Dopo aver letto Lanark, pubblicato nel Regno Unito per la prima volta nel 1981, Anthony Burgess ha descritto Gray come il più importante romanziere scozzese dopo Walter Scott. Questo recensore non è qualificato per mettere in dubbio la sua argomentazione, ma sicuramente gli fa venire in mente Robert Louis Stevenson. Possiamo dire che se Lanark non somiglia a nessun altro romanzo scozzese ha però dei precedenti: in Bunyan, in Blake e in Dante. Il romanzo è completato dai disegni dell’autore, neri, essenziali e notevolmente somiglianti, nel loro effetto, alla sua scrittura. Lanark, sottotitolato Una vita in 4 libri, comincia dal libro tre, seguito dai libri uno, due e quattro. In una città piovosa, grigia e spopolata chiamata Unthank qualcosa non va con il sole; sorge ma non brilla come dovrebbe. Un giovane che non ricorda il proprio nome o come sia finito lì, si sceglie il nome di Lanark che vede stampato sotto la foto di un paesaggio. Questo libro ha un sapore provinciale, sia per il taglio angusto della sua visione sia per le dimensioni delle sue ambizioni. È una strana Divina Commedia cripto-calvinista, spesso severa ma mai davvero perfida. Sempre onesta ma non sempre saggia. Sicuramente Lanark va letto; gli si dovrebbe dare ogni occasione per arrivare a quei lettori – perché di lettori potenziali ne ha, non solo scozzesi – per i quali per poco tempo o per tutta la vita può diventare il romanzo di cui non potrai mai più fare a meno.
John Crowley, The New York Times (1985)
Figlio di un algerino e di un’andalusa, Munir Hachemi (nato a Madrid nel 1989) si è laureato in filologia ispanica e ha scritto diversi libri autopubblicati. Cose vive è il suo primo lavoro a uscire con una casa editrice. Il risultato, che l’autore definisce un thriller del lavoro, è un riaggiustamento di quel genere ormai ben noto come autofiction. Il viaggio di quattro amici che vanno a fare la vendemmia in Francia come stagionali fa nascere l’idea che ciascuno di loro scriva un racconto per poi pubblicarlo e venderlo con il passaparola. La vendemmia non ci sarà a causa della siccità e i quattro si troveranno a lavorare in diversi allevamenti. Il racconto di Munir Hachemi è andato lungo ed è diventato un romanzo breve, una novella che cambia pelle – e quasi genere – in ciascuna delle sue otto parti, sempre sul solido terreno del thriller. Cose vive è un’autofiction che non solo descrive il suo autore e narratore in quello che fa ma funziona anche da denuncia sociale, politica, sanitaria ed economica: è un libro contro l’industria della carne ma anche contro il razzismo, contro la precarietà economica e contro la voracità del capitalismo. Autofiction come arma e come scudo allo stesso tempo. Cose vive funziona, ha personalità e ci fa avanzare in linea retta creando ramificazioni che ci danno ulteriori informazioni e indizi. La vita però non ha senso narrativo e non ne conosceremo mai tutte le cause e tutti gli effetti. Cerchiamo solo di fare in modo che la nostra vita reale sia verosimile per comprenderla e tranquillizzarci. Alla fine siamo solo – o anche – cose vive, selvagge, narrazioni senza intenzione né brillantezza.
Carlos Zanón, El País
Catherine Bardon torna nella Repubblica Dominicana dopo il successo della saga storica Les déracinés. In Flor de Oro racconta con precisione quasi documentaristica la storia vera della vita di Flor de Oro Trujillo, figlia di uno dei dittatori più terribili del ventesimo secolo, Rafael Trujillo detto El Jefe. Il libro ricostruisce la sua infanzia accanto a un padre megalomane e sanguinario che la rifiuta e la tiranneggia, il matrimonio con il playboy Porfirio Rubirosa, i suoi altri otto mariti e il suo esilio forzato negli Stati Uniti. Scopriamo il destino caotico di una donna che per l’intera vita ha subìto tutto il peso della violenza maschile ma che non ha mai smesso di lottare per liberarsi dalla sua influenza.
Leonard Desbrières, Le Parisien
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