Nel loro nuovo disco i Tinariwen, pionieri di quello che è stato soprannominato “desert blues”, (anche se questa espressione rende poca giustizia alla musica complessa e diversificata del Sahara), hanno scritto la colonna sonora per un mondo che ancora non riesce a liberarsi dei pregiudizi coloniali verso la cosiddetta world music. Ispirato dai disordini politici in Mali, Amatssou è una testimonianza delle lotte dei tuareg contro l’estremismo islamico. Con la pedal steel del produttore Daniel Lanois presente in due brani e Fats Kaplin e Wes Corbett al banjo e ai violini, il nuovo album unisce le caratteristiche chitarre dei Tinariwen con il groove delle percussioni e il country statunitense. Per fortuna la combinazione non si risolve in un’americanizzazione delle radici tuareg del gruppo, ma in un abbellimento del suo stile. Registrato dentro una tenda in un’oasi algerina, Amatssou è forse il secondo lavoro più innovativo dei Tinariwen dopo Amadjar del 2019. Fin dall’inizio, c’immerge in un paesaggio ricco di canti basati sul botta e risposta e di ritmi complessi. L’album mette insieme geografie opposte, ma resta coerente con il percorso della band.
Shrey Kathuria, Loud and Quiet
Lo statunitense Brian Christinzio, vero nome di BC Camplight, è un autore rinato da quando una decina di anni fa si è trasferito da Filadelfia a Manchester. La decisione era stata presa come un atto disperato, per mettere un oceano di distanza tra se stesso e le tendenze autodistruttive che lo stavano divorando. Nel Regno Unito Christinzio ha incontrato nuove difficoltà, che però hanno ispirato tre ottimi album, noti anche come la trilogia di Manchester. A un anno e mezzo di distanza da un concerto trionfale dove ha proposto la cover di The king of rock ’n’roll dei Prefab Sprout, nel nuovo disco The last rotation of Earth lo ritroviamo detronizzato e farneticante dopo la fine di una lunga relazione sentimentale. Nessuno come lui riesce a creare spazio per l’art rock e le ballate melodrammatiche, fino ad arrivare a stranezze più impressionistiche come in It never rains in Manchester, mentre i testi sono pervasi da tristezza e umorismo tagliente. Su Twitter Christinzio ha lasciato intuire più volte che questo potrebbe essere il suo ultimo album, anche se Simon Raymonde, capo della sua casa discografica ed ex bassista dei Cocteau Twins, ha dichiarato che vorrebbe andare avanti tutta la vita a pubblicare la musica di BC Camplight. Speriamo che il capo lo convinca.
Joe Goggins, The Skinny
Celebrata fino al suo ritiro nel 1976, poi ingiustamente dimenticata, qui Erica Morini (1904-1995) ritrova finalmente il suo posto tra i grandi maestri dell’archetto del novecento. La violinista austriaca fu una delle ultime rappresentanti di un gruppo di musicisti prodigio, di cui fanno parte anche Rudolf Serkin e George Szell, testimoni della fine dell’impero austro-ungarico. Lottò sempre perché le violiniste avessero lo stesso trattamento dei loro colleghi maschi. Lo stile di Morini è pieno di libertà ed eleganza, capace allo stesso tempo di stupire e commuovere. I primi cd di questo cofanetto riuniscono esecuzioni di grandi concerti del repertorio guidate da direttori di primo piano (Artur Rodziński, Ferenc Fricsay), e hanno una luminosità e una dinamica all’altezza dei più bravi violinisti dell’epoca. Negli anni sessanta Morini formò un celebre duo con Rudolf Firkušný. Le loro registrazioni sono preziose testimonianze dello stile viennese d’inizio secolo, mostrando un dialogo tra gli strumenti pieno di garbo e umanità. Ci sono anche piacevoli sonate di Tartini, Nardini e Vivaldi. E deliziose miniature, che mostrano una straordinaria libertà di gusto e un virtuosismo sfavillante. Molte sono di Fritz Kreisler, che all’epoca disse: “Nessuno suona Kreisler meglio di Erica Morini”.
Jean-Michel Molkhou, Classica
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati