Quell’aspirapolvere nel buio è una delizia: fa ridere a crepapelle anche quando parla di temi serissimi. Mona è una giovane donna delle pulizie perseguitata dai fantasmi dello stupro, dell’abuso, dell’incesto, dell’abbandono e della dipendenza. Decisa a trovare persone che la aiutino a seppellire il suo dolore, inevitabilmente ne attira altre, che la riportano a quello stesso dolore. All’inizio del romanzo, Mona sta pulendo feci umane disseminate in giro per la casa. Beagin trasforma così Mona nella metafora del secchio della spazzatura lasciata dalle persone irresponsabili che la circondano: sua madre, che l’ha abbandonata per dei pappagalli da compagnia; un terapeuta cieco, che dice a Mona che puzza di suicidio; un pittore ungherese dipendente dagli oppiacei che la convince a posare nuda; e Dark, un uomo sposato che torce le viscere di Mona con una lussuria che non fa prigionieri. Mona accetta tutto, incassa tutto e poi pulisce. Tuttavia, mentre si libera di ogni narcisista sanguisuga per poi cadere sotto l’incantesimo del successivo, il romanzo traccia un crescente senso di autoconsapevolezza. Forse Mona è più forte di quanto pensi? “L’unica vergogna che provo è di essere stata troppo passiva. Non ho detto abbastanza no nella mia vita. Se lo avessi fatto, probabilmente ora sarei una persona diversa”. Mona non si aspetta più che la casa sia il luogo della guarigione, ma è comunque lì che si concentra il tenero pathos del romanzo. Stephanie Danler, The New York Times
Una nave da carico in mezzo al nulla dell’Atlantico. A parte la capitana, l’equipaggio è composto solo da uomini. Un giorno dà loro il permesso di fermare i motori, scendere con una scialuppa e nuotare per un’ora nell’oceano. Quando tornano a bordo sono colti da un dubbio: hanno portato a bordo un marinaio in più? Da quel momento in poi si verificano fenomeni inspiegabili e il cargo sembra avere la capacità di decidere velocità e destinazione. Creando una sottile inquietudine al limite del fantastico, Navarro evita i generi e i cliché. Tutto è sorprendente nel suo romanzo d’esordio, dal soggetto, all’atmosfera, e soprattutto al personaggio principale, eroina che regna come leader indiscussa sui suoi subordinati maschi. Razionale ed efficiente, la giovane deve il suo grado al duro lavoro, non scende a compromessi e organizza la vita a bordo secondo un protocollo estremamente rigido. Ma questo piccolo strappo alla routine, che concede ai suoi uomini un’ora di libertà, la destabilizzerà e rivelerà i suoi stessi difetti. Il romanzo spicca per il suo linguaggio poetico, e per il confronto tra uno stile di scrittura che sa avvicinarsi il più possibile alle sensazioni e la cruda realtà di quel mostro meccanico che è una nave da carico. Sylvie Tanette, Les Inrockuptibles
Kamila Shamsie racconta il legame platonico tra Zahra e la sua compagna di classe Maryam. Le vediamo prima come adolescenti incerte in Pakistan, che dopo la scuola si ritrovano a casa l’una dell’altra, chiacchierando per ore dei loro amori furtivi, delle loro vite future. Trent’anni dopo sono accasate nell’élite della Londra post-Brexit. Shamsie dipinge il loro legame come un’alleanza di opposti, ma i loro background sembrano simili. Le due ragazze frequentano la stessa costosa scuola, ascoltano la stessa musica e s’innamorano brevemente dello stesso ragazzo. In seguito, Zahra diventa leader di un noto gruppo per le libertà civili nel Regno Unito. Maryam è un’investitrice, parte di un’oscura cabala di capitalisti che collaborano con lo stesso governo contro cui Zahra e la sua organizzazione combattono. Maryam è sposata e madre di un bambino di tre anni; Zahra è divorziata. Per gran parte del romanzo, la relativa assenza di conflitti non fa che sottolineare il fatto che la loro è più che altro un sodalizio tra pari. Zahra e Maryam concordano sul fatto che l’amicizia è tutta una questione di “sottotesti condivisi che nessun altro potrebbe decifrare”. Abhrajyoti Chakraborty, The Guardian
L’ambientazione di Leggenda potrebbe essere la protagonista del romanzo: è l’arida pianura della Crau, che si estende per una trentina di chilometri in Provenza, ricoperta di “pietre grandi come un pugno, sotto le quali cresce l’erba riccia, in quantità sufficiente a nutrire numerose greggi” di pecore. Nel libro di Sylvain Prudhomme la attraversiamo in compagnia di una manciata di personaggi, con i cinque sensi all’erta come in un western. Ma non si tratta di attenersi ai cliché sulle gioie rustiche della vita all’aria aperta, sul lavoro indefesso del pastore, sulla terra che non mente. Leggenda è molto più sottile. Grazie alla strana indagine condotta da due amici sul mitico locale notturno della zona, il Chou, avviato a metà degli anni sessanta da un allevatore, la “leggenda” è uno spazio incrinato dal tempo. Uno degli amici, un inglese, vuole realizzare un documentario sull’argomento per “raccontare la storia di un’epoca”. Il suo compagno, un fotografo, è un ragazzo del posto. L’indagine si concentra presto sui suoi due cugini, che i genitori avevano portato in Madagascar a caccia di farfalle e che una tragica morte ha finito per fare incontrare. L’uno, un dandy sgargiante, e l’altro, un teppista che amava lottare, diventano personaggi di un paradiso fatto, come tutti i paradisi, per crollare. Un romanzo tutto finezza e malinconia. Grégoire Leménager, L’Obs
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