La canzone dell’estate
C’era un tempo in cui le canzoni dell’estate garantivano una continuità che prescindeva dallo spazio: potevi stare a un autoscontro in provincia, fare una passeggiata sul lungomare, passare due settimane in un campus all’estero a bere succo d’arancia radioattivo o ritrovarti a mangiare un cocomero a un baracchino alle due di notte e la presenza della canzone estiva (in genere un tormentone eurodance prima che l’italoreggaeton o il modello Fedez + qualcuno + vecchia gloria della canzone italiana prendesse brevemente il sopravvento) avrebbe generato un mulinello di fastidio e nostalgia istantanea, di noia e rassicurazione, che avrebbe brevemente confermato tutto quello che si sa del mondo.
Nell’estate del 2003 fu Crazy in love di Beyoncé, l’anno scorso chi lo sa. Si parla spesso dell’impatto della frammentazione delle uscite o della fine degli album sulla memoria musicale, ma la realtà è che si è contratta anche la vita di ogni canzone, il tempo che ha a disposizione su uno scaffale: quelle di Sanremo sono sparite presto, quelle degli album più attesi dell’anno durano sempre meno. Come anche le canzoni stagionali, che si mettevano a faticare a maggio e si congedavano a settembre, riassorbendosi nel flusso dei giorni.
Da “one hit wonder” a “one day wonder”: la meraviglia che dura un giorno e fa sentire la mancanza dell’ostinazione di Hit mania dance 2000 e delle compilation, perché in fondo anche l’estate è una combinazione malinconico-ballabile di frammenti scelti da qualcun altro. ◆