Per 25 anni nella Striscia di Gaza non si sono registrati casi di poliomielite. Non è più così. All’inizio di agosto il ministero della salute ha riferito che un bambino di dieci mesi aveva contratto l’infezione. Inoltre il virus è stato rilevato in vari campioni di acque reflue. Con i liquami che scorrono per le strade, vicino alle tende degli sfollati e alle poche fonti d’acqua dolce rimaste, presto potrebbe scoppiare un’epidemia catastrofica. Una vaccinazione di massa è essenziale ma finché l’offensiva militare israeliana continuerà sembra impossibile, anche se i farmaci hanno cominciato ad arrivare. I palestinesi temono le conseguenze di una diffusione della malattia, soprattutto per i bambini, che costituiscono metà della popolazione.
Reem al Masry, 35 anni, racconta che i suoi tre figli “sono continuamente punti da zanzare e mosche e ogni giorno hanno mal di pancia, febbre, eruzioni cutanee e altri disturbi”. Saeed Samour, 40 anni, aggiunge che i prodotti per la pulizia sono pochi e molto costosi, e che gli alimenti e l’acqua “devono essere bolliti o cotti più volte, ma manca il gas”.
Insieme al collasso delle reti idriche e fognarie, il sovraffollamento ha portato inevitabilmente alla trasmissione di malattie. Non è solo la poliomielite a preoccupare le autorità sanitarie. “Prima del 7 ottobre, a Gaza si contavano 85 casi di epatite”, spiega Adnan Abu Hasna, portavoce dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei profughi palestinesi. “Oggi parliamo di un migliaio di casi alla settimana”.
Il segretario dell’Onu, António Guterres, ha chiesto un immediato cessate il fuoco di una settimana per consentire l’avvio della campagna di vaccinazione. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato di essere pronta a fornire 1,6 milioni di dosi, mentre le équipe mediche dell’Unrwa si preparano a somministrarle a più di 640mila bambini sotto i dieci anni.
Tutte le sfide
“Il vaccino orale contro la polio è efficace”, sostiene Sameer Sah, direttore britannico dei programmi di Medical aid for Palestinians (Map). “La sfida è consegnarlo in un’area in cui le persone sono sfollate quasi ogni giorno, mancano i mezzi di trasporto, le strade sono danneggiate e i servizi sanitari sono sotto attacco. È necessario un cessate il fuoco totale per fornire un’assistenza adeguata”.
Ayman Labad, ricercatore del Centro palestinese per i diritti umani, denuncia che le forze israeliane hanno distrutto il 67 per cento delle strutture idriche e fognarie di Gaza. Tra queste 194 pozzi per la produzione di acqua, 40 serbatoi, 55 stazioni di pompaggio delle acque reflue, 76 impianti di desalinizzazione, quattro di trattamento, nove depositi di pezzi di ricambio e due laboratori di analisi. “Il significato di tutto questo è chiaro: Israele sta usando l’acqua come arma nel suo genocidio contro la popolazione di Gaza”, afferma Labad.
Senza i trattamenti e i controlli, le fonti d’acqua di Gaza si sono contaminate, favorendo le malattie. “Gli abitanti della Striscia vivono con un quinto dell’acqua che era disponibile prima del 7 ottobre”, continua Labad. “Circa il 66 per cento di loro soffre di malattie trasmesse dall’acqua, come colera, diarrea cronica, gastroenterite ed epatite”. Inoltre le persone sono costrette a ore di coda per spartirsi le poche taniche disponibili e sacrificano l’igiene di base, un aspetto fondamentale per evitare le infezioni. Saeed al Jabri, 38 anni, ha cominciato a lavarsi in mare: “Ma il sale sulla pelle può causare infiammazioni”. ◆ adg
Ruwaida Kamal Amer _ è una giornalista di Khan Yunis, nella Striscia di Gaza._
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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati