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Orbetello

Da anni rifletto sulla lenta sparizione di certi fenomeni atmosferici dai romanzi: quand’è che ha realmente smesso di piovere in maniera ordinaria, per esempio, e che esistono le stagioni degli incendi e degli uragani? Quand’è che la pioggia o la nebbia hanno smesso di essere dei complementi credibili della malinconia per diventare gli indicatori di un’anomalia, di una stranezza? Prima di quest’estate però non avevo riflettuto davvero su come stanno invecchiando i testi di certe canzoni, che da prosaici diventano quasi dissacranti. Un giorno di vacanza degli amici hanno cominciato a canticchiare il ritornello di Have you ever seen the rain? dei Creedence Clearwater Revival e io ho risposto “Not really”. Non me lo ricordavo più quando aveva piovuto, e neanche loro, altrimenti non avrebbero riso.


Dall’erosione di alcuni significati alla presenza insopprimibile di altri: davanti a un mare lattiginoso e verde che ricordava il Delta del Mekong, anche se eravamo da tutt’altra parte, ho chiesto a una compagna di viaggio qual è la canzone struggente che le torna sempre d’estate. Mi ha detto Orbetello di Flavio Giurato. Mi ha detto che il verso “Credo che ci pensiamo con lo stesso interesse. E c’è un appuntamento che nessuno ha stabilito. E non c’è un obbligo ma una buona forza di rispettarlo” per lei sintetizza possibilità diverse tra persone che si vogliono bene e si cercano, possibilità che di solito sono poco raccontate rispetto alle coreografie drammatiche dell’amore. Buona fine dell’estate allora, e buon rientro. ◆

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