Il 9 settembre 2021 la Microsoft ha cancellato il piano che fissava per il 4 ottobre il ritorno in ufficio. L’azienda ha dichiarato che non prevede più una data per la piena riapertura delle sue sedi statunitensi. Altre aziende, in particolare la Apple e Amazon, avevano deciso di riaprire ai dipendenti all’inizio del 2022, ma a causa dell’aumento dei contagi da covid-19 e dell’incertezza che circonda la variante delta del virus hanno rimandato. Intanto l’indice della Kastle Systems, un’azienda specializzata in servizi di sicurezza, sull’uso dei luoghi di lavoro in dieci importanti aree metropolitane statunitensi mostra che la frequentazione degli uffici è tornata a crescere stabilmente da gennaio a luglio del 2021, ma che poi la tendenza si è improvvisamente invertita. Fino a quando il covid-19 non sarà sotto controllo, una quota importante della forza lavoro statunitense continuerà a riunirsi su Zoom.
Cosa significa tutto questo per l’economia? Alcuni osservatori sono ottimisti: da quando è esploso il lavoro da casa ci sono segnali che la produttività, cioè il valore di beni e servizi prodotti per ogni ora di lavoro (adeguato all’inflazione), è aumentata: tra il secondo trimestre del 2020 e il secondo trimestre del 2021 è cresciuta dell’1,8 per cento, mentre tra il 2005 e il 2019 era aumentata in media dell’1,4 per cento all’anno. Tuttavia l’interpretazione di questi dati non è semplice come sembra. I maggiori aumenti di produttività hanno riguardato la produzione di beni durevoli (per esempio le automobili e gli elettrodomestici), cioè settori ad alta intensità di capitale rimasti in gran parte estranei alla tendenza del lavoro a distanza. Inoltre molte attività del settore dei servizi, come le librerie e i negozi di scarpe, che tra il 2019 e il 2020 hanno registrato notevoli aumenti di produttività, hanno anche subìto una forte diminuzione del personale: in questo caso non deve sorprendere che un personale ridotto all’osso e composto dai lavoratori più esperti abbia garantito un maggiore rendimento. La stessa cosa è successa in settori a bassa produttività, come quello dei servizi di manutenzione, dove la perdita di posti di lavoro è avvenuta in modo spropositato. Nonostante tutto, alcuni economisti sostengono che uno spostamento sostanziale verso il lavoro da casa potrebbe favorire una crescita stabile della produttività, forse perché diminuiscono gli spostamenti tra casa e lavoro e le distrazioni legate alla vita d’ufficio.
In realtà la ricerca suggerisce il contrario: il passaggio permanente al lavoro a distanza potrebbe renderci meno produttivi. Le persone che scelgono di restare a casa possono aumentare temporaneamente la quantità di lavoro che riescono a svolgere in un giorno. Ma nel medio e lungo periodo questa condizione non garantisce alcuni benefici essenziali – tra cui imparare cose nuove e sviluppare le relazioni personali – assicurati dal confronto faccia a faccia. Il lavoro in presenza alimenta l’innovazione, e questo incide sulla produttività quasi certamente più di un lavoro più intenso e svolto da remoto per periodi probabilmente insostenibili.
Effetti collaterali
Con questo non vogliamo suggerire che i dipendenti dovrebbero tornare in ufficio cinque giorni alla settimana. La pandemia velocizzerà sicuramente il passaggio a un modello ibrido, che prevede alcuni giorni a casa e alcuni in ufficio e dà ai lavoratori una nuova e gradita flessibilità. Tuttavia è importante capire gli effetti collaterali di un’economia fondata sul lavoro a distanza. La ricerca, per esempio, ha individuato da tempo un legame tra la disuguaglianza e una ridotta crescita economica, e lavorare da casa renderà la società più disuguale. Nel maggio 2020 più di due terzi degli statunitensi con un’istruzione avanzata erano in smart working, un’opportunità sfruttata invece da meno del 15 per cento di chi aveva un diploma di scuola superiore o inferiore. Ma le divisioni esistono anche tra gli impiegati. Il lavoro a distanza può sembrare un paradiso per i professionisti di mezza età con ampie reti di contatti e una casa con una stanza che può diventare un comodo ufficio. Ma è decisamente meno attraente per i ventenni che stanno cercando la loro strada in una nuova azienda o devono lavorare in appartamenti minuscoli. Con il passare del tempo per questi lavoratori può diventare più difficile ottenere promozioni e, più in generale, realizzarsi.
Le ricerche sul lavoro a distanza, fatte sia prima sia durante la pandemia, avvalorano questa tesi. In due studi condotti in tempi diversi, alcuni economisti hanno seguito un’agenzia di viaggi cinese e un importante catena di negozi al dettaglio statunitense. Queste avevano suddiviso i dipendenti dei loro call center in gruppi che lavoravano da casa e gruppi che andavano in ufficio (l’azienda cinese aveva creato due gruppi distinti, mentre in quella statunitense la divisione non era rigida). In entrambi i casi chi lavorava da casa aveva gestito lo stesso numero di chiamate di chi era in ufficio, se non di più. Nello studio sull’azienda cinese, pubblicato nel 2015, la produttività tra chi lavorava da casa era salita del 13 per cento. Nello studio statunitense, anche questo realizzato prima della pandemia, tra i dipendenti che lavoravano a distanza le chiamate all’ora erano aumentate del 7,5 per cento, una sana spinta alla produttività nel breve periodo. Ma entrambi gli studi rilevavano che la probabilità di essere promossi si era dimezzata per i lavoratori a distanza rispetto a quelli che lavoravano in presenza. Nel caso statunitense, per esempio, il 23 per cento dei lavoratori in presenza aveva avuto una promozione entro i primi dodici mesi, mentre tra i colleghi impegnati a distanza la quota scendeva al 10 per cento. A chi veniva promosso erano stati assegnati compiti più difficili, spesso con clienti più irascibili. Del resto, come si può imparare a gestire queste chiamate se non si ha la possibilità di seguire l’esempio dei colleghi? E come può un capoufficio sapere se un dipendente è capace di trattare nel modo giusto un cliente particolarmente rognoso?
Una dinamica simile sembra esserci nel settore della tecnologia. Esaminando i dati sui progressi dei suoi programmatori – per esempio contributi specifici ai software, correzioni di errori e introduzione di nuove funzioni – nel gennaio 2021 la Microsoft dichiarava che “dopo il covid- 19 la produttività degli sviluppatori è stabile o in aumento” (questo anche se il 30 per cento dei dipendenti intervistati parlava di una minore produttività durante la pandemia). Più di recente, tuttavia, la Microsoft è arrivata alla conclusione che “il lavoro a distanza ha reso la rete di collaborazione interna più statica e con meno collegamenti tra i settori”. L’azienda ha anche rilevato uno spostamento da un tipo di comunicazione sincrona (come le riunioni di persona, le telefonate e le videoconferenze) a una asincrona (email e sms, per esempio). Questa diminuzione degli scambi in tempo reale ha portato gli autori dell’indagine della Microsoft a dire che sarà “più difficile per i dipendenti acquisire e condividere nuove informazioni nella loro rete”.
Sembra che le difficoltà nel ricevere e trasmettere conoscenze a distanza abbiano reso le aziende particolarmente scettiche all’idea di assumere qualcuno per farlo lavorare a distanza. All’inizio della pandemia l’occupazione e le offerte d’impiego erano diminuite per tutte le mansioni e in tutti i settori. Nell’ottobre 2020, tuttavia, l’offerta di posti di lavoro in presenza è tornata ai livelli precedenti alla pandemia. La stessa cosa non è successa con quella per i lavori a distanza, che è diminuita del 35 per cento tra febbraio e dicembre del 2020. Nei settori dove le persone lavoravano da remoto, l’attività online sembrava funzionare meglio per chi era già inserito nel sistema rispetto a chi arrivava da fuori sperando in un futuro migliore.
La natura dei contatti in presenza portò il grande economista britannico Alfred Marshall a scrivere più di 130 anni fa che, quando i lavoratori si riuniscono in gruppi di persone, “i misteri del commercio non sono più tali ma si trovano, come dire, nell’aria”. Questo è vero ancora oggi. Da alcuni studi emerge che chi si sposta verso le aree metropolitane vede il suo salario aumentare di mese in mese, anno dopo anno, cosa che è più compatibile con l’idea che le persone diventino più produttive quando sono immerse in un ambiente denso, vibrante, fatto d’incontri di persona.
Molti altri studi confermano quest’intuizione. Prendiamo per esempio i dati sui centralini dei numeri d’emergenza. In alcuni casi la persona che prende la chiamata è nella stessa stanza della persona che invia l’aiuto sul posto, mentre in altri le due si trovano in stanze diverse. I dati mostrano che il tempo per far scattare l’emergenza è inferiore se i due colleghi si trovano nella stessa stanza, ed è ancora più breve quando le loro scrivanie sono vicine. Questo succede anche se le informazioni iniziali sono raccolte attraverso moduli trasmessi elettronicamente.
◆ Dal 15 ottobre 2021 in Italia i dipendenti della pubblica amministrazione, circa 3,2 milioni di persone, devono tornare al lavoro in presenza. Fino al 31 dicembre, inoltre, per entrare in ufficio hanno l’obbligo di avere ed esibire su richiesta il green pass. Quest’ultima misura è stata estesa a tutti i lavoratori del settore privato. Inoltre, non si può usare lo smart working per eludere l’obbligo del green pass.
Nel mondo accademico gli articoli scritti da persone della stessa università, che lavorano nello stesso edificio, sono citati più frequentemente degli articoli di ricercatori di università diverse o che operano in edifici diversi della stessa università.
Alcuni considerano un discorso a parte il dibattito sull’apprendimento a distanza. In realtà sia la didattica a distanza sia il lavoro a distanza riguardano la creazione e la diffusione di nuove idee. Molti studi dimostrano che l’esperienza delle lezioni online è stata disastrosa per l’apprendimento: da una ricerca realizzata nei Paesi Bassi è emerso che anche in condizioni ideali, per esempio con alte percentuali di accesso alla banda larga e finanziamenti generosi, “gli studenti hanno fatto pochi progressi o non ne hanno fatti per niente quando seguivano le lezioni da casa”, e “la perdita d’apprendimento era più marcata tra gli studenti provenienti da famiglie svantaggiate”.
L’attrattiva di un’economia fondata sul lavoro da casa non è una novità. Quarant’anni fa il futurologo Alvin Toffler sosteneva che le nuove tecnologie di comunicazione (all’epoca, i fax e i primi computer) avrebbero portato le persone ad abbandonare gli uffici e a svuotare le città. Toffler aveva torto allora – le economie delle metropoli sono risorte dalle loro ceneri postindustriali – e continua ad aver torto oggi.
Il lavoro a distanza, in parte, ci sarà sempre: è semplicemente troppo comodo perché sparisca del tutto. Ma le aziende del ventunesimo secolo competono mettendo in campo conoscenza e creatività, e queste si attivano più facilmente quando le persone occupano la stessa stanza. La comunicazione online può aiutarci ad andare avanti per un po’, ma per volare alto dovremo tornare in ufficio. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1431 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati