Editoriali

La nuova amicizia tra Putin e Kim

Vladimir Putin non visitava la Corea del Nord da quasi venticinque anni. Il primo viaggio l’aveva fatto poco dopo il suo arrivo al potere, nel 2000, quando la politica della mano tesa (sunshine policy) lanciata da Seoul verso Pyongyang alimentava le speranze, poi deluse, di una riconciliazione nella penisola. Successivamente la Russia aveva sostenuto le sanzioni internazionali contro il regime nordcoreano adottate in risposta al suo programma nucleare. Ma oggi, per necessità, il regime russo ha cambiato posizione ed è diventato in breve tempo uno dei più sanzionati al mondo, una condizione condivisa con quelli nordcoreano e iraniano.

Il presidente russo, costretto a limitare i suoi spostamenti dal mandato d’arresto spiccato dalla Corte penale internazionale, onorando Kim Jong-un della sua presenza lo ricompensa per il suo sostegno nella guerra contro l’Ucraina. Ma allo stesso tempo il capo del Cremlino mostra chiaramente di aver bisogno di armi per il conflitto, che va avanti da più di due anni.

I rapporti tra i due paesi stanno chiaramente cambiando. A marzo la Russia ha fatto marcia indietro rispetto alle proprie posizioni nei confronti di Pyongyang mantenute in passato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite: con il suo veto Mosca ha bloccato il sistema di sorveglianza sulle sanzioni dell’Onu contro il regime di Kim. E ormai i due leader hanno l’irresponsabile abitudine di minacciare il ricorso ad armi nucleari tattiche contro i nemici.

L’asse strategico emerso nella capitale nordcoreana si presenta come apertamente antioccidentale. All’invasione dell’Ucraina fa eco il bellicismo di Pyongyang nei confronti della Corea del Sud. L’incontro tra Putin e Kim è stato segnato dalla conclusione di importanti accordi destinati a rafforzare “un’amicizia ardente”, ha detto Kim Jong-un.

In cambio del ricorso all’arsenale del suo paese-caserma e della disponibilità di manodopera per coprire le necessità dovute alla mobilitazione militare in Russia, Kim potrebbe ricevere aiuti alimentari e formazione in materia di satelliti militari.

Ma i paesi occidentali non sono gli unici a prestare attenzione alla visita di Putin: Pechino non vede di buon occhio una cooperazione che permetta alla Corea del Nord di liberarsi parzialmente dai suoi vincoli con la Cina e di diventare ancora più imprevedibile. ◆ as

Sospiro di sollievo per l’ambiente

I ministri dell’ambiente dell’Unione europea hanno ratificato il 17 giugno la legge sul ripristino della natura, con cui i loro governi s’impegnano entro il 2030 a riportare allo stato originario almeno il 20 per cento degli habitat danneggiati. In questo modo l’Unione porta avanti, seppure in extremis, un testo messo a rischio dal passo indietro fatto dal Partito popolare europeo (Ppe) davanti ai movimenti agro-populisti, un fenomeno sfruttato dall’estrema destra alle elezioni del 9 giugno.

Gli obiettivi della nuova norma – tra cui ridurre il prelievo dalle falde acquifere per ripristinarne i livelli, incentivare il recupero a breve termine di specie locali di alberi a scapito di altre più redditizie e sostenere metodi di pesca più rispettosi degli ecosistemi costieri – comportano un ripensamento dei metodi della produzione. Chi si oppone alla legge sostiene che dimostri per l’ennesima volta quanto l’Unione europea si sia trasformata in un nemico del settore agricolo, anche se in molti casi i produttori sono i primi a beneficiare di un ambiente sano e il 33,2 per cento del bilancio dell’Unione fino al 2027 è destinato alla politica agricola comune. Le difficoltà incontrate dalla legge – abbinate alle concessioni che Bruxelles ha dovuto fare alla marea populista, come la riduzione dei vincoli ambientali per ricevere gli aiuti – sono un antipasto degli ostacoli che dovrà affrontare il green deal, con un’estrema destra che ha individuato nel rifiuto della transizione ecologica un’occasione per alimentare il nazionalismo e un centrodestra che teme di perdere elettori a causa della crescita dell’estremismo.

Ma accantonare il programma verde per un mero calcolo elettorale è un lusso irresponsabile che l’Europa non può permettersi: il cambiamento climatico non è più una minaccia, ma una realtà. ◆ as

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1568 - 21 giugno 2024
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