Cultura, numero 1570
Nel Tempo delle mosche dell’argentina Claudia Piñeiro la protagonista è un’ex detenuta in cerca di riscatto con un’ossessione per gli insetti. In questo romanzo Piñeiro riesce a forzare i confini del genere poliziesco, creando una trama impeccabile e denunciando le ingiustizie che sono commesse contro le donne. La chiave per capire il suo punto di vista è nel personaggio di Tom Ripley di Patricia Highsmith, che uccide, inganna e manipola ma ottiene sempre la simpatia dei lettori. Inés, respinta prima da sua madre e poi da sua figlia, è un’assassina che ha confessato i suoi crimini, una donna che non vuole essere toccata da nessuno. Si guadagna da vivere in un’impresa di disinfestazione e divide l’ufficio con la Manca, l’unica donna con cui riesce a fare amicizia. A un certo punto, con una vita che sembra non andare né avanti né indietro, alle due si presenta un’opportunità criminale che potrà cambiare la loro vita o rispedirle in carcere. C’è poco altro da dire su un romanzo che, secondo la sua stessa autrice, è stato molto complesso da costruire. Il tempo delle mosche potrebbe essere il tipico giallo che si legge tutto d’un fiato, perché l’architettura generale funziona benissimo, ma Piñeiro alla formula aggiunge due elementi rischiosi e inattesi: da una parte la passione scientifica della protagonista per le mosche e dall’altra la presenza di una sorta di coro che, come nelle tragedie, commenta le vicende di Inés e la Manca.
Juan CarlosGalindo, El País
Vita fra i giganti è una solida, generosa storia su un giovane uomo che si ritrova ad avere a che fare con delle celebrità. Senza ombra di satira, offre una sagace riflessione sul rapporto conflittuale degli Stati Uniti con la fama. Il narratore della storia, David Hochmeyer, un ragazzone alto due metri, mi ricorda quel vicino di casa che un giorno cadde sotto l’incantesimo di Gatsby, rimanendone “allo stesso tempo incantato e disgustato”. In effetti le prime pagine di Vita fra i giganti ricordano il classico di Fitzgerald: dall’altra parte del laghetto rispetto alla modesta casa di David c’è “una villa delle dimensioni di un’ambasciata” che attira l’attenzione di tutti ed evoca la possibilità di fantastiche storie d’amore. Sylphide, la donna che vive lì, è “la più grande ballerina della storia” e danzerà attraverso la vita di David per quarant’anni. Quando i genitori del protagonista vengono misteriosamente uccisi, lui e la sorella Katy si ritrovano alla deriva. Quel sanguinoso assassinio ha un misterioso legame con Sylphide, che perseguiterà David nei decenni a venire. Roorbach per tutto il romanzo si barcamena tra il credibile e l’impossibile. Su alcune scene aleggia un’aria da sogno che ci ricorda quanto la prossimità con le persone famose crei una certa distorsione della realtà. Il romanzo è infinitamente lungo ma anche infinitamente appassionante. Roorbach è un narratore molto umano e coinvolgente, con uno stile pieno di grazia.
Ron Charles, The Wall Street Journal
“Il fuoco è vivo?” si chiede il giornalista e scrittore John Vaillant all’inizio di questo libro. Per quanto sia ovvio rispondere “certo che no”, trecento pagine dopo quella domanda non sembra più così astrusa. L’età del fuoco racconta la storia di un incendio colossale che nella primavera del 2016 ha carbonizzato Fort McMurray, una cittadina incastonata tra le foreste del Canada centrale. È una storia di vigili del fuoco, proprietari di case e terreni e autorità locali che si confrontano con una calamità talmente grande da aver generato un suo microclima fatto di uragani, lampi e saette. Ma soprattutto è un racconto basato su fatti reali sulle cause e le conseguenze del cambiamento climatico. Fort McMurray (90mila abitanti) era stata fondata per estrarre il bitume. Le gigantesche operazioni di sbancamento e di estrazione – così vaste da essere visibili da sei chilometri di altezza – sono la manifestazione fisica delle forze che ci stanno portando ad avere un mondo sempre più caldo. La catastrofe di Fort McMurray è probabilmente un segno di cosa ci aspetterà in futuro.
David Enrich, The New York Times
L’amore è un fiume della brasiliana Carla Madeira è un sentiero che ci porta in luoghi mai immaginati prima dove le nostre convinzioni più profonde sono messe alla prova. L’acqua a cui si accenna nel titolo è un getto che ci lava via di dosso tutti i pregiudizi mostrandoci quanto possa essere semplice la complessità della vita umana. Potrebbe essere la storia di un triangolo amoroso, ma non lo è. Potrebbe essere una storia di inganni e vendette ma non è neanche quello. L’amore è un fiume è molto di più: è un rovesciamento di tutti i luoghi comuni. Un uomo uccide un figlio; una donna è ferita per sempre; una prostituta entra nella storia per riempire un vuoto. Dalva e Venâncio vivono un amore perfetto ma tutto viene distrutto da un folle atto di gelosia. Chiusa in se stessa, la madre muore al mondo. Cosciente del dolore che ha inflitto, il padre assassino si rifugia nella ricerca di un amore che ne è la negazione stessa. Il triangolo si completa con Lucy, la prostituta più desiderata della città, che si trova rifiutata da Venâncio. In uno stile asciutto e conciso la materia profondamente umana di questo romanzo ci viene presentata senza abbellimenti e ci costringe all’introspezione, fino a concludersi con un lieto fine (o quasi).
Paulo Mendes Pinto, Visão
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