Nel grande parco le piante con le spine sono vietate. Fanno eccezione le 2.500 rose che Mark van IJzendoorn, il giardiniere del Palazzo della pace dell’Aja, nei Paesi Bassi, ha piantato lo scorso autunno. “Le rose sono un’eccezione”, dice. “Sono il simbolo dell’amore”.
All’inizio di febbraio soffia un vento gelido nel parco che circonda la Corte internazionale di giustizia (Cig), il principale tribunale delle Nazioni Unite. Con il cappellino in testa, Van IJzendoorn ci consiglia di “tornare in primavera” per dare alle rose il tempo di fiorire. Come le piante, anche la soluzione pacifica dei conflitti del mondo richiede la costanza di un giardiniere.
Nata alla fine della seconda guerra mondiale, la Cig non mira a punire, ma a risolvere le controversie. “Di fronte alla barbarie delle guerre, si voleva costruire una società umana fondata sul diritto”, ricorda il giudice somalo Abdulqawi Ahmed Yusuf, che ci riceve nel suo ufficio con vista sul giardino. Frontiere, acque territoriali, immunità diplomatica, scontri armati: in 76 anni almeno 120 dei 193 paesi dell’Onu si sono affrontati in questa sede, sfoderando le armi del diritto internazionale.
I giudici hanno emesso verdetti su un centinaio di casi e hanno pronunciato una trentina di pareri consultivi su richiesta dell’Onu. Gli stati possono uscirne vincitori o vinti, ma mai umiliati da una procedura a cui, in un modo o nell’altro, hanno dato il loro consenso.
Sulla scrivania dei giudici, i casi si accumulano. Di scottante attualità è quello presentato dal Sudafrica contro Israele, sul quale la corte si è espressa stabilendo che l’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza, lanciata dopo gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, comporta un possibile rischio di genocidio dei palestinesi. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina il 24 febbraio 2022, Kiev ha più volte denunciato Mosca. Con l’inizio del conflitto nel 2021 in Nagorno Karabakh, Armenia e Azerbaigian si attaccano a colpi di ricorsi e controricorsi. Nel 2019 il Gambia ha intimato alla Birmania di “mettere fine alle atrocità e al genocidio contro il popolo rohingya”. La Cig deve ancora pronunciarsi sulla denuncia di Canada e Paesi Bassi contro la Siria: quest’ultima, accusata di tortura, ha boicottato le udienze dell’autunno 2023.
Sentenze definitive
“La corte riflette le dinamiche geopolitiche”, osserva l’avvocata francosvizzera Laurence Boisson de Chazournes, docente di diritto internazionale. “La paralisi degli organi politici dell’Onu a New York (il Consiglio di sicurezza e l’assemblea generale) spinge i paesi su altre strade”. Inoltre “la Corte penale internazionale (Cpi) non riesce sempre a fare il suo lavoro”. Il tribunale della Cpi – creato da un trattato internazionale del 1998, lo Statuto di Roma – si trova a tre chilometri dal Palazzo della pace. Dovrebbe perseguire e punire i responsabili di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e di genocidio. Ma in vent’anni di lavori gli stati l’hanno strumentalizzato a tal punto da fargli perdere la credibilità.
Lo sottolinea anche Vusi Madonsela, ambasciatore del Sudafrica nei Paesi Bassi, per spiegare l’iniziativa del suo paese: “Pensavamo che affidare le nostre speranze nella Cpi non fosse il modo migliore per ottenere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza”. Alla fine di dicembre del 2023 Pretoria ha deciso di rivolgersi alla Cig. “Firmare la richiesta è stato molto emozionante”, confida il diplomatico. “Ho letto e riletto il documento. Mi sono detto che se la Cig era veramente una corte di giustizia, allora non avrebbe potuto respingere le nostre richieste”. Il documento è stato poi consegnato al cancelliere nella sala rossa del Palazzo della pace, dove sono appesi i ritratti un po’ minacciosi degli ex presidenti della corte.
Le sentenze sono definitive e inappellabili, anche se non sempre hanno effetti concreti. “Non sono decisioni simboliche, ma tocca al Consiglio di sicurezza farle rispettare”, osserva il libanese Nawaf Salam, nuovo presidente della Cig, aggiungendo che “il più delle volte” sono rispettate. Ma, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, Mosca e Washington hanno di volta in volta opposto il loro veto, paralizzando le Nazioni Unite.
I richiami del tribunale a favore della pace sono stati ignorati sia dalla Russia sia da Israele. Ma sono “paesi che da sempre infrangono il diritto internazionale”, osserva il francese Yves Daudet, ex giudice della Cig. “Quando la corte ordina alla Russia di fermare le operazioni militari nel Donbass, è consapevole che la reazione di Putin non sarà: ‘La corte ha parlato, fermate tutto!’”.
Tuttavia “nessun paese vuole passare per delinquente”, afferma Jean-Marc Sorel, docente di diritto pubblico e profondo conoscitore di questo tribunale, presso il quale ha rappresentato la Francia in alcuni casi. “Una cattiva reputazione si ripercuote sulle relazioni internazionali e influisce sugli investimenti esteri”. Oltre al loro valore giuridico, le decisioni dei giudici hanno un’innegabile autorità morale.
Tutti uguali
Nonostante il budget di appena 26 milioni di euro all’anno – “meno di quanto costa un aereo da combattimento”, ironizza il cancelliere Philippe Gautier – la corte ha ottenuto vari successi. L’Uganda, per esempio, ha pagato una prima parte delle riparazioni – 325 milioni di dollari – che era stata condannata a versare nel febbraio 2022 per aver saccheggiato le risorse dell’est della Repubblica Democratica del Congo. La Thailandia e la Cambogia hanno deposto le armi nel 2013 dopo l’ordinanza dei giudici che ha messo fine alla disputa sul tempio di Preah Vihear, al confine tra i due paesi. “Da allora le parti vivono in pace”, dice sorridendo il giudice Yusuf. In seguito alla decolonizzazione, la corte ha corretto dei tratti di frontiera che erano stati disegnati a tavolino, facilitando in alcuni casi lo spostamento degli allevatori con il loro bestiame.
Tra le mura del palazzo è ancora vivo il ricordo di un “grande caso” degli anni ottanta: Nicaragua contro Stati Uniti. “Fu incredibile: un piccolo stato che osava attaccare una grande potenza!”, racconta Boisson de Chazournes, una delle poche donne in questo mondo molto maschile. Gli Stati Uniti furono condannati per aver violato la sovranità nicaraguense.
“Tutte le grandi potenze hanno avuto i loro casi imbarazzanti, tranne forse la Cina”, sottolinea Sorel. Negli anni settanta la Francia fu denunciata alla Cig dall’Australia e dalla Nuova Zelanda per i test nucleari nel Pacifico meridionale. Parigi non si presentò alle udienze: “Ma dopo la morte del presidente Georges Pompidou, il suo successore Valéry Giscard d’Estaing promise che non ce ne sarebbero più stati e il caso si chiuse”.
Anche il Regno Unito ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco di fronte all’ex colonia di Mauritius. Nel 2019 i giudici hanno intimato a Londra di mettere fine “il più presto possibile” alla loro amministrazione delle isole Chagos, definita “illegale”. I giudici hanno stabilito che l’arcipelago dell’oceano Indiano – la cui popolazione alla fine degli anni sessanta fu trasferita a forza per permettere agli alleati statunitensi di installarvi una base militare – è ed è sempre stato parte integrante di Mauritius.
Finora Londra ha fatto finta di niente, ma l’avvocato francobritannico Philippe Sands, che ha rappresentato Mauritius alla Cig, è convinto che persone come Liseby Elysé – che durante le udienze ha raccontato con toni commoventi lo sradicamento forzato dalla sua isola – potranno un giorno tornare sulle terre dei loro avi. Il verdetto ha ispirato gli indipendentisti della Nuova Caledonia (una collettività francese d’oltremare), che nel giugno 2023 hanno espresso la loro intenzione di rivolgersi alla Cig.
“La cosa interessante è che tutti hanno a disposizione le stesse armi. Paesi dell’est, dell’ovest, del sud, del nord: tutti possono ricorrere alla corte”, osserva Boisson de Chazournes.
Tra le mura del palazzo è ancora vivo il ricordo di un “grande caso” degli anni ottanta: Nicaragua contro Stati Uniti
In passato non era così. Nel 1966 il verdetto pronunciato nel caso dell’Africa del Sudovest (tra il 1915 e il 1990 protettorato del Sudafrica, oggi Namibia) fu un “trauma forte”, precisa l’avvocata, e spinse vari paesi di recente decolonizzazione a dubitare dell’istituzione. Nel ricorso presentato dalla Liberia e dall’Etiopia per mettere fine all’apartheid e ai maltrattamenti inflitti dai sudafricani agli abitanti dell’Africa del Sudovest, i giudici stabilirono che non si potevano presentare delle richieste a nome della popolazione di un altro paese. Le conseguenze di questa sentenza “gettarono sulla corte un profondo discredito, da cui si sarebbe liberata solo dopo vent’anni”, ha scritto Sands nel libro L’ultima colonia (Guanda 2023).
Con il suo ingombrante protocollo, la Cig ricorda la corona britannica: il peso delle tradizioni con un pizzico di modernità. Nei grandi corridoi che portano all’aula del tribunale, i busti di marmo di Gandhi e di Nelson Mandela osservano il balletto delle delegazioni che sfilano, una dopo l’altra, verso l’arena dei loro scontri verbali.
“Quando ho cominciato il mio intervento, sapevo che Mandela ci guardava”, racconta l’ambasciatore Madonsela. “Non avevo dubbi sul fatto che stavamo facendo la cosa migliore per noi e per l’umanità, e che Madiba sarebbe stato orgoglioso”. Di fronte ai quindici giudici, le delegazioni degli stati siedono l’una accanto all’altra. E quando lanciano uno sguardo agli avversari, è sempre di sfuggita e con il volto tirato.
Trattati, lettere, mappe
“La corte!”, annuncia l’usciere. Le delegazioni si alzano all’unisono. I giudici entrano in fila, in un silenzio quasi monastico, a parte il fruscio delle toghe, e si dirigono alle sedie. Le parti sono al loro posto, lo spettacolo può cominciare.
Se i muri potessero parlare, racconterebbero di quella volta che gli australiani accusarono i giapponesi di uccidere le balene o di quando una Bosnia Erzegovina, stremata dalla guerra, si batté contro la Serbia accusandola di genocidio. Del giorno in cui, in nome di un presunto eroismo ancestrale, la Serbia si trasformò nel Davide dei Balcani contro il Golia della Nato, che era intervenuta in Kosovo nel 1999. Di fronte al rifiuto della corte, che non permetteva di perseguire organizzazioni intergovernative, Belgrado decise di denunciare otto paesi dell’Alleanza atlantica. Francia, Belgio, Paesi Bassi, Regno Unito, Italia, Germania, Portogallo e Canada si prepararono ad armonizzare le loro strategie difensive, ma alla fine la corte si dichiarò incompetente e la Serbia dovette accettare una seconda sconfitta.
“Qui abbiamo analizzato centinaia di anni di storia”, assicura Shelley Lightburn, la responsabile degli archivi del Palazzo della pace. I dossier delle udienze comprendono vecchi trattati, lettere manoscritte, magnifiche carte disegnate a mano. Le mappe del Sahara Occidentale – l’ex colonia spagnola rivendicata dal Marocco e dalla Repubblica democratica araba dei sahrawi – formano una specie di atlante, di cui Lightburn gira le pagine con le mani protette da guanti bianchi.
“Il modo di presentare i casi riflette la personalità dei vari paesi”, osserva, “ma con l’informatica è diventato tutto più standard”. Alla Cig non si svolgono indagini, non ci sono istruttoria né procuratore, sono le parti a presentare le loro prove. Una squadra di cinque archivisti deve “preservare i documenti” depositati in tribunale e conservati in parte nelle soffitte – piene di amianto – del palazzo. “Bisogna proteggere le parole” pronunciate nelle centinaia di interventi, dice solennemente Lightburn.
Davanti ai giudici i paesi denunciano, espongono, promettono. A volte nel corso di un’udienza saltano fuori vecchi segreti. Negli anni novanta, nel caso presentato dal Ciad contro la Libia per una disputa di confine, si scoprì che i servizi segreti francesi avevano intercettato il primo ministro libico durante una visita a Parigi per firmare un trattato di amicizia. “La corte obbliga gli stati a svelare le loro menzogne, i loro segreti, le loro contraddizioni, tutto ciò che in un certo senso li rende umani”, osserva Sorel.
I delegati dell’Ucraina si sono scattati dei selfie sui gradini dello scalone centrale. Negli anni ottanta, invece, quelli del Nicaragua si presentarono in smoking, per rispetto verso l’istituzione. Il 19 febbraio 2024 l’ambasciatore palestinese all’Onu Riyad Mansour ha represso un singhiozzo davanti ai giudici. Tre giorni dopo l’ambasciatore del Kuwait nei Paesi Bassi, Ali al Thefeeri, si è messo a piangere per “le anime perdute” e “la mancanza di coscienza tra i paesi del mondo”. E quante volte, all’annuncio del verdetto, entrambe le parti hanno gridato vittoria con una malafede disarmante?
Il 2 febbraio, alla fine di una delle tante battaglie legali avviate da Kiev contro Mosca, l’Ucraina ha subìto una piccola sconfitta. Con grande soddisfazione, il delegato russo ha tirato fuori il telefono per fotografare il documento, dimenticando che nella fase precedente i giudici avevano specificato che Mosca, invadendo l’Ucraina, aveva violato il diritto internazionale. Sui documenti è apposto il sigillo di cera rossa con l’emblema della Cig: la giustizia che tiene la bilancia con la mano sinistra e con la destra un fascio di spighe di grano. Non porta la spada vendicatrice né la benda sugli occhi.
“Mi chiedono spesso chi ha vinto”, nota il giudice Yusuf. “Io rispondo: ‘Nessuno! Né la Russia né l’Ucraina. È sempre il diritto a vincere’”.
I tribunali internazionali, con legami più o meno stretti con le Nazioni Unite, sono vari. La Corte internazionale di giustizia (Cig), con sede all’Aja, nei Paesi Bassi, è il principale organo giudiziario dell’Onu. Ha due funzioni: risolvere le dispute tra i paesi e, su richiesta delle istituzioni e delle agenzie dell’Onu, fornire pareri su questioni di diritto internazionale.
La Corte penale internazionale (Cpi), sempre con sede all’Aja, è un tribunale indipendente che giudica le persone incriminate per genocidio, per violazioni delle convenzioni di Ginevra, per crimini contro l’umanità o di guerra e per crimine di aggressione. È stata creata con lo Statuto di Roma, un trattato discusso all’interno delle sedi Onu, stipulato nel 1998 e ratificato da 124 stati (tra cui mancano potenze come Stati Uniti, Russia, Cina e Israele).
In passato, prima della creazione della Cpi, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva creato dei tribunali penali speciali. I più importanti sono stati il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, con sede all’Aja, attivo tra il 1993 e il 2017 per giudicare i crimini commessi durante i conflitti nei Balcani degli anni novanta; e il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, con sede ad Arusha, in Tanzania, attivo dal 1994 al 2015, incaricato di giudicare i crimini di genocidio e altre gravi violazioni dei diritti umani commesse nell’arco del 1994 in Ruanda e nei paesi vicini. Quel che restava del lavoro dei due tribunali è svolto da un’istituzione chiamata Meccanismo residuale.
Ad Amburgo, in Germania, ha sede il Tribunale internazionale del diritto del mare (Tidm), un organo indipendente che vigila sull’applicazione della convenzione Onu sul diritto del mare (1982), firmata da 169 paesi. Creato nel 1994, si occupa della delimitazione delle zone marittime, della navigazione, della gestione e della conservazione delle risorse del mare, della protezione dell’ambiente marino e della ricerca scientifica. United Nations documentation research guides ◆
Come tutto ciò che riguarda la Cig, anche la deliberazione segue uno stretto protocollo. In un’ala del palazzo costruita negli anni settanta, i giudici prendono posto intorno a un imponente tavolo a ferro di cavallo. Un comitato di redazione prepara una scaletta da discutere nel corso di due letture.
“Non ho mai assistito a scontri, ma ci sono stati momenti difficili”, ricorda Daudet. La “responsabilità è grande”, riconosce Yusuf. Nel parco la scultura Spettro della guerra, dell’artista cilena Rebeca Matte Bello (1875-1929), ricorda che fuori delle mura del palazzo infuriano ancora i conflitti. Illuminata da proiettori, una forma allungata rappresenta la morte che calpesta dei cadaveri.
Di solito per deliberare i giudici ci mettono sei mesi. Il tempo di una rosa? Il giardiniere spiega che gli alberi del parco sono stati “scelti per le foglie di dimensioni ridotte, per lasciar passare la luce e permettere ai giudici di non lavorare al buio”.
Alla mensa, con vista sul parco, “non si deve parlare del caso, non ci si deve influenzare a vicenda”, racconta Daudet.
Siamo in un collegio? In un monastero? Forse è più giusto parlare di una specie di accademia, dove i prescelti allungano i loro curriculum con diplomi, tesi e pubblicazioni. Libri che vanno ad aggiungersi ai sessantamila volumi della biblioteca della corte.
Nell’attesa del verdetto il piccolo mondo della giustizia internazionale si diverte a fare pronostici. Il gioco consiste nell’indovinare come voteranno i giudici (le decisioni sono prese a maggioranza) in base alla loro nazionalità. Nel 2022 i magistrati russo e cinese hanno votato contro un’ordinanza di condanna nei confronti di Mosca che chiedeva la sospensione immediata delle operazioni militari in Ucraina.
“È sbagliato pensare che abbiano votato su indicazione dei loro governi”, osserva Daudet. “È probabile invece che abbiano votato in accordo con le scelte del loro governo”. Di fatto i giudici, una volta nominati, portano all’Aja la loro storia, la loro cultura e le loro tradizioni giuridiche. Inoltre la Cig non è al riparo dai tentativi di strumentalizzazione. A volte gli stati usano alcune convenzioni internazionali per istruire procedure e ottenere vittorie di breve termine, come le ordinanze urgenti, prima che il caso sia discusso nel merito.
Ragioni di equilibrio
I quindici giudici sono eletti dal Consiglio di sicurezza e dall’assemblea generale delle Nazioni Unite per un mandato di nove anni da rinnovare ogni tre, ma le elezioni sono scaglionate e cinque di loro sono rinnovati ogni tre anni. La tradizione secondo cui i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza avevano ognuno un suo giudice è finita nel 2017. I britannici faticano ancora a riprendersi dall’affronto. Quell’anno infatti l’indiano Dalveer Bhandari sostituì il britannico Christopher Greenwood: l’ex colonia cacciava la vecchia potenza. L’ultimo ricambio è stato il 6 febbraio 2024, e questa volta è stata la Russia a perdere il posto.
Nawaf Salam difende l’indipendenza dei magistrati e assicura che “molti hanno votato contro le posizioni del proprio paese”. Per ragioni di equilibrio, gli stati possono nominare un giudice ad hoc se nel collegio non c’è nessuno della loro nazionalità. “Il suo ruolo è assicurarsi che siano presi in considerazione tutti gli argomenti delle parti”, spiega Daudet. Contro ogni pronostico, il giudice Aharon Barak – nominato da Israele in occasione del ricorso promosso dal Sudafrica – ha votato a favore di due delle misure temporanee ordinate dalla corte. Per questo il giudice di 87 anni è stato definito un “traditore” da alcuni israeliani, ha rivelato una fonte vicina alla corte, secondo la quale “a lui non importa”.
Bandiere colorate
Nel giardino le stagioni passano e la storia lascia la sua impronta. Il grande piazzale davanti al Palazzo della pace ricorderà a lungo i manifestanti filopalestinesi che gridavano free Palestine! Come ricorda gli israeliani che nel 2004 andarono a deporre i rottami insanguinati di un autobus dopo un attentato suicida palestinese. Ha visto anche i rohingya esiliati che reclamavano l’incriminazione per genocidio del generale birmano Ming Aung Hlaing, capo della giunta al potere dal 2021. O le decine di bandiere del Nepal, dell’Armenia o della Siria che hanno coperto il monumento dedicato alle vittime della seconda guerra mondiale per denunciare i crimini compiuti contro quei popoli.
A gennaio sui social network gli attori della serie tv Il trono di spade hanno letto il testo integrale della mozione sudafricana contro Israele. Intanto una cantante famosa di Vanuatu, Vanessa Quai, ha registrato una canzone su un’altra questione fondamentale per il pianeta: con un voto all’unanimità, l’assemblea generale dell’Onu ha chiesto alla Cig un parere sugli obblighi e sulle responsabilità per il cambiamento climatico degli stati che inquinano di più.
Il giardiniere ha detto che seguirà il caso da vicino, osservando i faggi che delimitano il parco: “Se le temperature aumentano non sopravvivranno”. Van IJzendoorn dice che pianterà alberi capaci di resistere per i prossimi cent’anni. La pace spesso sembra molto più fragile. ◆ adr
◆ L’8 e il 9 aprile 2024 alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja si sono tenute le udienze del caso presentato dal Nicaragua contro la Germania, sotto accusa per la vendita di armi a Israele. Il governo di Managua ritiene “plausibile” che gli armamenti forniti a Tel Aviv “siano usati per compiere atti di genocidio” nella Striscia di Gaza, perciò chiede che la corte ordini delle misure di emergenza, che impongano a Berlino di sospendere gli aiuti a Israele, in particolare quelli militari; di assicurarsi che le armi già fornite non siano usate per commettere crimini di guerra; e infine, di riprendere i finanziamenti all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. La Germania è il secondo fornitore di armi a Israele dopo gli Stati Uniti. Le Monde
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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati