In un’intervista del 2016, Yves Tumor raccontava quanto la noia di crescere nel Tennessee l’avesse spinto a dedicarsi alla musica. Questo rifiuto nei confronti della monotonia sembra infatti manifestarsi in tutto quello che fa. Per esempio, nei suoi video gli abiti ispirati a David Bowie assumono forme ancora più queer. E nell’album precedente l’elettronica era spinta a livelli massimi. Per Yves Tumor, più significa meglio e l’ultimo disco lo conferma. L’inno gargantuesco espresso dal titolo fa pensare che questo sia un album divertente, e in effetti lo è. Si piazza in uno spazio tra il piacere e il dolore, e lo fa risuonare in maniera grandiosa. Il brano God is a circle comincia con un urlo gutturale in cui l’artista statunitense canta: “Sembra che ci siano posti della mia mente dove non posso andare”. Tumor lo descrive come un luogo ignoto da esplorare. E poi c’è la sexy Meteora blues o la paranoia espressa dal verso “Everyone you loved loved someone” della già citata God is a circle. I suoi testi sono sempre stati obliqui, ma quello che li rende affascinanti è come scavano nella sporcizia, nelle stranezze e nella gioia. Yves Tumor si è sistemato in una nicchia in cui il glam rock incontra la sperimentazione e anche se a Praise manca l’incisività dei suoi album precedenti, come esperienza d’ascolto è più potente.
Andy Steiner, Under the Radar
Con il recente successo del film Everything everywhere all at once, il concetto di multiverso è entrato nella cultura pop. Il multiverso indica la totalità dell’esistenza, inclusi universi alternativi e realtà alternative o parallele, che teoricamente si stanno tutte svolgendo contemporaneamente. Inoltre evoca l’idea di un potenziale illimitato, incoraggiandoci a considerare le nostre vite in modo interdimensionale. Vale anche la pena di considerare che la premessa di un multiverso, esplorata per decenni nei film e nella letteratura di fantascienza, è diventata popolare ora, nel periodo in cui i social network sono onnipresenti e le informazioni circolano ovunque. A sua volta l’hyperpop, con il suo massimalismo sonoro, è un’estensione estetica di questo zeitgeist. Con il loro nuovo album, 10000 Gecs, i 100 Gecs (Dylan Brady e Laura Les) affinano i suoni anarchici e lo stile influenzato da Twitter del loro debutto, 1000 Gecs, ricorrendo a uno suono simile mentre rendono più solida la loro abilità musicale e il modo di cantare. In questo modo il duo conferma il proprio status di ambasciatore dell’hyperpop, riuscendo anche ad accontentare i gusti del grande pubblico con qualche ritornello orecchiabile.
John Amen, Popmatters
Sottovalutare Aleksandr Glazunov (1865-1936) è un errore. È vero che rimase sempre fedele al suo stile romantico russo, senza mai raggiungere il genio melodico e il calore emotivo di Čajkovskij, però questo smette di essere importante se si accetta la sua musica senza confronti. È quello che ha fatto l’Utrecht string quartet in questa registrazione integrale delle sue opere per quartetto d’archi. L’interpretazione elegante e meticolosa riflette l’impeccabile maestria di Glazunov ed è idiomaticamente perfetta. Se per esempio prendiamo il primo quartetto, con la sua sensibilità incontenibilmente slava, le parti più contrappuntistiche del lavoro possono sembrare forzate. Ma il compositore, che aveva sedici anni, era già un maestro sicuro di sé, come dimostra l’argutissimo scherzo. La sua inclinazione nazionalistica raggiunge la maturità nel terzo quartetto, e la formazione olandese ne caratterizza magnificamente la delicatezza melodica e i potenti tutti. Gli ascoltatori hanno molte altre meraviglie da scoprire, come le lunghe variazioni dalla Suite op. 35, lo struggente quartetto n. 7 o il fantasiosissimo quintetto, con due violoncelli. Questo cofanetto è un punto di riferimento discografico assoluto.
Jed Distler, ClassicsToday
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