Il nuovo film di Hayao Miyazaki ha tutte le caratteristiche delle opere tardive dei grandi maestri: non ha niente da dimostrare e punta all’essenza. A Tokyo, nel 1944, Mahito, undici anni, perde la madre durante un bombardamento. Si trasferisce con il padre nella tenuta di proprietà della famiglia materna. Il ragazzo fatica ad ambientarsi e si isola. Finché un misterioso airone lo attira verso una torre abbandonata che conduce a un mondo capovolto, da cui si diramano i corridoi dello spazio tempo e dove Mahito spera di ritrovare la madre. Un’odissea simile a un ritorno alla matrice, quasi intrauterina. Potremmo avere a che fare con il significato più alto dell’animazione (e per estensione dell’animismo): cogliere in ogni cosa l’impulso primigenio.
Mathieu Macheret, Le Monde
Stati Uniti / Regno Unito 2023, 131’. PrimeVideo
Nel secondo film della regista e sceneggiatrice (premio Oscar) Emerald Fennell, Barry Keoghan (troppo vecchio per il ruolo) interpreta Oliver, una matricola di Oxford, attratto dalla cerchia del bellissimo e privilegiato Felix (Jacob Elordi), erede di Saltburn, un castello favoloso che comprende un labirinto e una ricca collezione di familiari elegantemente inquieti e di tirapiedi disturbati. Oliver, di origini più modeste, è affascinato in modo malsano dal mondo di Felix, ancora di più quando vanno a Saltburn dove devono essere perseguiti ogni capriccio e ogni impulso. Purtroppo Fennell adotta lo stesso approccio, libero e indulgente, verso regia e sceneggiatura, senza preoccuparsi di ostacoli come coerenza dei personaggi, logica o ritmo. Gli occasionali piaceri perversi (una Rosamund Pike gloriosamente sgarbata) non compensano la delusione durante il disordinato e sfrenato climax del film.
Wendy Ide, The Observer
Finlandia 2023, 81’. In sala
Chi ama Aki Kaurismäki sarà felice di ritrovarlo, a sei anni dal suo ultimo film, perfettamente fedele a sé stesso. Anche Foglie al vento racconta una storia di proletari sfruttati in ogni modo, imprigionati dalle logiche capitalistiche in gironi infernali da cui escono sempre perdenti. L’operaio Holappa beve perché è depresso ed è depresso perché beve. L’impiegata Ansa non riesce a tirare avanti con il lavoro, allora ruba e così perde anche il lavoro. S’incontrano e tra loro nasce un amore che non salverà il mondo, ma forse salverà due anime sole. Non c’è nessun inconscio da analizzare o interpretazione da dispiegare. Si può solo entrare nei dettagli per capire dove sta l’emozione. E lì vediamo che tutto è una forma di resistenza: una frase che colpisce nel segno, l’eleganza di un gesto, la probità di una postura si oppongono alla stupidità, alla volgarità e all’ingiustizia.
Marcos Uzal, Cahiers du Cinéma
Stati Uniti 2022, 107’. In sala
Il maestro giardiniere segna la conclusione della trilogia di Paul Schrader su uomini in cerca di redenzione nell’America moderna. Dopo il pastore di First reformed e il torturatore di _Il collezionista di c__arte_, stavolta abbiamo a che fare con Narvel (Joel Edgerton), un orticoltore solitario e rigoroso che si prende cura dei giardini di una splendida tenuta di New Orleans di proprietà di Norma Haverhill (Sigourney Weaver), che con l’uomo ha un rapporto stretto e costante.
La squadra di giardinieri guidata da Narvel si sta preparando per un evento di beneficenza quando Norma gli affida anche le cure della nipote problematica Maya (Quintessa Swindell). La relazione tra i due sboccia, ma crescono anche i problemi. Attraverso dei flashback vengono alla luce i violenti segreti di Narvel e anche Maya dovrà fare i conti con il suo passato. In mani meno esperte l’intreccio tra tossicodipendenza, violenza, ricchezza, povertà e complessi rapporti interpersonali finirebbero per scadere nel melodrammatico. Ma bisogna aver fede in Schrader: come sanno tutti i giardinieri, la pazienza porterà a una ricompensa.
Lou Thomas, Empire
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