimostrato.
Sradicamento ed evoluzione
Da transfuga di classe, Ernaux racconta come ha rotto molto presto e molto dolorosamente con il suo ambiente d’origine. Figlia unica (dopo la morte di una sorella maggiore a lungo ignorata) di una coppia che aveva un bar con un piccolo negozio di alimentari a Yvetot, in Normandia, Annie Ernaux va alla scuola privata della piccola città. Lì scopre un altro mondo, quello della borghesia di cui entrerà a far parte più tardi con i suoi studi a Rouen. Nel 1964 sposa un uomo con i suoi stessi interessi intellettuali ma di un ambiente più modesto, di cui conserverà il cognome dopo il divorzio. Si laurea in lettere e insegna a lungo, cosa che le assicura una frequentazione assidua dei classici. Ma fino a quando vive a casa con i suoi la situazione è molto diversa. Da un lato ci sono i clienti di sua madre, simbolo intransigente dell’autorità e dell’onestà, e dall’altro i conoscenti del padre, un uomo buono che sa tenere testa agli ubriaconi del posto e che ha i suoi scatti di rabbia, come racconta nel 1997 in La vergogna (L’Orma 2018): “Una domenica di giugno, nel primo pomeriggio, mio padre ha voluto uccidere mia madre”.
Affrontare lo sradicamento significa anche affrontare la letteratura. Nel suo primo romanzo, Gli armadi vuoti (Rizzoli 1996), pubblicato nel 1974 da Gallimard, Ernaux ha una lingua curata, usa frasi ricche per descrivere le forti personalità che hanno popolato la sua infanzia e la sua adolescenza, in contrapposizione alla dolce atmosfera della scuola e alla lingua della cultura. Si sente che l’autrice ha letto Zola e Maupassant. Il suo stile è virtuoso. Se avesse continuato in questa direzione, avrebbe finito per vincere il premio Goncourt. Nel 1981, con La donna gelata (L’Orma 2021), rimane nella fiction per mettere in scena la sua vita di giovane madre di famiglia intrappolata nella tradizione patriarcale. Si trova traccia di quest’esperienza in Les années Super 8, il film realizzato insieme a uno dei suoi due figli, David Ernaux-Briot, presentato all’ultimo festival di Cannes (che si può vedere in streaming su Arte.tv).
Cosa scopriranno con questo montaggio di filmati familiari i lettori che vorranno avere più informazioni sul premio Nobel per la letteratura del 2022? Una forma di modestia che sfiora pericolosamente la banalità. Sono gli anni settanta, ed Ernaux è alle prese con una certa ascesa sociale, un viaggio in Cile appena prima della morte di Salvador Allende, le prime vacanze sulla neve. Diventata vedova, la madre della scrittrice si trasferisce a casa della figlia per poi andare di nuovo via quando il clima familiare diventa difficile. Il marito filma gli interni (diventati borghesi), i figli, sua moglie in maglione marrone (il colore dell’epoca) con i capelli sciolti sulle spalle, al tempo stesso presente e assente: una donna alta e sottile che si preoccupa poco della seduzione, al contrario di quello che farà in seguito. Philippe Ernaux filma anche la suocera, che non lascia mai il grembiule a fiori, come sottolinea il commento. Con la sua voce monocorde Annie Ernaux elenca senza insistere i Natali, i compleanni, i segni sociali e sociologici. Molte persone che compaiono nel film sono morte, a cominciare dal “regista”, il padre dei due figli di Ernaux. Les années Super 8, con la sua aria tranquilla, è il film di una scrittrice, un film sul tempo.
Autobiografia di tutti
Dove collocarsi? Come rendere giustizia al mondo operaio e contadino dei suoi genitori, che hanno cercato di vivere meglio nel dopoguerra con il bar-negozio di alimentari? Come superare la vergogna delle origini e quella causata dall’averli traditi? È nel 1983 con Il posto (L’Orma 2014) e poi nel 1987 con Una donna (L’Orma 2018) che Annie Ernaux crea lo strumento che la renderà famosa e che a volte le attirerà delle critiche: una scrittura semplice, fattuale, destinata ad affrontare la realtà, per quanto dura e violenta. Da un lato si rifiuta d’inventare, dall’altro vuole essere letta da quelle stesse persone che accoglie nel campo della letteratura: suo padre e sua madre. In seguito la scrittrice si assumerà tutti i rischi che implica un’autobiografia senza abbellimenti: il desiderio, il sesso, il dolore, la gelosia, la perdita sono rappresentati come episodi e temi che richiedono con forza un libro. Perdersi (L’Orma 2022), pubblicato nel 1992, è il primo che affronta l’amore in modo onesto e crudo. Ma l’adulta coraggiosa non dimentica mai la bambina ferita che è stata. L’aborto, presente nel suo primo romanzo, ritorna nel 2000 al centro di L’evento (L’Orma 2019). L’iniziazione sessuale brutale, a diciotto anni, ritorna nel 2016 in Memoria di ragazza (L’Orma 2017). Il suo ultimo libro, il breve racconto intitolato Le jeune homme (Gallimard 2022) era in germe da decenni. “Tutti i libri che ho scritto sono stati preceduti da una fase, spesso molto lunga, di riflessione e d’interrogazione, d’incertezza e di strade abbandonate”, scrive Annie Ernaux nell’Atelier noir (Busclats 2011). Ma oltre a questo diario di scrittura, la scrittrice ha anche un diario della propria vita, di cui ha pubblicato alcune parti. Non bisogna confondere la vita e l’opera, ma è nei legami che coltiva che Annie Ernaux attinge la sua personalità e il suo universo letterario.
Nel 2018 i britannici e gli statunitensi hanno scoperto con entusiasmo l’importante Gli anni (L’Orma 2015), dieci anni dopo la sua pubblicazione in Francia. Dal 1941 alla metà degli anni duemila, scrivendo di fotografie, canzoni, pranzi di famiglia ed eventi mondiali, Ernaux scrive l’autobiografia di tutti. Nel 2003 nel libro-intervista con Frédéric-Yves Jeannet, L’écriture comme un couteau, spiegava: “Per me la verità è il nome che si dà a quello che si cerca e che scompare continuamente”. La scrittrice racconta l’avventura comune ma rigorosamente attraverso la ricerca personale della verità, ed è questo che le ha fatto vincere il premio Nobel. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1482 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati