Niente è semplice nei film di Nuri Bilge Ceylan, che non smette di esaminare la società turca come fosse un gigante malato e disilluso. Continuando il lavoro sull’uomo e il paesaggio, il regista squaderna un dramma a bassa intensità. Fa freddo nell’animo umano, come fa freddo in questo inverno senza fine in cui si trascina Samet, insegnante che sogna Istanbul e vive da libero pensatore in un covo di conservatori che disprezza. Gli unici sorrisi sono riservati a un’allieva, che finirà per denunciare i comportamenti inappropriati del maestro, subendo poi la sua ira sadica. E poi c’è Nuray, una bella idealista che ha perso una gamba in un incidente e che diventa l’oggetto del desiderio di Samet e del suo coinquilino, amico e collega. È lei, in particolare a lasciare il segno più profondo. Il film diventa un ring dove si scontrano due visioni del mondo: il grossolano cinismo di Samet e la voglia di agire di Nuray.
Sandra Onana, Libération
Turchia / Francia / Germania / Svezia 2023, 197’. In sala
Stati Uniti 2023, 116’. In sala
Ispirato al libro reportage di Danny Lyon, il film, molto ben diretto da Jeff Nichols, segue le vicende della gang (inventata) dei Vandals mentre bevono, litigano e sgommano nella Chicago degli anni sessanta. Un giornalista (Mike Faist) documenta la storia al cui centro ci sono Benny (Austin Butler) e le sue relazioni con la compagna Kathy (Jodie Comer) e la figura vagamente paterna di Johnny (Tom Hardy) in conflitto tra loro. L’amore per Austin di Kathy (che è la narratrice secondaria del film) è in ostinato contrasto con le priorità dei Vandals, che vanno dall’ozio alla violenza. La presenza di personaggi secondari (come quello interpretato da Michael Shannon) è soffocata dalla lotta centrale tra Kathy e Johnny, che da sola non ha la forza di mandare avanti il film. In definitiva The bikeriders è più un dramma a combustione lenta che un thriller avvincente. È girato magnificamente da Nichols, ma risulta un po’ troppo superficiale.
Beth Webb, Empire
Argentina / Spagna 2024, 116’. In sala
L’amante dell’astronauta si pone esplicitamente in relazione con il primo lungometraggio di Marco Berger, Plan B (2009), riprendendone la trama e i personaggi. In un gioco falsamente innocente, si collega all’infanzia dei personaggi, partendo alla scoperta dell’amore che fuori dai codici conservatori eterocentrici ha un grande potere di emancipazione. Berger gioca la carta del tempo per descrivere una lunga storia d’amore al di là dell’attrazione sessuale. Perché l’espressione dei desideri sessuali, a differenza di Plan B, qui è molto esplicita, fin dai primi incontri, ma sotto forma di giochi che sorpassano l’infanzia per entrare in un mondo adulto dove l’amicizia si estende all’amore. E così la storia di Pinocchio è trasformata attraverso un’interpretazione molto sessualizzata per ricordarci che la forza emancipatrice dell’ingresso nella comunità queer è in un dialogo ininterrotto con la propria infanzia.
Cédric Lépine, Mediapart
Il primo Inside out, del 2015, è universalmente considerato l’apice della Pixar. Raccontava da dentro e da fuori, la storia di una ragazzina di undici anni, culminando nella rivelazione che, anche per i bambini, c’è verità nella sofferenza. Nel tardivo sequel, Riley, la protagonista del primo film, ha tredici anni e alle emozioni primarie si sono aggiunti sentimenti nuovi e più complessi, tra cui ansia, invidia e noia. Inside out 2 è troppo castigato per affrontare argomenti scivolosi come i cambiamenti biologici, così usa l’adolescenza come una comoda scusa per riprendere i temi del primo film. Là i nostri eroi affrontavano una folle avventura per recuperare le memorie di base di Riley. Qui invece affrontano una folle avventura per recuperare il “senso di sé” di Riley. La scrittura è brillante, ma il meglio che la Pixar riesce a rivelarci è che tutti, prima o poi, hanno bisogno di un abbraccio.
Kevin Maher, The Times
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