Little Simz, uno delle artiste più audaci del rap britannico, ha lanciato progetti eccellenti con costanza dall’inizio degli anni venti, e anche prima. Ora è tornata con Drop 7, nuovo capitolo della serie dei suoi ep Drop. Stavolta Little Simz sembra più sicura che mai delle sue capacità. Rispetto al rappato veloce di successi del passato come Venom, suona più rilassata e a suo agio. La traccia di apertura, Mood swings, segue questa scia e offre una performance fluida. Supportato da un sottofondo elettronico e da percussioni che rimandano all’Africa occidentale, è il brano migliore ed è un assaggio dei luoghi musicali in cui la rapper sembra voler approdare. Altri pezzi come Fever introducono toni più pop, mentre Power, che dura solo 55 secondi, fa pensare alle origini della sua carriera. Nella conclusiva Far away, invece, Little Simz si avvicina al canto come non mai e chiude con l’ep con un tono insolitamente caldo. Drop 7 dimostra perché Little Simz è considerata una delle migliori artiste del rap contemporaneo. Fondendo insieme techno, hip hop e influenze africane ha creato un miscuglio ipnotico a base di percussioni potenti e ritmi rilassati da club, che difficilmente potrebbe suonare meglio di così.
James Evenden, The Indiependent
Ormai sono più di dieci anni che William Doyle, cantautore originario di Bournemouth, pubblica musica. E dopo aver messo da parte lo pseudonimo East India Youth si è ritagliato uno angolino tutto suo, con un art pop pastorale e filosofico. Questa evoluzione è culminata nei suoi due album Your wilderness revisited, del 2019, e Great spans of muddy time, del 2021, splendidi e inquieti. Il nuovo lavoro, intitolato Springs eternal, è un oggetto un po’ più strano: la qualità non varia da canzone a canzone, come succede di solito, ma all’interno della canzone stessa. Prendiamo il singolo Now in motion. È un brano ben eseguito in cui il musicista britannico dimostra ancora una volta il suo talento melodico, però qui la sua vocalità delicata non funziona. Salvo che poi, negli ultimi trenta secondi, in cui esplode in un’impennata alla Hot Chip, tutto s’incastra alla perfezione. Il disco brilla invece nelle parti strumentali: A long life è uno dei pezzi migliori per il suo ininterrotto esercizio di sintetizzatori e trame glitch, mentre Garden of the morning si addice meglio alla voce di Doyle rispetto ai pezzi più movimentati. Sembra che l’artista abbia voluto correre dei rischi, che però non l’hanno ripagato abbastanza da creare un grande album come gli era successo in passato.
Joe Creely, The Skinny
I dodici valzer per due pianoforti che compongono Le ruban dénoué (Il nastro sciolto) di Reynaldo Hahn (1874-1947) sono più interessanti di quel che farebbero pensare i loro titoli “poetici”, cose tipo Le decisioni indolenti del fato o Danza d’amore e di dolore. Certo, ogni tanto si sfiora un tono mondano, ma la delicatezza della scrittura e la chiarezza del discorso li rendono un’opera originale. È da notare che queste affascinanti composizioni furono scritte nel 1915 dal fronte, durante la prima guerra mondiale, come antidoto al veleno del conflitto. Pour bercer un convalescent (Per cullare un convalescente) è dello stesso periodo: Hahn lo dedicò al suo amico Henri Bardac, che si stava riprendendo dalle ferite. Caprice mélancolique è invece molto precedente: evoca i salotti proustiani, ma non diventa mai lezioso, proprio come la melodia su una poesia di Victor Hugo che chiude il Ruban, cantata da Sandrine Piau. Éric Le Sage e Frank Braley, raffinati conoscitori della musica francese del periodo, sanno coniugare la scioltezza del discorso, la qualità di un suono sempre sensuale e la finezza armonica.
Jacques Bonnaure, Classica
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