Il capo dello stato Emmanuel Macron sperava che le elezioni legislative sarebbero servite a “chiarire” le cose. L’assenza di una maggioranza rende invece la situazione ancor più complessa di quanto non fosse prima dello scioglimento dell’assemblea nazionale. La coalizione che sostiene il presidente è divisa tra chi chiede un accordo con la sinistra e chi un’intesa con la destra.

Macron non è il tipo da manifestare rimpianti. Lunedì 8 luglio, davanti ai dirigenti della sua formazione, Renaissance, e ai leader dei partiti alleati invitati all’Eliseo (residenza ufficiale del presidente della repubblica francese), non ha lasciato trasparire nessun rimorso sulla scelta del 9 giugno di sciogliere l’assemblea nazionale. Una decisione che ha profondamente deluso i suoi. “La grande partecipazione alle elezioni dimostra che lo scioglimento dell’assemblea rispondeva a un vero bisogno di espressione democratica”, sottolineano all’Eliseo.

Il ruolo del primo ministro

Tuttavia, all’indomani del secondo turno di questo voto anticipato, il “chiarimento” in cui sperava Macron non c’è stato affatto. Il presidente e i suoi alleati escono dalle urne perdendo decine di deputati, e in parlamento non è emersa nessuna maggioranza chiara. Anche se il Nuovo fronte popolare (Nfp) si è aggiudicato il maggior numero di seggi (182), non potrà governare da solo. Ma all’Eliseo possono tirare un sospiro di sollievo: il peggio (cioè la prevista coabitazione forzata con l’estrema destra) è stato evitato. “Al Rassemblement national (Rn) è stato detto un no molto netto”, sottolineano dalla cerchia del presidente. Il risultato è che con ogni probabilità Macron era piuttosto sereno quando, il 10 luglio, è partito per Washington per partecipare al vertice della Nato e alle celebrazioni per i settantacinque anni dell’alleanza. Il presidente non vuole neanche pensare di essere uscito da questa vicenda indebolito sul piano internazionale. “La maggioranza dell’assemblea è favorevole a un chiaro sostegno all’Ucraina”, sostengono i suoi collaboratori. “La Francia ha respinto l’estremismo. E i democratici statunitensi faranno lo stesso”, ha detto Macron l’8 luglio, elogiando Joe Biden sul canale tv Msnbc, a quattro mesi dalle elezioni in cui il presidente americano, ormai ottantenne, cercherà di conquistare un nuovo mandato.

Insomma, ai vertici dello stato il sollievo è palpabile. Ma come governare? L’equazione, già complessa prima dello scioglimento dell’assemblea, oggi sembra quasi irrisolvibile. “Se l’Rn avesse ottenuto la maggioranza non avremmo certo potuto dire che si trattava di una buona notizia, Ma per lo meno sarebbe stata fatta chiarezza”, osserva Hervé Marseille, leader dell’Union des démocrates et indépendants (Udi), alleato di Renaissance nella coalizione centrista Ensemble. Il paesaggio politico è poco chiaro, troppo confuso perché Macron possa lasciar andare il suo primo ministro: le dimissioni di Gabriel Attal, presentate l’8 luglio, sono state subito respinte. Il capo dello stato ha implorato il primo ministro di restare al suo posto “per il momento”, al fine di salvaguardare la “stabilità del paese”. Attal dovrà gestire gli affari correnti finché non sarà designato il suo sostituto.

Quest’obbligo rischia di impedire al premier, che ha 35 anni, di candidarsi alla presidenza di Renaissance o di aspirare a un posto di rilievo in parlamento. Poco importa. Chi lavora con Attal sottolinea il suo “senso del dovere”. E si augura che questo periodo di transizione non si trascini troppo a lungo.

I risultati finali
La nuova assemblea nazionale francese (la camera bassa del parlamento) e i voti del secondo turno delle elezioni legislative (Fonti: interieur.gouv.fr, Le monde)

Da parte sua il Nuovo fronte popolare, galvanizzato dalla vittoria inattesa, si dice pronto a governare e promette di proporre, entro pochi giorni, un possibile capo del governo. Ma sarà una strada in salita. L’ipotesi che le leve del potere possano finire in mano alla sinistra irrita l’ala destra dei macroniani. Dall’8 luglio i nomi più in vista del governo e della maggioranza uscente si sono attivati per dimostrare che il programma dell’Nfp non riflette il risultato delle urne. “La grande maggioranza dei francesi ha espresso il desiderio di una politica che protegga il paese dall’insicurezza e dalla pressione migratoria e che salvaguardi le finanze pubbliche”, ha scritto su X la ministra della cultura Rachida Dati. “L’interesse della Francia è trovare una maggioranza in parlamento che rispecchi quello che pensa la maggioranza dei nostri concittadini”.

Strade percorribili

“Il paese non è andato a sinistra”, afferma sui social network il deputato di Renaissance Benjamin Haddad, rieletto nel sedicesimo arrondissement di Parigi. “Lavorando con Les Républicains (Lr, destra gollista) possiamo creare, nel rispetto dell’indipendenza di ciascuno, un blocco di centro maggioritario in parlamento”, si augura il deputato. È la soluzione sostenuta anche dai ministri uscenti Gérald Darmanin (interno), Bruno Le Maire (economia) e Aurore Bergé (pari opportunità), tutti sostenitori di un accordo con Lr.

Tutti a votare
L’affluenza al secondo turno delle elezioni legislative, 1996-2024, percentuale (Fonte: interieur.gouv.fr)

Lo stesso Macron ritiene che non si debba ignorare il messaggio arrivato dai dieci milioni di elettori del Rassemblement national. Quest’offensiva di destra non piace all’altra corrente della coalizione presidenziale, più propensa a una collaborazione con i socialisti e gli ecologisti. “Non possiamo ignorare l’avanzata dell’Rn”, fa notare Clément Beaune, ex socialista ed ex deputato di Renaissance, sconfitto al primo turno a Parigi, “ma l’aritmetica dice che la prima forza in parlamento è l’Nfp”.

Macron, che cerca di apparire “al di sopra delle parti”, non dubita che nel giro di qualche giorno o di qualche settimana tutto sarà più chiaro. Una volta costituiti i gruppi parlamentari, il 18 luglio, le discussioni potranno essere produttive – spera Macron – e portare a una coalizione: o con una parte della sinistra o con la destra repubblicana. “Delle strade percorribili ci sono”, dicono all’Eliseo, mentre la sinistra continua a mostrarsi unita e la destra gollista non sembra voler andare in soccorso dello schieramento presidenziale. La cerchia del primo ministro Attal è invece scettica e dubita del successo dell’iniziativa. “Non ci siamo riusciti nel 2022, quando avevamo bisogno solo di 40 voti, figuriamoci oggi che ce ne mancano 130”, dice preoccupato un collaboratore. Da destra, il presidente del gruppo dei Républicains al senato, Bruno Retailleau, la sera del 7 luglio ha ironizzato in tv sul “dolce sogno” della coalizione con Macron.

Con una certa tendenza a essere precipitoso, stavolta il presidente avrà bisogno di parecchia pazienza. “Si sta ‘mitterrandizzando’. Dovrà dare tempo al tempo”, dice compiaciuto l’ex senatore di Lr Pierre Charon, tra i sostenitori dello scioglimento dell’assemblea nazionale. “È ossessionato da François Mitterrand”, conferma lo scrittore Bernard-Henri Lévy, spesso interpellato da Macron sulle scelte politiche del vecchio presidente socialista. I collaboratori più stretti del capo dello stato immaginano di poterlo vedere di nuovo al centro della vita politica.

Ma “la prossima mossa non spetta” all’inquilino dell’Eliseo e “non sarà lui a scegliere il primo ministro”, ricorda l’ex ministro della giustizia Jean-Jacques Urvoas, professore di diritto pubblico all’università di Brest. “Il presidente ha un potere solo nominale. È obbligato a nominare la persona sostenuta dalla maggioranza dei deputati”. È una legge ferrea che Emmanuel Macron dovrà rispettare. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 16. Compra questo numero | Abbonati