La protagonista senza nome di Melma rosa è intrappolata nel mezzo di un’epidemia che sta spazzando via la città di Montevideo. Un giorno le spiagge si sono riempite di pesci morti. L’acqua del fiume ha cambiato colore. I militari passano giorni a pulire le spiagge, pensando che i pesci siano la causa del problema. Si sbagliano, c’è qualcos’altro che paralizza ogni angolo della città: un vento rosso che piega gli alberi e presto s’impossessa anche degli esseri umani. Gli ospedali cadono a pezzi, il cibo diventa sempre più scarso. Le persone sono costrette a nutrirsi di una melma rosa, ricavata dai resti degli animali. Gli abitanti della città sono messi in quarantena. Una donna di quarant’anni racconta in modo prosaico la disgregazione di Montevideo e allo stesso tempo ripercorre la propria vita. La reclusione le permette di rivivere le scene della sua infanzia e la nostalgia la riporta al passato. Tra i muri della sua casa lotta con il suo futuro incerto. Qualcosa è cambiato nella sua vita, ma non sa come abituarsi a questo nuovo ritmo, a questo nuovo movimento che le toglie il respiro. La scrittura di Fernanda Trías è carica di onde così forti che colpiscono e allo stesso tempo guariscono la nostra anima. Queste pagine ci faranno capire che una volta deciso di cambiare direzione non potremo cancellare il nostro passato. In compenso possiamo scegliere gli oggetti, i gesti, le frasi che rimarranno nella nostra memoria. Sono proprio queste linee che ci insegneranno a gestire l’assenza.
Elena Chafyrtth,El Espectador
La trilogia di romanzi di Elizabeth Strout ha lo stesso pregio delle serie tv di qualità: grazie all’effetto cumulativo, diventa qualcosa di più della somma dei suoi episodi. Di solito i romanzi di questo tipo si muovono cronologicamente in avanti seguendo una storia lineare. Con Oh William!, tuttavia, Strout intreccia costantemente nuovi filoni alla trama principale, scivolando avanti e indietro nel tempo. La vita di Lucy Barton rimane il perno centrale: questa donna “venuta dal nulla” e che, nonostante il successo come scrittrice, si ritiene “invisibile”, rimanendo per sempre vittima della sua educazione, della sua brutale povertà, del padre poco comunicativo e della madre poco sorridente e poco affettuosa. William, il primo marito di Lucy, è il caso di studio centrale di questa nuova puntata. Il loro matrimonio è naufragato a causa delle altre donne con cui William andava a letto. E anche se inizialmente lo ha perdonato, alla fine Lucy ha fatto una scelta ed è andata a vivere in un appartamento in affitto. Strout, come sempre, non si affida alla trama, ma indugia tra momenti ricordati casualmente, che si tratti di una crisi di panico o di una conversazione incompleta, costruendo il quadro di una vita condivisa e delle sue conseguenze. Ma definirli ricordi casuali ne sminuisce il silenzioso virtuosismo: ciò che abbiamo qui sono lampi squisitamente coreografici che illuminano la confusione, le contraddizioni e gli errori di valutazione di qualsiasi matrimonio.
Jonathan Myerson, The Guardian
Una famiglia di etnia mista lotta per sopravvivere e riunirsi dopo l’espulsione del padre dagli Stati Uniti. L’adolescente Talia, nata in America ma cresciuta in Colombia, scappa da un riformatorio sulle Ande e vola per ricongiungersi alla madre e ai fratelli a New York. Mentre si affretta a prendere l’aereo, le sono raccontati vent’anni di storia familiare. Le scene più indimenticabili del romanzo sono le descrizioni intime e meticolose dei paesaggi andini e della mitologia, della lunga storia di violenza della Colombia. La capacità di Engel d’immergersi in profondità nella storia e nel folclore si estende anche alla narrazione della vita del padre di Talia e del patriarca della famiglia, Mauro. Il romanzo cattura il romanticismo dei primi giorni degli immigrati nel nuovo paese con una tenerezza viscerale. La loro pelle si scurisce al sole del Texas. Vedono l’oceano per la prima volta. Il lettore soffre per la loro giovinezza perduta, ma poi si arrabbia per la loro credulità. Perché Talia e la sua famiglia non perdono mai la loro innocenza. Karla Cornejo Villavicencio, The New York Times
Nulla è come sembra, nel settimo romanzo di Jorge Franco. Le apparenze nascondono una trama segreta che emerge a poco a poco. Ci rendiamo conto di avere a che fare con un racconto a tre voci e in tre tempi. Sullo sfondo c’è Medellín, in Colombia, “metà grandezza, metà miseria”. La città, e il modo in cui influenza la vita delle persone, è uno dei grandi temi dell’opera di Franco. Come si possa stare nel luogo in cui si abita e smettere di essere ciò che si crede di essere per trasformarsi in qualcun altro è il motivo costante dei suoi romanzi. Franco disegna l’affresco di un luogo un tempo terra d’imprenditori e commercianti coraggiosi, trasformato in un inferno a causa della potenza distruttiva del traffico di droga. I suoi personaggi aspettano, cercano, fuggono. Non è possibile mettere giù il libro prima dell’ultima pagina perché “la morte di qualcuno unisce o separa coloro che sono ancora vivi. Il dolore unisce, il senso di colpa separa, la solitudine unisce e forse anche la paura, anche se credo che l’incertezza a volte separi”. E queste morti sono anche le nostre. Questo romanzo è un’ulteriore prova che siamo in presenza di uno scrittore di grande talento, che ci invita a entrare nel suo mondo senza farci accorgere che è il contrario: lui non ha mai smesso di essere in noi.
Álvaro Castillo Granada, El Tiempo
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