Una famiglia siriana, una donna afgana, una giovane guardia di frontiera, una psicologa polacca che diventa attivista. Ritroviamo tutti questi personaggi dentro l’inospitale foresta al confine tra Bielorussia e Polonia che dà il titolo a questo superbo dramma di Agnieszka Holland. Negli ultimi dieci anni ci sono stati tanti film che hanno affrontato la crisi dei rifugiati in Europa. E Green border è senz’altro uno dei migliori, anche perché lungo quel confine si è visto qualcosa di ancora più disumano del solito. Aleksandr Lukašenko, con la promessa di un facile accesso in Europa, ha attirato i rifugiati al confine bielorusso. Una mossa calcolata per provocare l’Unione europea, che trasforma il viaggio di queste persone in un incubo quando, nel migliore dei casi, si vedono brutalmente respinte dalle guardie di frontiera polacche, condizionate a non considerarle esseri umani ma “proiettili”. I profughi diventano così pedine di uno stallo geopolitico e poco riescono a fare gli attivisti che devono districarsi in un quadro giuridico ristrettissimo. Green border è uno “spettacolo” brutale, estenuante, il cui impatto è accentuato da una messa in scena magistrale. L’inquadratura di una famiglia siriana allo stremo di fronte a un muro su cui è impressa una bandiera europea suona come un atto d’accusa schiacciante contro la crescente inazione dell’Unione europea.
Wendy Ide, Screen Daily
Polonia / Germania / Francia / Belgio 2023, 147’. In sala
Stati Uniti 2023, 104’. In sala
Già nel Colore viola di Steven Spielberg c’erano molti elementi da musical. Un paio di belle canzoni, un look molto curato, la minimizzazione degli aspetti più crudi (violenza domestica e lesbismo) del romanzo premio Pulitzer di Alice Walker, da cui era tratto, per puntare su quelli più elevati. E il film di Spielberg, più che il romanzo, è chiaramente la principale ispirazione di questo musical, basato sullo show di Broadway di cui è un bellissimo allestimento, molto ben fatto e alla fine commovente. Diversi aspetti della storia alla fine mancano di grinta. Ma sul piano spettacolare Blitz Bazawule, al suo primo lungometraggio, incanta. C’era da aspettarselo dal regista del visual album di Beyoncé, Black is king. In sintesi Il colore viola è una versione fin troppo ammorbidita del film di Spielberg, per non parlare del romanzo di Walker. Ma i bellissimi numeri musicali e un cast perfetto garantiscono sorrisi e lacrime.
Ian Freer, Empire
Stati Uniti 2023, 93’. In sala
Realizzare una commedia ben scritta, ben recitata, alla mano, pensata per un pubblico adulto e mediamente raffinato, e spedirla in sala era una onorevole tradizione hollywoodiana. Oggi quei film sono diventati merce rara. La scrittrice e regista Nicole Holofcener, che vi piaccia o no, cerca comunque di tenere alta la bandiera dei film arguti sulle crisi di mezza età. A dire il vero è una brillante anche se un po’ estenuante, più amara che dolce, commedia sulla disillusione. Newyorchesi di mezza età, articolati e depressi, con lavori di classe e figli ventenni problematici, hanno incontri casuali in negozi di lusso o per strada e poi passano tanto tempo a confessarsi le conversazioni che hanno avuto. È un modello reso celebre da Woody Allen e Nora Ephron, anche qui le risate sono sostituite da sussulti e gemiti.
Peter Bradshaw, The Guardian
Georgia / Russia / Bulgaria / Stati Uniti 2021, 90’. In sala
Da qualche anno i migliori film georgiani nascono lontani dal paese. Kakhi (Levan Tediashvili, 75 anni, due volte campione olimpico di lotta libera ai tempi dell’Unione Sovietica) è un vecchio colosso che va a Brooklyn a trovare il figlio Soso, che studia per diventare medico e aiutare così la famiglia. La situazione è molto diversa: Soso è un giocatore d’azzardo incallito e deve un sacco di soldi alla mafia russa. La tensione di un noir e la malinconia di una storia di sradicamento s’intrecciano in un film raffinato.
Jacques Mandelbaum, Le Monde
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