Ridley Scott non è nuovo ai drammi in costume e non sorprende che abbia deciso di raccontare l’ultimo “duello di Dio” avvenuto in Francia nel 1386. Quello che sorprende semmai è quanto poco tempo in The last duel sia dedicato al combattimento vero e proprio. Passiamo buona parte delle due ore e mezza del film osservando affascinanti frammenti di vita medievale che si concentrano su un processo per stupro, che non è considerato un crimine contro la donna, in questo caso Marguerite de Carrouges (Jodie Comer), ma contro la proprietà, cioè contro suo marito, Jean de Carrouges (Matt Damon). Jean accusa il suo ex amico Jacques Le Gris (Adam Driver) di aver violentato la moglie. Le Gris nega. I due si scontreranno a duello, sottoponendosi al giudizio di Dio. E se Jean dovesse perdere, Marguerite finirebbe sul rogo. Il film è diviso in tre atti, ognuno raccontato da una prospettiva diversa. Nel primo, scritto da Matt Damon, il punto di vista è quello di Jean. Nel secondo, scritto da Ben Affleck (che ha anche un ruolo nel film), conosciamo la versione di Le Gris. Ma è solo nel terzo segmento, scritto da Nicole Holofcener, che il film trova la sua vera e avvincente voce, cioè quella di Marguerite. È quasi fastidioso quando alla fine vengono sguainate le spade per il duello, magistralmente realizzato, e Marguerite viene di nuovo messa da parte. Il messaggio sembra proprio questo: saranno anche passati seicento anni da questo perverso senso di giustizia, ma The last duel suggerisce che sul trattamento riservato alle donne non abbiamo fatto tutta la strada che potremmo pensare di aver fatto. Dan Jolin, Empire
Regno Unito / Stati Uniti 2021, 152’. In sala
Francia 2021, 106’. In sala
Patience Portefeux è un’interprete dall’arabo che lavora per la squadra antidroga, a Parigi. È vedova da tanto tempo e guadagna troppo poco per sostenere gli studi della figlia e soprattutto la demenza senile della madre, le cui ultime volontà sono che le sue ceneri siano sparse sugli scaffali del reparto di lusso delle Galeries Lafayette. La stessa Patience conserva la nostalgia di un’infanzia agiata. Poi si presenta un’occasione, sotto forma di una grossa partita di droga abbandonata in mezzo al nulla durante un raid della polizia. Decisa a lottare contro il declino della classe media, Patience sfrutta la sua conoscenza dell’arabo, si traveste da sceicca e insieme a due piccoli trafficanti comincia a spacciare la droga. Ma dovrà sfuggire alle grinfie dei proprietari della merce, fare il doppio gioco con il capo della narcotici, che è anche suo amico, e tante altre cose. La padrina è una commedia francese della migliore vena, ben scritta, ben recitata, allo stesso tempo educata e insolente.
Jacques Mandelbaum, Le Monde
Germania 2021, 108’. In sala
Diretto da Maria Schrader, I’m your man è stato uno dei film preferiti dal pubblico all’ultimo festival di Berlino, dove ha vinto il nuovo premio per l’interpretazione senza connotazioni di genere. Ma purtroppo è un po’ deludente, sia per la prevedibilità delle situazioni, sia perché alla fine non funziona a pieno né come commedia né come film di fantascienza. In un prossimo futuro (Berlino in questo senso è una location molto plausibile) Alma (Maren Eggert) è un’archeologa con una vita privata frustrante, che accetta di fare da cavia per un esperimento: dovrà testare un robot dalle sembianze umane programmato per soddisfare ogni sua necessità, emotiva e fisica. E così Alma, benché riluttante, si porta a casa Tom (Dan Stevens). Dopo un inizio difficile e burrascoso, Alma arriva alla conclusione che forse in questo esperimento c’è qualcosa di buono. La storia, mutuata dal romanzo di Ira Levin La fabbrica delle mogli, non è nuova. I’m your man può ricordare Auggie (2019) di Matt Kane e al limite il più ambizioso e impegnativo Ex machina (2014) di Alex Garland. Ma la trama e la recitazione sono troppo generiche, è difficile prenderlo sul serio come film di fantascienza, e non funziona come commedia. Sandra Hüller (Vi presento Toni Erdmann) interpreta il direttore dell’azienda che produce i robot. Ma forse sarebbe stata una scelta più interessante per il ruolo di Alma. Peter Bradshaw, The Guardian
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