Una decina d’anni fa un gruppo di studiosi britannici e canadesi ha fatto una importante scoperta sulla vita sociale dei capodogli del mar dei Sargassi e del mar dei Caraibi. Mentre le balene madri si immergevano in profondità a caccia di calamari, altre balene facevano (come ha scritto la stampa popolare) da baby sitter per i piccoli. Questo studio era parte di un corpussempre in crescita di ricerche illuminanti sulla socialità delle balene. I nuclei sociali, sia quelli delle balene sia quelli umani, sono un tema ricorrente nel romanzo di Doreen Cunningham, un libro lirico e coraggioso che sfugge a facili interpretazioni. È la storia di una madre single e del figlio di due anni, Max, e del loro viaggio per seguire le balene dalla Baja California all’Artico. Ma non è un trattato di storia naturale. Madre e figlio stanno attraversando un momento confuso e, come le balene che stanno inseguendo, devono navigare in acque infide e pericolose e soprattutto devono fare affidamento sull’amicizia per cavarsela. Durante la loro traversata, la cultura degli esseri umani e quella delle balene sembrano convergere, erodendo il confine tra noi e i nostri lontani cugini mammiferi. La protagonista però non è l’Achab di Moby Dick, non è attratta da una singola balena ma dalla loro collettività e alla fine i cetacei diventano un tramite con altre donne e madri. Quella che all’inizio sembra la ricerca mistica di un essere immaginario porta la protagonista a trovare il suo branco di umani.
Edward Posnett, The Guardian
Ci sono stati momenti in cui io, iraniana, queer e californiana come K, il protagonista, non ero certa di arrivare viva alla fine di questo libro. È un romanzo di sopravvivenza, di desiderio e d’amore, e in molti sensi è un moderno Ritratto dell’artista da giovane. K è il più piccolo di tre fratelli musulmani iraniani statunitensi; i suoi genitori sono immigrati e vivono in un piccolo appartamento della San Fernando valley. K è l’unico dei suoi fratelli ad avere un nome persiano difficile da pronunciare (il nome di un re, naturalmente) ed è anche l’unico a essere gay. Sappiamo che un giorno scriverà la storia della sua famiglia; lo vediamo negli anni dell’adolescenza in cui cerca semplicemente di sopravvivere. Khabushani si fida del suo lettore come uno scrittore consumato. Le sue descrizioni asciutte della vita difficile in una famiglia biculturale scandiscono i temi del libro in modo organico: il risveglio sessuale nonostante gli abusi, la vera solidarietà maschile a fronte dei riti di iniziazione delle gang di Los Angeles e la xenofobia e il razzismo che inquinano il suo sogno di fare lo scrittore a New York. I riferimenti alla cultura pop sono sia specifici della comunità iraniano-americana sia universali: dal guardare Basic instinct con tua madre che ti fa coprire gli occhi al diventare fan dei System of a Down perché il cantante “è l’unica rock star a somigliare a noi”. Con Khabushani ci siamo riusciti: finalmente abbiamo un libro che parla di noi.
Porochista Khakpour, The Washington Post
Cambridge, autunno 1968. Syd Barrett, 22 anni, il pifferaio magico della psichedelia britannica, si è appena separato dal suo promettente gruppo, i Pink Floyd. A cinque minuti di bicicletta il grande scrittore E.M. Forster, 89 anni, se ne sta nelle sue stanze al King’s college ad aspettare il pudding. Questa coincidenza geografica è l’ispirazione alla base del romanzo di Haydn Middleton che immagina un’intima conversazione tra i due accanto al caminetto. Potreste chiedervi cosa può accomunare queste due figure così diverse eppure così distintamente inglesi. Barrett consumava lsd a palate e aveva molte donne. Forster (Morgan per gli amici) era un omosessuale nascosto che nei suoi diari confessava di non avere avuto idea, fino ai trent’anni, “di come un uomo e una donna si unissero”. Di cosa potevano parlare? Di biciclette? Eppure è uno scenario deliziosamente forsteriano. Qui c’è tutto: uno scontro tra culture pieno di malintesi, tentativi maldestri di comunicare nonostante la differenza di età e l’arte e le relazioni usate come mezzi per colmare la distanza tra loro. In troppe occasioni però la prosa è antiquata e zelante e Forster era pignolo ma non così difficile. Middleton è sicuramente più bravo a rendere il senso dell’umorismo di Barrett. Alla fine non possiamo non chiedercelo: questo libro è una forma particolarmente snob di fan fiction?
Johanna Thomas-Corr, The Observer
Storia d’amore? Incesto? Ossessione? Tutto questo e altro, soprattutto tanta buona letteratura, si ritrovano in Una vita prima di questa, romanzo di esordio che la scrittrice uruguayana Fernanda Trías ha scritto a 23 anni. In una casa fatiscente vivono modestamente Clara, suo padre, la figlia di quattro anni e un canarino. Una minaccia esterna e senza nome li perseguita e Clara si stringe ai suoi cari in un atroce isolamento rotto solo da qualche fuga sul tetto del palazzo, libera dalla malsana curiosità dei vicini. Nell’appartamento, intanto, non entra nemmeno la luce: stracci e carte bagnate oscurano le finestre e il padre ed ex amante resta disteso nell’ombra, immobile e depresso dopo la morte di Luisa, la sua ultima compagna. L’unico contatto con l’esterno finisce per essere una vicina. Implacabile, Trías nega al lettore ogni via di fuga, ponendolo di fronte a un finale travolgente. L’unica consolazione è la certezza di aver trascorso alcune ore in compagnia di un’eccellente narratrice.
Elena Costa, El Cultural
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