Cultura Suoni
The car
The Arctic Monkeys (Zackery Michael)

Gli Arctic Monkeys hanno sempre fatto le cose a modo loro: quante band dopo aver pubblicato uno dei loro dischi più di successo (AM del 2013) hanno tirato fuori un concept album bizzarro ambientato su un resort sulla Luna? Tranquility Base hotel & casino del 2018 è stato una svolta per il quartetto di Sheffield, con il frontman Alex Turner che si è preso più libertà stilistiche che mai, scrivendo testi sulla gentrificazione di una colonia spaziale e dipingendo una psichedelia nostalgica. Dopo quattro anni, gli Arctic Monkeys tornano con il settimo album in studio, The car. Il disco segue il solco dello psych pop di Tranquility Base e la band è più lontana che mai dal garage rock delle origini. Gli svolazzi orchestrali danno a molte canzoni un tocco classico, mentre i personaggi descritti da Turner evocano una crisi di mezza età alla David Bowie. Ma The car non è il ritorno trionfale che molti fan avrebbero sperato, né è una svolta come Tranquility Base. È un viaggio sospeso nella malinconia, a volte piatto e a volte brillante, che vede la band lavorare con una tavolozza morbida che non si evolve quasi mai. Ci sono alcuni momenti intriganti, ma The car non raggiunge le vette passate.

Paolo Ragusa, Consequence of Sound

Ytilaer

Dopo aver abbandonato il nome Smog, essersi trasferito in Texas ed essere diventato padre, il cantautore ed ex misantropo Bill Callahan si è avvicinato al suo nuovo corso portando un raggio di sole e accendendo i riflettori su quello che lo circonda. Il suo ultimo album si sofferma sui sogni, sulla morte e sulla condizione umana. La tentazione di cercare ciniche frasi a effetto dentro i suoi brani è forte, ma la sua poetica in realtà dialoga da sempre con una musica pittorica, in cui a un attento lavoro sulla chitarra si affianca una band spirituale. Gran parte dell’esecuzione in questo disco suona piacevolmente discreta, e ci sono molte seconde voci e ottoni. YTILAER (Reality scritto al contrario) è dominato da un’atmosfera di bellezza diffusa.
Kitty Empire, The Observer

ForeverAndEverNoMore
Brian Eno (dr)

ForeverAndEverNoMore è un disco generato dai sentimenti. Come in molti dei suoi lavori, Eno ha modellato meticolosamente le trame sonore, ognuna delle quali evoca una sovrabbondanza di concetti emotivi. I toni, nella maggior parte dell’album, sono più inquietanti del solito e dominano sentimenti nichilisti rispetto alla nostra epoca. Il musicista ha dichiarato: “Abbiamo bisogno d’innamorarci di nuovo delle nostre speranze per il futuro”. Un brano come Icarus or Blériot sembra uscito da un film di fantascienza distopico ed è esemplare di questi stati d’animo. Ma non tutto è indirizzato verso la negatività. In otto minuti, Making gardens out of silence contiene bellezza e speranza, con la sua artiglieria sintetica che procede calma e lenta con momenti vocali intangibili e sfuggenti. Forever­AndEverNoMore è nostalgico, malinconico ed esistenzialista. Brian Eno è un artista in grado di comunicare usando pochi elementi. Non ce ne sono molti altri come lui. James Mellen, Clash

Bach: variazioni Goldberg, sedute di registrazione, 1981

Nel 2017 la Sony aveva pubblicato tutte le sedute di registrazione delle variazioni Goldberg di Glenn Gould del 1955. Ora, per celebrare i quarant’anni dalla morte del pianista, dedica un box di 11 cd al re­make del 1981. Scopriamo che Gould registrava le variazioni in sequenza, ma a volte ne lasciava qualcuna da parte, oppure tornava a quelle già finite per una correzione o per rifarle completamente. Voleva ottenere un’unità strutturale che mancava al suo disco del 1955 (e aveva scelto tutti i tempi con un calcolo matematico) e una dinamica sempre coerente. Mentre di solito il pianista canadese usava lo studio come un laboratorio per sperimentare diverse soluzioni, qui sapeva chiaramente dall’inizio cosa voleva ottenere. Di conseguenza i diversi take non gli servivano per creare nuove interpretazioni, ma solo per perfezionarle. C’è anche un sontuoso libretto di 216 pagine, che contiene la documentazione di tutte le sedute, molte foto e gli spartiti, pieni dei segni spesso illeggibili del pianista. Ovviamente Gould avrebbe detestato questo album, visto il suo rigoroso controllo di tutti gli aspetti del contatto con il pubblico. Ma è interessantissimo notare la sua costante serietà e l’accuratezza della sua analisi dei risultati. È il documento inestimabile del lavoro di un pianista iconico che rivede la sua interpretazione più celebre nel suo ambiente preferito. Jed Distler, ClassicsToday

Altro da questo numero
1483 - 21 ottobre 2022

Articolo precedente

Cultura Suoni
Intervista artificiale

Articolo successivo

Pop
Il deserto del virtuale
Abbonati a Internazionale per leggere l’articolo.
Gli abbonati hanno accesso a tutti gli articoli, i video e i reportage pubblicati sul sito.
Black Friday Promo