La morte di Taleb Sami Abdallah, un alto comandante di Hezbollah ucciso l’11 giugno da un bombardamento israeliano, ha sollevato ancora una volta il timore che dopo mesi di scontri Israele possa scatenare una guerra più ampia in Libano (il 18 giugno l’esercito israeliano ha annunciato di aver approvato un piano in vista di “un’offensiva in Libano”). In risposta all’omicidio, il potente movimento libanese sostenuto dall’Iran ha lanciato più di duecento missili verso Israele e ha promesso di intensificare gli attacchi. Questi sviluppi confermano un aumento delle ostilità, con Hezbollah che colpisce il paese vicino con azioni più feroci e sofisticate. Molti osservatori notano un cambiamento nella portata di queste operazioni rispetto alle prime settimane di conflitto.
Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele e la successiva guerra a Gaza, Hezbollah aveva alimentato degli scontri lungo la frontiera meridionale del Libano in solidarietà con il territorio palestinese e per alleggerire la pressione su Hamas. Ma in seguito si è dimostrato capace di abbattere droni Hermes 900, di lanciare missili antiaerei contro i jet israeliani (costringendoli, sostiene, a ritirarsi) e perfino di compiere un attacco simbolico contro un’unità dello scudo di difesa aerea israeliano Iron dome.
“Hezbollah sta diventando più ardito e penso che gli israeliani siano rimasti sorpresi”, conferma Amal Saad, esperta del movimento libanese che insegna scienze politiche all’università di Cardiff, nel Regno Unito. “Conoscevano il suo arsenale, ma non pensavano che avrebbe avuto l’audacia di usarlo, almeno non per Gaza”, aggiunge, suggerendo che Tel Aviv si aspettava che il gruppo tenesse in serbo quelle armi per uno scontro diretto. Secondo gli esperti l’escalation è probabilmente legata allo stallo politico nei negoziati per la tregua nella Striscia di Gaza. Il 31 maggio il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha presentato quello che ha definito un piano israeliano per il cessate il fuoco, che aveva vari aspetti in comune con una proposta accettata da Hamas alcune settimane prima. Israele, tuttavia, rifiuta di firmare qualsiasi proposta metta completamente fine alla guerra, cosa su cui invece Hamas insiste.
Alzare il prezzo
Mentre l’occidente e Israele sperano che la pressione su Hamas lo spinga a cedere alle loro richieste, gli esperti sostengono che Hezbollah stia usando altre tattiche. Mustafa Asaad, esperto di armi che vive negli Stati Uniti, commenta: “La situazione politica e lo stallo attuale significano che l’unico modo per farsi ascoltare è mostrare di avere una capacità militare avanzata, senza avviare una guerra globale”.
Saad aggiunge che i negoziati in corso per il cessate il fuoco a Gaza potrebbero aver spinto Hezbollah a esercitare una pressione maggiore: “Hezbollah ha vincolato la chiusura di questo fronte alla fine della guerra a Gaza. L’idea è forzare Israele perché ceda alla proposta”. Per la docente di Cardiff il movimento libanese sta cercando di alzare il prezzo che Israele dovrebbe pagare se decidesse di non firmare un accordo con Hamas: “Questo significa infiammare il fronte settentrionale e compiere attacchi molto più audaci, con l’uso di armi più avanzate e più varie, come le batterie contraeree”.
Nelle ultime due settimane i missili e i droni lanciati da Hezbollah hanno causato grandi roghi nel nord di Israele, facendo infuriare gli alti funzionari di Tel Aviv. Anche gli attacchi israeliani contro il sud del Libano hanno incendiato vaste aree. L’esercito ha perfino usato una catapulta medievale per lanciare ordigni incendiari.
Da quando hanno combattuto una guerra durata quaranta giorni nel 2006, Hezbollah e Israele si sono scambiati soprattutto colpi occasionali, pensati per contenere qualunque potenziale escalation. Negli ultimi mesi gli attacchi aerei israeliani in Libano hanno ucciso più di 450 persone, tra cui almeno ottanta civili. Da parte sua Tel Aviv dichiara che hanno perso la vita quindici soldati e dieci civili israeliani. Il movimento libanese nelle ultime settimane ha compiuto azioni con droni più potenti, mentre Israele ha colpito più in profondità nel territorio confinante, compiendo anche diversi omicidi mirati. Anche se si tratta di gran lunga del più serio aumento della violenza dal 2006, lo scontro attuale resta all’interno delle linee rosse di Hezbollah e Israele e non ha ancora scatenato una guerra totale. Secondo Asaad, il gruppo libanese “non si è ancora spinto al massimo delle sue capacità” e le sue azioni restano “circoscritte a una gestione dell’escalation”.
Qassim Qassir, un analista politico vicino a Hezbollah, spiega che oltre a mandare un messaggio di deterrenza allo stato ebraico, gli attacchi hanno anche lo scopo di dire agli israeliani che il gruppo “è pronto a qualsiasi scenario”.
All’inizio della guerra a Gaza il coinvolgimento di Hezbollah si era concentrato sui dispositivi di sorveglianza del nemico, presi di mira dai combattenti posizionati vicino al confine. Le operazioni hanno avuto un costo alto per il movimento libanese, perché Israele è riuscito a colpire gruppi di combattenti, uccidendone anche diversi in un solo giorno. È stata una batosta per una forza che si era temprata combattendo nella guerra in Siria a difesa del presidente Bashar al Assad.
Mustafa Asaad ritiene che si sia trattato di un errore tattico iniziale a cui l’organizzazione avrebbe poi posto rimedio: “Nelle prime settimane Hezbollah ha combattuto come se fosse in Siria e ha subìto gravi perdite, perché la strategia adottata prevedeva grandi manovre, con azioni di brigata. Gli israeliani l’hanno scoperto facilmente e hanno colpito tutte le squadre. Hezbollah ha imparato dai suoi errori e ha affidato le missioni a squadre da due o tre uomini”.
Amal Saad d’altra parte ritiene che il movimento, insieme all’alleanza di paesi e gruppi armati sostenuti dall’Iran in Medio Oriente nota come Asse della resistenza, abbia sempre avuto una sorta di “piano d’emergenza” per situazioni come la guerra a Gaza: “Penso che Hezbollah abbia deliberatamente cominciato con una controsorveglianza per raggiungere lo stato attuale in cui può lanciare attacchi contro bersagli diversi, colpendo anche le formazioni militari”.
Secondo Asaad il gruppo libanese ha facilitato gli spostamenti sul campo mettendo fuori uso le tecnologie israeliane al confine e ha anche sfruttato la geografia montuosa e ricca di foreste del Libano per compiere azioni più precise e più in profondità contro Israele. “Hezbollah sa che gli attacchi a corto raggio sono un successo”, spiega. “È una combinazione tra tecnologia e topografia”.
L’unica strada
I mezzi d’informazione israeliani hanno riferito che Tel Aviv ha chiesto aiuto agli Stati Uniti per dissuadere Hezbollah. Inoltre, il prezzo delle azioni dell’azienda di armi israeliana Elbit Systems è crollato dopo che Hezbollah ha abbattuto alcuni suoi droni in volo sul Libano. Gli esperti ritengono che questi sviluppi rendono più temibile l’avversario del nord, spesso considerato come il più potente soggetto militare non statale al mondo. “Gli israeliani si sono resi conto che dall’altro lato del confine c’è un’entità capace di rispondere al fuoco”, commenta Asaad. “Questo è di per sé un risultato, perché di solito non sono abituati al fatto che un vicino minacci la sua supremazia o le sue tecnologie”.
Secondo Saad probabilmente la portata più ampia degli attacchi di Hezbollah, in termini di quantità e qualità, ha spinto Israele a uccidere Taleb Sami Abdallah. Finché il movimento continuerà a esercitare pressioni su Tel Aviv e a proseguire i suoi attacchi, un aumento delle tensioni entro certi limiti informali potrebbe essere l’unica strada percorribile. Asaad conclude che Hezbollah deve farlo, “altrimenti ‘deterrenza’ sarebbe solo una parola vuota”. ◆ fdl
Un portavoce dell’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato il 17 giugno lo scioglimento del gabinetto di guerra, costituito dopo l’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre. La decisione è stata presa in seguito alle dimissioni del leader centrista Benny Gantz, avvenute il 9 giugno in polemica con Netanyahu per come conduce la guerra. Il portavoce ha spiegato che d’ora in poi le decisioni su questioni relative al conflitto saranno prese dal gabinetto di sicurezza, che comprende nove ministri oltre a Netanyahu, e che il premier terrà “consultazioni” su questioni specifiche quando necessario. Il Jerusalem Post commenta che restano molti punti da chiarire, per esempio non è stato specificato chi parteciperà alle consultazioni. Secondo il quotidiano israeliano, queste avranno due obiettivi: “Evitare di convocare il gabinetto di sicurezza per le decisioni minori e tenere le informazioni sensibili lontane dai ministri di estrema destra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich”.
Migliaia di persone hanno manifestato la sera del 17 giugno a Gerusalemme per chiedere elezioni anticipate e protestare contro la gestione della guerra di Netanyahu e la sua incapacità di liberare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Intanto nella Striscia di Gaza i bombardamenti israeliani proseguono, ma con meno intensità dopo la “pausa” giornaliera tra le 8 e le 19 in un settore meridionale del territorio. Annunciata dall’esercito di Tel Aviv il 16 giugno, in coincidenza con il primo giorno della festa musulmana dell’Eid al adha e all’indomani della morte di undici soldati israeliani, la pausa faciliterà la consegna degli aiuti umanitari ai palestinesi. Il Times of Israel sottolinea l’aumento delle pressioni internazionali sullo stato ebraico per accelerare la consegna degli aiuti nella Striscia, dove secondo l’Onu si toccano livelli di carestia. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani denunciano che il nord del territorio è particolarmente difficile da raggiungere. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati