All’Ex-Yu rock centar di Sarajevo, il museo dedicato alla storia musicale dell’ex Jugoslavia, passando in rassegna le prime didascalie si scopre l’influenza avuta dal festival di Sanremo sulla formazione dei gruppi rock e glam dei Balcani, con un effetto quasi alla Velvet Underground, per quanto faccia sorridere dirlo.
Se l’avessi saputo prima di entrare in un jazz bar in cui tutta la memorabilia è dedicata a Tom Waits e alla guerra, mi sarei stupita di meno nel notare la presenza del vinile di Sanremo 1961, con una copertina notturna e iconica rossa, blu e viola, simile alle illustrazioni fatte da Mary Blair per i vecchi cartoni della Disney.
Le vacanze sono un’occasione per scoprire la memoria degli altri, quando si tratta di canzoni che appartengono alla nostra geografia: sempre nella stessa città, ho ascoltato Senza giacca e cravatta di Nino D’Angelo in versione bosniaca, con un suono balcanico-mediterraneo che abbandona la malinconia della versione originale a favore della sempreverde eurodance.
Infine, le nuove amicizie dell’estate permettono di fare anche archeologia del dono: una ragazza mi ha regalato Sinfonia delle scarpe da tennis del Volo (quelli degli anni settanta), che non conoscevo, e ha ricevuto in cambio Annarella dei Cccp e Senza fine di Gino Paoli: ci ho messo un attimo, ascoltandole al buio mentre salivamo per tornanti stretti, a capire che, anche se erano state scelte tutt’e due per istinto, parlano di qualcosa che non finisce, per amore e per ostinazione, e nella loro essenzialità hanno una melodia illimitata. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati