In cinque anni e quattro dischi gli Idles si sono imposti come uno dei gruppi rock più interessanti in circolazione. La voce di Joe Talbot è ancora sfrontata e malconcia, proprio come quelle di Gang of Four, Bauhaus e Fear, padri fondatori del post punk europeo. Con Crawler però la band ha deciso di diventare un po’ più accessibile per gli ascoltatori meno affezionati. La sostanza è sempre lì, ma il gruppo, invece che urlare, si dedica a una ricerca attenta alla narrazione. Il quintetto britannico abbraccia così la parte tranquilla delle sue tendenze hardcore, realizzando un album che riflette su temi come la dipendenza, la malattia mentale e il successo. Ad affiancare gli Idles stavolta c’è Kenny Beats, compositore e produttore statunitense che dopo i traguardi raggiunti con i rapper Denzel Curry e Vince Staples affronta una nuova sfida. Il suo tocco si sente dappertutto, come negli impulsi elettronici e nella voce distorta di Progress o in The wheel, dove punta verso nuove vette di ferocia perfino per gli standard della band di Bristol. Ma è impossibile apprezzare la grandezza dell’album senza partire dal singolo The Beachland ballroom, che prende il titolo dall’omonimo locale di Cleveland. In questo brano Talbot parla delle sue performance sul palco da due prospettive diverse, descrivendole come attacchi di panico o come momenti esaltanti. Canta: “Potevano sentirmi urlare per chilometri / Il silenzio che risuona per giorni” su un’unica nota suonata con il piano. Crawler parla d’imperfezione e guarigione. È una nuova gemma per il rock che non ha mai paura di affrontare paure ed emozioni.
Matt Mitchell,
Paste Magazine