Gabriel, figlio del fumettista satirico polacco Andrzej Krauze ed ex violoncellista, descrive in questo debutto autobiografico la sua vita di studente che a metà degli anni duemila entra in una gang criminale dopo aver abbandonato la famiglia. Nelle prime frenetiche pagine assistiamo a una rapina in cui il protagonista se la cava per un pelo ma si preoccupa perché deve essere “bello fresco e pieno di energie per la lezione delle nove”. È molto più di una doppia vita e Krauze riesce a darle un grande spessore. L’energia, più che nel violento linguaggio malavitoso del racconto, è nella pressione sotterranea esercitata da una dinamica familiare che non riusciamo mai a vedere.
Antony Cummins, The Guardian
La quarta raccolta di racconti di Andre Dubus prende il titolo da un’osservazione di Tommaso Moro che nessuno potrebbe mettere in discussione: “I tempi non sono mai così cattivi da non trovarci un uomo buono”. Anche se i personaggi non sono propriamente “buoni” – molti di loro commettono crimini di vario tipo – la straordinaria empatia con cui sono descritti dall’autore non li fa risultare semplicemente cattivi: Dubus ha il dono di farci sentire, con una sorta di meravigliosa chiaroveggenza, le loro voci interiori. I pezzi forti di questa raccolta (il primo racconto La ragazza carina e l’ultimo, Storia di un padre) sono un trionfo, memorabili per il modo in cui riescono a risuonare. La ragazza carina del titolo è una giovane donna di nome Polly, separata dal marito per ragioni che a lui sfuggono ma che sono molto chiare a noi lettori, e destinata a diventare la sua assassina. È una ventenne quasi alcolista apparentemente intelligente ma che in realtà vive come in stato di sonnambulismo. I racconti di Dubus possono non piacere a tutti, visto che i suoi personaggi sono volutamente ingenerosi e poco accattivanti. Molti tracannano birra in quantità e soffrono di pesanti doposbronza. Tutti hanno una dipendenza di qualche tipo (alcol, fumo, caffè, anfetamine) che l’autore riesce a descrivere con straordinaria partecipazione e ricchezza di dettagli. Altri sarebbero tentati di drammatizzare i guai dei protagonisti per smascherare le loro strategie di autoassoluzione. Dubus invece ha intenzioni decisamente diverse.
Joyce Carol Oates, The New York Times (1983)
Gli anni ottanta non erano un buon momento per essere gay in Cina. In risposta alla tendenza occidentale alla tolleranza Pechino aveva lanciato una campagna contro l’omosessualità, definita “teppismo” pur di non nominarla neanche. Cinema love, il romanzo d’esordio dello scrittore cinese Jiaming Tang, che vive negli Stati Uniti, si ambienta proprio in questo contesto storico. Nella città di Fuzhou gli uomini frequentano il Cinema dei lavoratori di Mawei – “Un biglietto, non importa per quale film” – per incontrare nel buio altri uomini. Tra questi c’è il protagonista, conosciuto col nome di Secondo, allontanato dalla sua famiglia perché è stato visto in compagnia di un altro ragazzo. Perfino i suoi fratelli non l’hanno salutato quando è dovuto partire per la città. Al cinema Secondo conosce il suo futuro compagno, Shun-Er. Vivere ai margini della società non è facile: il cinema viene chiuso, Shun-Er muore e, come molti gay cinesi di quel periodo, Secondo emigra negli Stati Uniti dove si sente più sicuro. Doppiamente al sicuro perché è con Bao Mei, la bigliettaia del cinema che decide di sposarlo per lasciare il paese con lui. La storia poi si fa sempre più complicata. Il linguaggio a volte è brutale come i tempi che descrive (“checche”, “finocchi”) e le donne soffrono quanto gli uomini. Cinema love è una lettura avvincente su “quei disgraziati sognatori che non desideravano altro che vivere senza paura”.
John Self, The Times
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