Cultura Suoni
I don’t live here anymore
The War on Drugs (Shawn Brackbill)

Gli War on Drugs sono sempre stati più che altro il progetto solista del cantautore Adam Granduciel, che si chiudeva in studio e suonava tutti gli strumenti. Come ha detto nel 2014, “andavo fuori dai binari nella mia testa”. In I don’t live here anymore invece Granduciel sembra essere uscito dall’isolamento. Invece di rannicchiarsi in se stesso, stavolta ha registrato le demo dei brani insieme ai componenti della sua band, girando diversi studi insieme al collaboratore Shawn Everett, che dal 2017 produce i dischi insieme a lui. L’album porta il viaggio di Granduciel sempre più lontano dalle sue origini shoe­gaze e psichedeliche e lo avvicina ancora alle fonti d’ispirazione. Gli arpeggi che aprono il brano che dà il titolo al disco ricordano il successo degli anni ottanta Bette Davis eyes, mentre Harmonia’s dream e Wasted fanno pensare a Bruce Springsteen. Una volta Granduciel faceva musica per l’entroterra, oggi scrive inni per le grandi arene.

Ben Hewitt, Pitchfork

Blue banisters

A prima vista, l’ottavo album di Lana Del Rey potrebbe sembrare una specie di fratello di Chemtrails over the country club, uscito a marzo. Ancora una volta grondante di influenze country e folk, in Blue banisters la cantautrice abbandona di nuovo i suoni iperprodotti a favore di quelli acustici. Ma se si scava più a fondo, si scopre che invece questo disco ha richiesto anni di lavoro. Nectar of the Gods e Cherry blossom, già uscite nel 2019, possono essere fatte risalire alle session di registrazione di Ultraviolence. Nectar of the Gods – uno dei brani scritti insieme al suo ex fidanzato Barrie-James O’Neill – fa venire in mente Cruel world, mentre Lana canta “I get wild and fucking crazy”, divento selvaggia e fottutamente pazza. Chemtrails over the country club era stato prodotto quasi esclusivamente da Jack Antonoff, Blue banisters invece fa appello a più collaboratori, tra i quali il peso massimo dell’hip hop Mike Dean, che esce dalla sua zona di comfort in Wild­flower wildfire. Altrove ci sono contributi dei The Last Shadow Puppets, il duo formato da Alex Turner degli Arctic Monkeys e Miles Kane, con cui Del Rey ha lavorato a un disco ancora inedito. Kane inoltre presta la sua voce inimitabile a uno dei momenti clou, l’umoristica Dealer. A suo modo, Blue banisters è un disco coeso, non solo una compilation sbarazzina di canzoni d’archivio.
Luke Ballance,
The Line of Best Fit

Far in
Helado Negro (Ebru Yildiz)

Con lo pseudonimo di Helado Negro, il musicista statunitense di origini ecuadoriane Roberto Carlos Lange ha passato più di dieci anni a rifinire un suono che si espande tra sintetizzatori, folk e pop alternativo. Con canzoni cantate in inglese, spagnolo o entrambe le lingue, fonde atmosfere acustiche delicate, elettronica, testi intimi e dolci falsetti. Che interroghi la sua identità o faccia un semplice racconto della sua vita, porta sempre alla luce della bellezza. Il nuovo album Far in prende in prestito il titolo da una frase di Laraaji, artista new age molto ammirato dall’autore, ed è un viaggio nebuloso nel cosmo e nelle costellazioni. Tra pezzi dedicati alla sua partner, alla madre e ai ricordi sepolti, l’amore è il filo rosso che lega tutti i brani. L’amore per gli altri, per luoghi come Marfa, in Texas, dove Lange ha passato il lockdown, e l’amore per gli anni ottanta, espresso nelle irresistibili linee di basso. Le composizioni di questo disco si stringono e si allargano come se si passasse dagli eccessi del sabato sera alla calma della domenica mattina. I sintetizzatori sono onnipresenti ma mai invadenti, colorati dalla leggerezza degli altri strumenti: chitarre, percussioni, sax, vibrafono e la voce inebriante di Helado Negro. Il risultato finale è scintillante e va ascoltato a volume alto.

Tayyab Amin, The Guardian

Pietro Antonio Locatelli (1695-1764) era considerato dai suoi contemporanei un violinista spettacolare. Tra mille acrobazie, nei suoi concerti il compositore bergamasco si libera del modello di Vivaldi e lo proietta verso un virtuosismo estremo, rivoluzionando anche la tecnica dello strumento nelle sue incredibili cadenze ad libitum. Domare questi labirinti e il loro costante duello tra retorica e contorsionismo è alla portata di pochi. Uno è il violinista russo Ilya Gringolts, eroe del trittico di concerti di questo disco, che doma ogni ostacolo con una spigliatezza, un buon gusto e una semplicità perfetti per esaltarne la potenza espressiva.

Olivier Fourés, Diapason

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1433 - 29 ottobre 2021

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