Nel 2020, la cantautrice colombiana nata negli Stati Uniti Kali Uchis ha pubblicato Sin miedo (del amor y otros demonios), il suo primo album in lingua spagnola. La sua etichetta, però, era contraria a far uscire un disco in una lingua diversa dall’inglese e si era rifiutata di promuoverlo, così non era entrato in classifica. Uchis si è presa la sua rivincita quando il brano Telepatía è diventato popolare su TikTok e ha raccolto più di un miliardo di riproduzioni sulle piattaforme di streaming. Ai Latin American Music Awards del 2022, la cantautrice aveva detto ai giornalisti di aver terminato due album, uno in inglese e uno in spagnolo. Quello in inglese è Red Moon in Venus uscito nel 2023 debuttando al numero quattro della classifica statunitense. Orquídeas, registrato nello stesso momento, è la sua immagine speculare. Tutti i brani tranne uno sono in spagnolo e riflettono l’amore di Kali Uchis per l’rnb elegantemente funky, il dembow, il bolero, la salsa e il reggaeton. Anche se il suo stile di produzione è sognante come quello di Red Moon, Orquídeas è anche più inquietante, un set notturno per sognatori e ballerini. Le 14 tracce dell’album offrono diverse collaborazioni, che riflettono le sue ambizioni stilistiche. In Orquídeas, Uchis rimane fedele a se stessa, espandendo il suo stile e abbracciando il passato per vivere il presente. È un disco tanto accattivante quanto musicalmente avventuroso.
Thom Jurek, AllMusic
Dopo aver prodotto dischi per Michael Head e Brooke Bentham, Bill Ryder-Jones è tornato al centro dell’attenzione per le sue canzoni. Non succedeva da tempo. Il suo quinto album solista, intitolato Iechyd da, che significa “alla salute” in gallese, è il migliore che ha fatto. È ricco e pieno di chitarre aggraziate, pianoforti precisi e toni sommessi. “È il disco che ho prodotto di più”, ammette. “Non ero così orgoglioso di un album da A bad wind blows in my heart del 2013”. Ci sono archi, campionamenti, bambini che cantano e perfino il collega trovatore Mick Head che legge l’Ulisse di James Joyce sopra le onde subacquee alla Ennio Morricone di …And the sea…, lo strumentale di metà album La gloriosa If tomorrow starts without me è il tipo di guitar pop in cui fratelli gallesi di Ryder-Jones come gli Euros Childs e Sweet Baboo sono specializzati, mentre l’epopea di This can’t go on ricorda i Mercury Rev. I hold something in my hand fa tornare alla mente i suoi giorni con i Coral. C’è un’atmosfera attuale e senza tempo in questi brani e sembra che qualcosa di maestoso si stia muovendo a West Kirby. Alla salute, davvero.
Alan O’Hare, The Skinny
Appena finita la registrazione del terzo concerto per piano di Beethoven a Filadelfia, Rudolf Serkin si girò verso le prime parti dei legni dell’orchestra e gli chiese di fare con lui un album con il quintetto di Mozart. È così che nel 1953 cominciò la vita discografica del Philadelphia Woodwind Quintet. Il pezzo di Mozart diventò il loro emblema, lo incisero anche in stereofonia con Robert Casadesus, una lettura fluida, ma senza le ombre e la nostalgia di Serkin, che faceva regnare uno spirito sempre collegiale. Il quintetto aveva una grande curiosità nel repertorio: Rudolf Firkušný li scelse per quella che sarebbe stata la loro seconda uscita, il concertino del suo maestro Leoš Janáček, e loro gli aggiunsero un disinvolto Mládí. Poi arriva il novecento con Hindemith, Ibert, Nielsen, Milhaud, Toch, Françaix, Jolivet e anche Poulenc, con l’autore al pianoforte nel suo sestetto. Ci sono gli statunitensi (Persichetti, Barber) e l’asprezza di Schönberg, un disco li rese dei beniamini dei musicofili intellettuali di New York. E alla fine arriva anche un album con Ornette Coleman: un mondo nuovo.
Jean-Charles Hoffelé, Classica
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati