Cultura Suoni
Mercy
John Cale (Madeline McManus)

John Cale, leggendario musicista dei Velvet Underground, produttore di dischi cardinali di Patti Smith, Nico e gli Stooges e autore di ottimi lavori solisti, è rimasto sempre alla periferia della celebrità. Questa ombra in cui ha scelto di vivere segna i temi e le scelte di produzione del suo ultimo album. Con collaboratori come Weyes Blood, gli Animal Collective e i Sylvan Esso, verrebbe da pensare che Mercy risente della loro influenza. Ma Cale, sempre ardito nelle melodie e intelligente nei testi, sfoggia al minimo i superpoteri e si comporta come un musicista sconosciuto che lavora nella sua cantina. L’emotività e la poesia arrivano subito dalle prime strofe. L’album si nutre del dolore e dell’euforia dell’esistenza. Quando parla delle proprietà primordiali e trascendentali del sangue si fa sostenere giustamente da Weyes Blood, quasi impercettibile con la sua voce angelica ma non per questo meno rilevante. Il potere della musica nel salvare delle vite, come insegna Out your window, non sta nel potere di una composizione raffinata ma nella misericordia. Forse Mercy non arriverà a tutti, ma alcuni saranno toccati nel profondo. Ed è su questa strada che John Cale vuole camminare.
Greg Walker, Northern Transmissions

Rush!
Måneskin (Tommaso Ottomano)

Ho scoperto i Måneskin nel 2021 mentre guardavo insieme a degli amici l’Eurovision. Nessuno intorno a me riusciva a capire perché una band vestita in pelle, che suonava un pezzo che ricordava i Rage Against the Machine adattati a una pubblicità della Chevrolet, avesse conquistato il primo premio. Chiaramente la band aveva acceso la passione di una parte del pubblico, il tipo di passione che converte gli ascoltatori in persone che fanno proseliti. Quel fuoco può essere fatto risalire al loro paese d’origine, l’Italia, dove nel 2017 questo ex quartetto di artisti di strada adolescenti è arrivato secondo a X Factor. Dopo la vittoria dell’Eurovision, la band è diventata un’attrazione mondiale. L’ascesa di una rock band con la r maiuscola in un’era dominata dall’hip hop e dal pop elettronico solleva una domanda: la popolarità dei Måneskin è un caso o è un segno di un cambiamento più profondo? Rush!, il primo album in gran parte in inglese dei Måneskin, conferma che il fascino della band non risiede nella musica. Le canzoni dei Måneskin sono così chiaramente riciclate, così sfacciatamente mediocri, che l’idea del gruppo che accende una guerra culturale tra rock e pop – e con essa, stereotipi su realtà e falsità – sembra nella migliore delle ipotesi tragica. Allora perché i Måne­skin sono esplosi? “Sono un fenomeno televisivo”, ha spiegato nel 2021 al New York Times il giornalista italiano Andrea Andrei, e la diagnosi sembra giusta.
Spencer Kornhaber, The Atlantic

Rott: sinfonia n. 1; Mahler: Blumine; Bruckner: Symphonisches präludium

Giocando con la sonorità dell’orchestra sinfonica di Bamberga, Jakub Hrůša c’immerge in pieno romanticismo silvestre. L’influenza di Bruckner impregna la prima sinfonia di Hans Rott (1858-1884), in particolare per il rilievo degli ottoni, che sono in primo piano o moltiplicano da lontano gli effetti prospettici. Con un fraseggio ampio il direttore ceco privilegia le tinte cupe, ma mantiene sempre un deciso profilo ritmico, dando vigore a un pezzo altrimenti un po’ statico. Se non fosse morto a venticinque anni, forse il compositore avrebbe reso più compatta la partitura, la cui risco­perta una trentina d’anni fa è stata un vero colpo di fulmine. Dopo Rott, Hrůša si dimostra molto accorto anche negli abbinamenti. Grazie all’espressività dei fiati e a un fraseggio sempre vibrante, Blumine non è la semplice elegia alla quale siamo abituati. Poi finalmente abbiamo un’esecuzione nella quale il Symphonisches präludium di Bruckner è un preludio solo di nome, suonando in realtà come lo sviluppo di una sinfonia dai contrafforti poderosi. E chiude un album che collega magistralmente questi pezzi allo stesso mondo spirituale.
Rémy Louis, Diapason

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1496 - 27 gennaio 2023

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