Il giorno dopo le elezioni è uscita una canzone chiamata Desert, composta dal filosofo Franco “Bifo” Berardi e dal musicista Marco Bertoni con la partecipazione di Bobby Gillespie dei Primal Scream. In tempi di scarsa rigenerazione epica, Desert, pubblicata dalla 42 Records, è un’anomalia: sei minuti di cantato su una base strumentale toccante e primitiva, in cui Gillespie presta la voce a spettri che parlano di diserzione e rifiuto dei nazionalismi. La sua voce è sia una caverna sia una radio occupata da interferenze che rimandano alla tradizione della canzone di protesta, dell’inno sacro e della marcia di chi decide di voltare le spalle alla massa per riguadagnare autonomia di pensiero.
È un brano semplice che può contenere moltissimo, e che immagino restituirà pezzi di storia diversi a chiunque la ascolterà: io ho pensato ad alcuni brani antibellici di PJ Harvey in Let England shake, a qualche secondo di Atmosphere dei Joy Division, alle devastazioni soniche (e semantiche) subite da Bella ciao in tutte le cover che l’hanno trasformata in una specie di Seven nation army con il traduttore multilingue attivato, e a che strano film è stato Dunkirk di Christopher Nolan, in cui i suoni si sostituivano alla narrazione.
Poi mi sono resa conto che nessuna di queste impressioni appartiene al presente, o alla guerra cominciata a febbraio. Desert è come un’eclissi in cui ti dicono di non guardare il Sole, e allora per non bruciarti gli occhi distogli lo sguardo, ma il buio te lo senti addosso, e sai descrivere il momento preciso in cui ti è passata sopra l’ombra. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati