“Durante la celebrazione del mio matrimonio ho ricevuto una telefonata”, racconta Pradeep Narain. “M’informavano che il famoso giornalista Arnab Goswami voleva parlarmi. Ho pensato a uno scherzo e ho riattaccato”. Qualche giorno dopo, il telefono è squillato di nuovo. “Mi sono ritrovato in videochiamata con Arnab. Mi ha spiegato che stava lanciando il suo canale d’informazione e mi voleva nella redazione. Saremmo stati Davide contro Golia: né di destra né di sinistra, ma al servizio del popolo. Ero senza parole”. Così nel marzo 2017 Pradeep Narain (il nome è di fantasia) è passato dalla Pti, la principale agenzia d’informazione indiana, a Republic Tv. La rete prometteva di rivoluzionare il panorama indiano dell’informazione. Il suo principale animatore e direttore era Arnab Goswami, che ne era anche l’azionista principale insieme a Rajeev Chandrasekhar, un imprenditore di estrema destra poi diventato il portavoce del Bharatiya janata party (Bjp), il partito nazionalista indù del primo ministro Narendra Modi.

All’epoca Goswami aveva 44 anni ed era già molto noto. Dal 2006 al 2016 era stato un conduttore dell’emittente Times Now, la più seguita in India. In studio Goswami si era fatto la reputazione di giornalista intransigente: metteva sotto torchio gli ospiti, in particolare rappresentanti del partito del Congress, con domande martellanti. L’India voleva delle risposte e lui era lì per fare le domande, ripeteva. Gli indici di ascolto salivano alle stelle.

Clima favorevole

Dopo brillanti studi in antropologia a Oxford, Goswami aveva cominciato la sua carriera nelle testate di sinistra che oggi critica ferocemente. A 22 anni scriveva per il Telegraph di Calcutta. Nel 1996 bussò alla porta di un celebre conduttore del canale tv d’informazione Ndtv. “Era molto gentile e motivato, capii che aveva talento e lo raccomandai alla rete”, racconta il conduttore. Goswami sarebbe rimasto alla Ndtv quasi otto anni. “Non avevo visto in lui nessuna traccia di estremismo di destra”, continua il suo ex superiore. Nel 2004 Goswami lasciò l’Ndtv per Times Now. “Credo che Arnab abbia sempre pensato di meritare di più”, dice il giornalista. Con l’ascesa del nazionalismo indù, Goswami ha avuto finalmente la possibilità di soddisfare le sue ambizioni.

Nel novembre 2008 a Mumbai gli attentati degli estremisti islamici pachistani fecero più di 150 morti. “Il clima generale in India era sfavorevole al partito del Congress, al governo, e Arnab lo capì. Nei suoi programmi tv si costruì l’immagine di nemico della corruzione e della classe dirigente”. Nello stesso periodo Narendra Modi incitava la maggioranza indù contro i musulmani e contro il partito del Congress. Il politico e il giornalista stavano diventando popolari contemporaneamente.

L’arrivo del Bjp al potere nel 2013 ha rafforzato la scelta ideologica di Goswami. “Ha seguito la tendenza dell’opinione pubblica indiana. Difficile dire se fosse una tattica o una vera convinzione politica”, osserva il suo ex capo all’Ndtv. Lanciando Republic Tv, Goswami ha voluto spingersi ancora più in là e creare una sua rete televisiva. “All’epoca era considerato un professionista che si occupava di argomenti utili per la collettività”, ricorda Shweta Kothari, che ha partecipato alla creazione di Republic Tv, ma si è dimessa dopo qualche mese. “Era un po’ troppo di destra, anche se quando l’avevo incontrato era stato molto simpatico e mi aveva promesso una grande libertà editoriale”.

Arnab Goswami quand’era direttore di Times Now, dicembre 2007 (Dinodia Photos/Alamy)

Quattro anni dopo la sua nascita, Republic Tv ha soddisfatto e tradito al tempo stesso la sua promessa. Senza dubbio la rete ha conquistato rapidamente una larga parte della popolazione. Oggi trasmette in inglese, in hindi e in bengali. Attraverso slogan molto duri, titoli aggressivi e “scoop”, ha rivoluzionato lo stile televisivo del paese. Questo successo ha avuto come prezzo il naufragio ideologico di Goswami, diventato un predicatore d’odio al servizio dei nazionalisti indù al potere. Gli esempi di questa deriva non mancano, a cominciare dalle notizie false diffuse sui musulmani.

Cassa di risonanza

All’inizio della pandemia Goswami si è lanciato contro il corona jihad, diffondendo l’idea che i musulmani facessero circolare il covid-19 per uccidere la maggioranza (indù) del paese. “Perché durante il lockdown la folla si riunisce solo vicino alle moschee?”, urlava il giornalista ai microfoni di Republic Tv. Diversi musulmani sono stati linciati dopo queste sue accuse. Poi c’è stato il love jihad, l’idea che i musulmani seducano le donne indù per convertirle. Da allora, anche se si tratta di un’invenzione, diversi stati governati dal Bjp hanno delle leggi contro il love Jihad.

Republic Tv è una gigantesca cassa di risonanza delle tesi estremiste indù. Il ricercatore francese Christophe Jaffrelot, esperto di Bjp, e l’ingegnere Vihang Jumle hanno analizzato quasi duemila dibattiti andati in onda sul canale di Goswami concludendo che “pendevano tutti dalla parte del governo Modi e dell’ideologia del Bjp”. Al di là dei numeri, sono il pregiudizio e l’aggressività dei dibattiti che fanno riflettere, con l’uso di violenti hashtag contro l’opposizione e di superlativi in favore di Narendra Modi: #Modicreatehistory, #ModiG7magic e così via.

Chi ha lavorato con Goswami conferma questa faziosità. “Arnab mi aveva chiesto di dimostrare che alcuni politici del Kashmir lavoravano per il Pakistan o che dei musulmani nascondevano armi”, racconta Pradeep Narain. “Dopo aver consultato le mie fonti gli ho detto che mi servivano prove concrete, e non le avevo. Lui mi ha urlato contro accusandomi di trattarlo da bugiardo”.

“Oggi Arnab Goswami recluta giovani appena usciti dalle scuole di giornalismo. Leali soldati che gli obbediscono”

Swetha Kothari non è mai riuscita a far mandare in onda i servizi in cui criticava uno stato governato dal Bjp. “Mi ero infiltrata nelle milizie indù che linciano chi è sospettato di consumare carne di vacca. Ma il servizio non è mai stato trasmesso. Erano molto impegnati in un’inchiesta complottista che accusava il deputato del Congress Shashi Tharoor di aver ucciso la moglie, morta suicida nel 2014. Avevano piazzato dei giornalisti e messo dei microfoni intorno alla casa, intervistavano i vicini. Era rivoltante”.

Quando si tratta di accusare qualcuno di omicidio, Goswami ha il grilletto facile. In piena pandemia si è venuto a sapere che il famoso attore Sushant Singh Rajput era stato trovato impiccato nel suo appartamento. Per la polizia di Mumbai si trattava di suicidio, visto che l’uomo aveva mostrato segnali di depressione. Ma non per Goswami. Il giornalista ha deciso che la responsabile della sua morte era la sua compagna, Rhea Chakraborty.

Goswami è riuscito a trascinare nella sua crociata gran parte degli altri mezzi d’informazione e perfino il Central bu­reau­ of investigation (Cbi, l’Fbi indiano). E anche se è stato accertato che le accuse dei giornalisti erano calunnie, alcuni fan di Goswami continuano a credere nella tesi dell’omicidio. “Il modo in cui Republic Tv ha umiliato quella ragazza mi ha spinto ad andarmene”, racconta Tejinder Singh, che spiega così l’accanimento nei confronti dell’attrice. “L’architetto di Goswami si era suicidato nel 2018 lasciando un biglietto in cui accusava lui e altre due persone di non averlo pagato. La polizia aveva chiuso il caso nel 2019, ma nel 2020 il ministro dell’interno del Maharashtra l’ha riaperto e oggi la polizia sta indagando per favoreggiamento del suicidio. Alimentando l’odio contro la vita decadente degli attori di Bollywood (che ha sede a Mumbai), il giornalista voleva spingere le autorità locali ad abbandonare l’inchiesta”.

Ha pagato il successo con un naufragio ideologico. È diventato un predicatore al servizio dei nazionalisti al potere

Uno scandalo fatale

Goswami colleziona scandali, ma l’ultimo potrebbe costargli molto caro. Nell’ottobre 2020 la polizia di Mumbai ha messo le mani su anni di conversazioni via Whats­App fra Goswami e il suo amico Partho Dasgupta, all’epoca direttore del Broad­cast audience research council (Barc), il più grande istituto del mondo per misurare l’audience televisiva. Almeno cinquecento pagine di queste conversazioni sono diventate pubbliche con il nome di “Whats­App leaks”. Dagli scambi Goswami emerge come una persona cinica che ha stretti legami con il governo, che alla notizia di un attacco contro il Pakistan si rallegra pensando agli ascolti, anche se lo scontro è costato la vita a quaranta soldati indiani. Ma soprattutto quelle chat provano che le rilevazioni degli ascolti erano state truccate per far risultare Republic Tv come la prima tv indiana. In seguito a queste rivelazioni Partho Dasgupta si è dimesso dal Barc, dichiarando anche che Goswami gli aveva versato l’equivalente di 60mila euro per falsificare i dati.

La polizia di Mumbai ha aperto un’indagine e la corte suprema ha chiesto che fosse affidata al Cbi, ma dopo qualche giorno in stato di fermo, nel novembre 2020, Goswami è stato rilasciato su ordine della stessa corte. “Una vittoria per il popolo indiano!”, ha esultato il giornalista parlando ai suoi fan dal tettuccio aperto di un’auto, come un capo di governo appena eletto.

Goswami ha lasciato Mumbai per lo stato dell’Uttar Pradesh, roccaforte del Bjp, dove ha una scorta personale e continua a tenere i suoi show. Un comunicato dell’emittente dichiarava che le conversazioni svelate dalla polizia non contenevano nulla di illegale, parlava di “forze anti-indiane” come il Pakistan o il partito del Congress e prometteva di “portare alla luce il piano cospirativo contro Republic Tv”.

Goswami ha vinto? Difficile da dire. Anche se per ora il giornalista rimane a piede libero, questo scandalo è stato un duro colpo alla sua immagine. “Ero rimasto sorpreso dalla velocità con cui siamo diventati la prima rete tv del paese, ma non avrei mai ritenuto Arnab capace di una cosa simile”, confida Pradeep Narain, che ha lavorato per quattro anni al suo fianco. “Il mito del giornalista incorruttibile sta crollando”.

In realtà il prestigio di Goswami si stava appannando già prima di questo scandalo. Il suo stile aggressivo aveva cominciato a stancare. “Goswami ha sempre una solida base di fan entusiasti”, osserva Sweta Kothari. “Ma oggi gran parte degli indiani lo guarda per divertirsi, non lo considera più un giornalista credibile”.

Da sapere
Facebook e la disinformazione

◆ In un saggio uscito su The India Forum Neelanjan Sircar, del centro studi indiano Center for policy research, scrive che in India “il governo controlla a tal punto i mezzi d’informazione da diffondere strategicamente notizie false per alimentare il sostegno al Bharatiya janata party (il partito del primo ministro) e all’ideologia nazionalista indù, e contrastare i suoi avversari e la comunità musulmana. Quando un governo si arroga la facoltà di seminare disinformazione in questo modo, la democrazia è a rischio”. Oltre ai mezzi d’informazione tradizionali, anche i social network svolgono nel paese un ruolo di primo piano nella diffusione di notizie false. “Anche se il pubblico dei social è più limitato di quello della tv, il loro ruolo nella circolazione delle notizie è molto più significativo”, continua Sircar. L’India è il principale mercato di Facebook: le sue piattaforme (Facebook, Instagram e WhatsApp) contano 340 milioni di utenti. Da un rapporto interno dell’azienda sull’India, rivelato di recente dall’inchiesta Facebook papers, emergono le prove di una delle principali critiche mosse al social network: si diffonde in un paese con risorse inadeguate e senza comprendere del tutto l’impatto che ha sulla cultura e la politica locali. Sulle sue piattaforme circolano disinformazione, incitamento all’odio e celebrazione della violenza. “I problemi che Facebook ha nel subcontinente sono una versione amplificata di quelli che affronta nel resto del mondo, anche per l’ignoranza delle ventidue lingue ufficiali del paese”, scrive il New York Times. Secondo il rapporto, Facebook in India non ha risorse sufficienti e non è stato in grado di gestire le degenerazioni che ha prodotto nel paese, inclusi i post contro i musulmani. L’87 per cento del budget dell’azienda contro la disinformazione è speso negli Stati Uniti, mentre solo il 13 per cento è destinato al resto del mondo.


Da critico a burattino

Il declino della star si spiega anche con la sua difficoltà a mostrare una parvenza di neutralità nei dibattiti che conduce. “Continuo a partecipare solo per difendere la comunità musulmana, altrimenti chiamerebbero un mullah per dare un’immagine caricaturale di noi”, afferma Ifra Jan, intellettuale musulmana che vive nel Kashmir. Ma molte personalità dell’opposizione boicottano la messinscena ridicola di Republic Tv.

Le defezioni riguardano anche i grandi nomi della rete. La maggior parte dei giornalisti autorevoli che Goswami aveva convinto nel 2017 si sono dimessi. “Fin dall’inizio la rete non ha rispettato l’etica professionale”, spiega Pradeep Narain, che è stato tra gli ultimi ad andarsene perché aveva paura di non trovare più lavoro. “Oggi Arnab recluta giovani appena usciti dalle scuole di giornalismo. Leali soldati che gli obbediscono”.

A dicembre del 2020 l’autorità britannica per le telecomunicazioni ha condannato Republic Tv a pagare una multa di 20mila sterline per istigazione all’odio. La dubbia reputazione della rete ha spinto inoltre molti inserzionisti ad andarsene. Alcuni collettivi come Stop funding hate fanno pressione sui marchi che appaiono su Republic Tv , tra cui la francese Re­nault­, che in seguito ha ritirato le sue pubblicità (anche se ha compensato questo ritiro aumentando gli spot della Nissan, marchio dello stesso gruppo).

In totale più di un centinaio di aziende hanno ritirato le loro inserzioni su Republic Tv, mentre le nuove non riescono a compensare le perdite. Da 900mila secondi di pubblicità nell’ottobre 2020, l’emittente è scesa a meno di 600mila a gennaio. Inoltre l’associazione dei concessionari di pubblicità indiani ha chiesto l’esclusione di Republic Tv dalle classifiche degli ascolti del Barc, affermando che con le sue pratiche la rete ha rovinato la reputazione del settore.

Goswami ha quindi più di un motivo per preoccuparsi delle sorti dell’impero che ha costruito. Gli esponenti del Bjp sembrano più riluttanti a sostenerlo dopo l’ultimo scandalo. “Chi ha il potere è contento di usare Goswami come cane da guardia, ma potrebbe abbandonarlo se il vento dovesse cambiare”, osserva Niraj Sharma del sito Media Info. “In fin dei conti il suo destino non ha molta importanza, perché il danno ormai è fatto. Molte reti hanno cercato pericolosamente d’imitare Republic Tv. Ci sono delle differenze, ma tutte condividono l’idea che criticare il governo significhi criticare il paese”. Questo è il paradosso della carriera di Goswami, che dice qualcosa sulla direzione presa dal paese. Da critico di un potere, il giornalista è diventato il burattino di un altro. I suoi ex colleghi che hanno accettato di parlare con noi sono tutti d’accordo: non importa che Republic Tv sia o non sia la prima rete del paese, avverte Shweta Kothari, “la società si deve svegliare, perché quello che succede alla tv indiana ricorda Radio Rwanda”, la radio che negli anni novanta alimentò con false notizie le violenze contro i tutsi. ◆ adr

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 56. Compra questo numero | Abbonati