Cultura Suoni
Mr. Morale & the Big Steppers
Kendrick Lamar (Renell Medrano)

L’oracolo dell’hip hop è tornato con una corona di spine per la sua ultima profezia: una sorprendente riflessione sulla paternità, la famiglia e l’amicizia. I dischi di Kendrick Lamar sono sempre stati introspettivi, ma – con ospiti come Florence Welch, Beth Gibbons dei Portis­head e Sampha – ha una delicatezza senza precedenti per il rapper di Compton. Per questo ricorda di più il secondo album di Lamar, good kid, m.A.A.d city, che rimane uno dei suoi lavori più personali. Il biglietto da visita del rapper è l’hip hop conscious: introspettivo, politicamente impegnato, con giochi di parole intelligenti e ricco di influenze jazz. Il tema della paternità è centrale nel brano Worldwide steppers, una delle canzoni più interessanti e inquietanti: Lamar si descrive mentre sta “giocando a Baby Shark con mia figlia e osservando gli squali fuori. Sono un padre protettivo: ucciderei per lei”. In Crown, il vero fulcro dell’album, Lamar rappa: “Non posso accontentare tutti” sulla melodia di Through the night del pianista londinese Duval Timothy. Mother I sober è un’altra canzone guidata dal pianoforte, con una melodia da brividi cantata da Beth Gibbons. è una raccolta di canzoni che approfondiscono il conflitto e la riconciliazione. È ancorato alla vita di Lamar, con una copertina che mostra il suo secondo figlio, Enoch. Lamar si è meritato questo momento di riflessione.
Ben Bryant, Independent

Radiate like this
Warpaint (Heirlooms)

Negli ultimi sei anni le Warpaint hanno avuto da fare: collaborazioni, progetti solisti, maternità e traslochi. Radiate like this rispecchia le tipiche strutture delle loro canzoni, a parte Heads up del 2016, che era nato da un approccio più diretto ed era influenzato dalle esperienze delle musiciste losangeline al di fuori della band. Anche se sono riuscite a gettare solo le basi dei nuovi pezzi prima dell’inizio della pandemia, il resto del disco è frutto di un’interazione a distanza e quindi è stato costruito strato dopo strato. Il fatto che sembri suonato da quattro persone nella stessa stanza dimostra quanto il loro legame sia forte. Restando su una strada pop, le cose più notevoli stanno nelle percussioni di Stella Mozgawa e nella produzione che hanno condiviso con Sam Petts-Davies (Thom Yorke e Frank Ocean). Non tutto funziona: il piano di Trouble promette più di quello che riesce a mantenere, mentre Hard to tell you non aggiunge molto alla loro fissazione per i Cure. Ma nonostante le imperfezioni le Warpaint non sono mai state così a fuoco.
Susan Darlington, Loud and Quiet

Complete Philips recordings

Fin dall’inizio della sua carriera Zoltán Kocsis (1952-2016) era speciale: con la sua aria da ragazzino ribelle faceva scoppiare il pianoforte con ritmi e colori, divorando con irriverenza mozartiana tutto quel che suonava. La perfezione come pianista ne rendeva però evidente il genio e l’immaginazione inesauribile. Le registrazioni della Philips colgono Kocsis nel suo momento d’oro e il suono colpisce sempre forte al cuore senza far male. Nei 26 cd di questa raccolta non c’è niente che non sia indispensabile: l’Arte della fuga è indiscutibile nella sua polifonia classica; in Grieg si scoprono tracce anticipatrici di Debussy; l’integrale di Bartók, solo e con l’orchestra, è un modello assoluto; la musica per piano e orchestra di Rachmaninov è asciutta come quella dell’autore; Debussy è quasi sinfonico; maestro anche della trascrizione, nell’ouverture dei Maestri cantori di Norimberga il pianista ungherese rie­sce a far entrare tutte le note dell’orchestra nel pianoforte e non sfigura di fianco a Liszt; affettuosi e divertiti, i tre concerti di Mozart sembrano piovuti dal cielo e ci fanno scoprire affinità elettive illuminanti con quelli di Ravel (la cadenza di quello per la mano sinistra è incredibile). Alla fine ci si può perdere con Kocsis nelle ombre della villa d’Este lisztiana per poi inebriarsi con i valzer di Chopin, scatenati e impertitenti. Proprio come lui.
Jérémie Bigoire, Diapason

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1461 - 20 maggio 2022

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